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    LA LOTTA POTERE IN CINA SI FA CON LA “CACCIA AI TRADITORI” – CONTINUANO LE PURGHE PER CONTRASTARE LA “CORRUZIONE” (CIOE' FAR FUORI GLI OPPOSITORI DI XI JINPING): NEGLI ULTIMI DUE GIORNI CI SONO STATE CINQUE CONDANNE A MORTE UOMINI AI VERTICI DEGLI APPARATI DI SICUREZZA, POLIZIA E GIUSTIZIA DELLA CINA, TRA CUI QUELLE L’EX SUPERPOLIZIOTTO SUN LIJUN E FU ZHENGHUA, EX MINISTRO DELLA GIUSTIZIA – DOPO L’ARRESTO, SUN LIJUN FU DESCRITTO COME “UN DEPRAVATO CHE AVEVA RICEVUTO TANGENTI E FAVORI SESSUALI, E AVEVA COSTITUITO CRICCHE ALL'INTERNO DEL PARTITO PER…”


     
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    Guido Santevecchi per il “Corriere della Sera”

     

    Cinque condanne in due giorni di uomini ai vertici degli apparati di sicurezza, polizia e giustizia della Cina. Cinque processi separati, di fronte a corti diverse, ma legati da un filo conduttore: dietro lo schermo della corruzione endemica a Pechino c'è la «slealtà nei confronti del Partito comunista», il tentativo di metterne in pericolo l'unità «attraverso la costituzione di bande e fazioni» (così ha scritto la stampa cinese presentando i casi criminali).

     

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    Hanno ricevuto la condanna a morte, con probabile commutazione al carcere a vita dopo due anni di buona condotta, i due esponenti di maggior spicco: l'ex ministro della Giustizia Fu Zhenghua e l'ex viceministro della Sicurezza Sun Lijun. Pene tra i 15 anni di carcere e l'ergastolo per tre ex capi della polizia nelle megalopoli di Shanghai e Chongqing e nella provincia di Shanxi.

     

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    La lotta alla corruzione è stato il primo obiettivo politico dichiarato da Xi Jinping, quando fu nominato segretario generale del Partito nel 2012. Promise di «cacciare le tigri e schiacciare le mosche» che intascavano o pagavano tangenti in cambio di favori (le tigri della metafora erano gli alti funzionari, le mosche i quadri intermedi o bassi).

     

    Dieci anni dopo, il Partito si vanta di aver punito un milione e cinquecentomila corrotti a tutti i livelli. E come sempre, alla vigilia del Congresso quinquennale di ottobre, i suoi tribunali saldano i conti con imputati di spicco. Ma dietro questa purga chiusa in due giorni di processi, con gli imputati contriti e rei confessi, c'è l'ombra di una lotta di potere.

     

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    L'uomo chiave sarebbe stato Sun Lijun. Un superpoliziotto di 53 anni, così vicino al vertice del Partito-Stato che Xi Jinping lo aveva inviato a Wuhan, nel febbraio nel 2020, al comando di una squadra speciale incaricata di gestire la sicurezza durante la crisi del coronavirus. A marzo, quando Xi visitò Wuhan in lockdown, il fidato Sun era comparso al tg mentre faceva rapporto al presidente sul successo dell'operazione. Ad aprile fu arrestato in segreto.

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    Diciassette mesi dopo, nell'ottobre 2021, la Commissione centrale di disciplina del Partito comunista annunciò che Sun Lijun era stato espulso dal Partito e consegnato alla magistratura. Ai giornali fu detto che Sun era «un depravato che per anni aveva ricevuto tangenti e favori sessuali, aveva condotto una vita stravagante e nutrito ambizioni politiche estreme, costituendo cricche all'interno di vari dipartimenti del Partito per destabilizzarlo». L'associazione alla «cricca» guidata da Sun compare nelle biografie processuali degli altri quattro alti funzionari condannati.

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    I capi della condanna di Sun elencano tangenti per 646 milioni di yuan, «manipolazione del mercato azionario», «appoggio a individui e imprese per aggirare la legge a danno degli interessi dello Stato e del popolo», anche il possesso illegale di armi da fuoco (due pistole). Tra le righe il crimine più oscuro: «l'estrema ambizione politica e la slealtà». Il viceministro per la Sicurezza statale aveva «segretamente accumulato una quantità di materiale confidenziale». 

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    Si può immaginare che fossero documenti pericolosi per altri personaggi importanti e che Sun li considerasse una polizza d'assicurazione e un mezzo di ricatto: tra le sue colpe c'è aver «espresso critiche senza fondamento» e «diffuso voci politiche» contrarie al Partito. L'altro condannato a morte «con sospensione», Fu Zhenhua, 67 anni, era salito da capo della polizia di Pechino a ministro della Giustizia. 

     

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    Il punto più alto della carriera nel 2013, quando diresse le indagini che avevano stretto il cappio intorno a Zhou Yongkang, ex membro del Comitato permanente del Politburo e responsabile di tutti i servizi di sicurezza cinesi. Un altro superpoliziotto con molte carte in cassaforte.

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