Venanzio Postiglione per il “Corriere della Sera”
giorgia meloni al comizio di vox in spagna
Presidente Giorgia Meloni, sul Corriere di ieri c’è la sua foto con il cartello «Elezioni subito». Da quanto tempo ce l’aveva pronto?
«Dall’inizio della legislatura... Come molti ricorderanno, quasi subito, con i risultati poco chiari, abbiamo detto che sarebbe stato meglio tornare al voto. Temo che la storia ci abbia dato ragione. Noi non chiediamo le elezioni soltanto adesso, per i sondaggi favorevoli: lo diciamo da tempo, quando c’erano altri numeri. Senza una maggioranza coesa a sostenere il governo, arrivano solo compromessi al ribasso e spreco di risorse. Senza riforme. Tre governi diversi e i risultati li vediamo».
La guerra, il gas, l’inflazione, il Covid, un Paese molto preoccupato. Perché insiste sul voto subito? Non è meglio avere un governo?
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«Intanto il governo c’è. Questo racconto per cui si svuotano le istituzioni non è corretto . Nelle democrazie parlamentari c’è sempre un esecutivo in carica fino a quello successivo. Draghi resterebbe fino alle elezioni. Il voto visto come le cavallette delle piaghe... non condivido. Tutti i Paesi del mondo hanno la guerra, la pandemia, ma non si pongono il problema di quando ci sono le elezioni. Non le hanno sospese. Il tema esiste solo in Italia. Le urne non sono buone solo per i giorni di sole. Anzi. Nella tempesta hai bisogno del capitano scelto dall’equipaggio con una rotta e una meta. Basta con l’accanimento terapeutico di questo Parlamento e con i governi che non raggiungono risultati».
Draghi appare deciso a lasciare, il presidente Mattarella spinge per un ripensamento. Mercoledì il premier parla alle Camere. Lei cosa prevede?
«Questa legislatura ci ha regalato tante sorprese. A fare previsioni si rischiano sempre figuracce. Dubito che la crisi rientrerà. Quando fu votata la fiducia a Draghi dissi in aula: “Ora li vede applaudire ma con il semestre bianco vedrà i dissidenti che salteranno fuori”. In realtà l’orizzonte era la pensione dei parlamentari. Inevitabile che partiti volessero ricostruirsi una presunta verginità. Prevedibile.
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Draghi se ne è reso conto. Capisce che i rapporti nella sua maggioranza possono solo peggiorare. E il calo del consenso è un altro aspetto delle sue valutazioni. Poi il premier conosce la situazione economica dell’Italia e quindi i problemi in arrivo, soprattutto per responsabilità dei partiti. Non escludo che si provi a convincerlo in ogni modo o si tenti con altre alchimie. Ma non vedo margini. Sarebbe scandaloso mettere assieme il quarto governo di fila caduto dall’alto solo per far vivacchiare la legislatura. Sarebbe una scelta di gravissima irresponsabilità».
Berlusconi e Salvini sono in bilico tra il sì al voto e i «supplementari», come dice Giorgetti. Un’altra frattura con lei. È delusa?
«La delusione la riservo alle questioni affettive. Qui siamo alleati ma i partiti sono diversi. La coalizione, spero, lavorerà assieme per vincere e governare. Le differenze ci sono sempre state, ma le posizioni non così divergenti. La Lega predilige il ritorno alle urne. Berlusconi esclude un nuovo governo con un altro premier. Sarebbe molto grave se gli alleati, addirittura senza Draghi, si prestassero a portare avanti la legislatura con il Pd e a impedire agli italiani di votare».
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Gli stessi Berlusconi e Salvini continuano a sentirsi, cercarsi, lavorano assieme. Poco fa è arrivata una nota congiunta dopo una telefonata. È anche un modo per escludere lei?
