mano morta
Confermata la condanna per un uomo che ha molestato una signora, toccandole il fondoschiena. Per i Giudici non vi sono dubbi sulla lettura dell’episodio: il palpeggiamento è stato invasivo dell’intimità della donna.
Scatta la condanna. La ‘mano morta’ sul fondoschiena di una donna vale una condanna per violenza sessuale. A ribadirlo in modo chiaro è la Cassazione, sottolineando la gravità del comportamento tenuto da un uomo che ha pensato bene di ‘approcciare’ in modo per nulla elegante una signora, che dal canto suo, una volta subito il palpeggiamento, ha reagito con vigore – «gliene ho dette di tutti i colori», ha raccontato – e ha poi sporto denuncia (Cassazione sez. III Penale, sentenza n. 38606/2019).
mano morta
Contatto. Decisiva la ricostruzione dell’episodio. Fondamentale il racconto della vittima, la quale ha spiegato che l’uomo sotto processo «le ha messo una mano sul fondoschiena».
Nessun dubbio, quindi, sulla gravità del comportamento in discussione, poiché, osservano i Giudici, «il toccamento di quella specifica zona erogena è stato improvviso ed inaspettato, invasivo dell’intimità della donna e animato da chiari impulsi sessuali» percepiti dalla vittima che «protestò energicamente (“gliene ho dette di tutti i colori”)» con l’uomo.
Evidente, quindi, la consumazione del reato di «violenza sessuale», spiegano i giudici della Cassazione, poiché, come detto, «vi fu lascivo contatto con la zona erogena del fondoschiena della donna». Tale dato è decisivo, poiché «è sufficiente che il colpevole raggiunga le parti intime della persona offesa (zone genitali o comunque erogene), essendo indifferente che il contatto corporeo sia di breve durata o che la vittima sia riuscita a sottrarsi all’azione dell’aggressore o che quest’ultimo consegua» o meno «la soddisfazione erotica».
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Tirando le somme, anche il palpeggiamento del sedere è catalogabile come «violenza sessuale», poiché «l’elemento della violenza può estrinsecarsi anche nel compimento insidiosamente rapido dell’azione criminosa, tale da sorprendere la vittima e da superare la sua contraria volontà, così ponendola nell’impossibilità di difendersi».
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