«No, mai pensato. Normale che i due partiti assieme al governo tentassero di saldarsi di fronte all’aggressività della sinistra per i suoi progetti. La protervia di portare in Aula provvedimenti divisivi come cannabis e ius scholae... Giusto parlarsi di più tra loro, sono al governo. Anzi: qualcosa di più potevano portare a casa. Quando però l’esperienza è chiusa, è ovvio che dobbiamo tornare a vederci tutti assieme. Con un taglio diverso e con capacità di decisione. Sede istituzionale, ordine del giorno e conclusioni con indicazioni operative. Non c’è tempo da perdere in riunioni conviviali. Ora forma e sostanza».
Presidente, lei insiste sul voto. Ma come può presentarsi unito il centrodestra davanti agli elettori dopo un’intera legislatura di divisioni, tensioni, incomprensioni?
«È un problema relativo. Quello che ha stonato sono state le scelte, in alcuni casi. E quella che ha stonato più di tutte, incomprensibile e ingiustificabile, è stata di mandare a monte la possibilità di eleggere un Capo dello Stato espressione di metà dell’Italia per rieleggere un Presidente che la sinistra aveva scelto sette anni prima.
Senza chiedere a noi cosa ne pensassimo. Il centrodestra sta assieme per compatibilità, non per necessità. È il suo stato naturale. Sui grandi temi la sintesi è facile, molto più dei nostri avversari, che stanno assieme solo per battere le destre. Noi non abbiamo mai detto che ci uniamo per battere la sinistra. Non litighiamo mai sulle grandi questioni del Paese».
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Non voglio immaginare come sarà complicato decidere i candidati nei collegi... Si terrà conto del fatto che lei è in testa nei sondaggi? E la regola «chi prende più voti è il candidato premier» è ancora valida? Non ne sento parlare più.
«Ho chiesto chiarezza al centrodestra. Se le stesse regole che valevano per gli altri non dovessero valere per Fratelli d’Italia, sarebbe un bel problema. Ma io confido che siano le stesse. Berlusconi, in un’intervista nel 2018, era stato esplicito: “Forza Italia è il partito con più voti, starà a noi indicare il premier”. Perché le regole dovrebbero cambiare oggi? Peraltro così teniamo al centro i cittadini e la democrazia. Anche sui collegi... cinque anni fa si è detto che la distribuzione dei candidati si faceva sulla base della media dei sondaggi. Il metodo dovrà essere lo stesso».
Qualche mese fa, qui sul Corriere, si era candidata a leader dei conservatori italiani. A che punto è il suo progetto?
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«Intanto sono leader dei conservatori europei. Come si è visto anche alla conferenza di maggio di Milano, vogliamo dialogare e dare rappresentanza a mondi nuovi, a personaggi nuovi, anche se non vengono dalla storia della destra. L’obiettivo è parlare a più settori, coinvolgere le energie migliori. Ci sarà bisogno di loro. Se pensassi di poter fare da sola, sarei una mitomane. Vorremmo persone competenti, libere, intelligenti. Che ci diano una mano a uscire dalle secche. Niente pregiudizi, niente limiti».
Non sarà un autunno semplice, tra guerra, economia, mercati, Europa, disagio sociale. Dica la verità. L’ipotesi di arrivare a Palazzo Chigi, di diventare premier, le dà più spinta e soddisfazioni oppure più preoccupazioni?
«Non ragiono così, partendo da me stessa. Prima combatti, poi se vinci discuti sul ruolo di ciascuno. Le battaglie non sono mai vinte in partenza. In base al responso degli italiani, decideremo chi fa che cosa. Amo questo Paese, conosco la politica, le condizioni reali dell’Italia. Se andassi avanti con la leggerezza della reginetta al ballo sarei una irresponsabile.
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Chiunque si immagina la nazione sulle spalle e non si vede tremare i polsi sarebbe un incosciente. Ovvio che prevalgano le preoccupazioni. Anche per i conti disastrosi che governi targati sinistra ci hanno lasciato, il record storico del debito, l’economia reale, la classe media verso la marginalità, la guerra, la pandemia, il costo delle materie prime... Allora piedi per terra, tanto studio, coraggio di dire quello che si può e quello che non si può fare. Senza mentire. La buona politica ha bisogno di fiducia».
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