Francesco Verderami per il Corriere della Sera
GIANCARLO GIORGETTI E MATTEO SALVINI
Sarà stato un evento casuale, o più probabilmente un modo per evitare di vedersi attribuito all' una o all' altra parte della sua larga maggioranza. È un fatto comunque che ieri - al Global solutions summit con la Merkel - il premier ha preso di mira il sovranismo, «abbracciato negli ultimi anni dai cittadini di molti Paesi come risposta alle loro ansie politiche ed economiche. La crisi sanitaria ci ha insegnato che è impossibile affrontare problemi globali con soluzioni interne.
Ma il multilateralismo sta tornando...». Un vero e proprio avviso ai naviganti che - per quanto generico - finisce inevitabilmente per avere tra i destinatari anche il Carroccio.
GIANCARLO GIORGETTI MATTEO SALVINI
La Lega ha colto il messaggio, reagendo come può fare un partito verso un capo di governo a cui vota la fiducia. E infatti la precisazione che «il multilateralismo non è il globalismo», e che «proprio la crisi del multilateralismo ha prodotto l' ascesa del sovranismo», è un espediente per scongiurare la polemica con Draghi, tenendo il tema nei confini di una discussione politologica. Ma politicamente è anche un modo per prendere tempo, nel senso che la «questione sovranismo» è parte del dibattito interno al Carroccio, dove si discute su un graduale aggiustamento di percorso. Se non su un vero e proprio cambio di rotta.
GIANCARLO GIORGETTI E MATTEO SALVINI
Lo impongono la necessità in Europa di uscire dall' angolo dell' irrilevanza e un diverso baricentro nelle relazioni internazionali: passaggi indispensabili per l' avvicinamento alle responsabilità di governo, che poi è l' ambizione di Salvini. E allora si capisce perché nella Lega - come già succede in Fratelli d' Italia - si ragiona sulla politica economica di Biden, «che ci costringerà a rincorrere gli Stati Uniti». Ma Salvini ritiene che il processo evolutivo abbia bisogno di tempo, per non perdere forza per strada e arrivare solidi all' appuntamento.
Così il contropelo di Draghi non li coglie impreparati. Non foss' altro perché Giorgetti sull' argomento insiste, e non da oggi. Anzi, come s' intuisce dai conversari del ministro leghista, proprio l' approccio da «europeista non prono» del premier favorisce una «miscela di sovranità, di interesse nazionale e di ricostruzione dell' Unione» che può tornare utile in vista di un riposizionamento politico del Carroccio.
salvini giorgetti
È la linea dell' euro-realismo che, nei colloqui riservati e in alcune uscite pubbliche, il titolare dello Sviluppo economico ha contrapposto al«vecchio euro-lirismo» con cui la sinistra ha storicamente combattuto la destra.
Perché - secondo la tesi di Giorgetti - «se l' Europa sta dando adesso risposte ai problemi provocati dalla pandemia, non è per le regole o i Trattati, ma per la capacità che ha avuto di sospendere regole e Trattati. Perciò si può dire che chi era euroscettico, non contro l' Unione ma contro un tipo di politica dell' Unione, aveva ragione. Per esempio, è grazie a Draghi - che trovò il modo di aggirare il Trattato istitutivo della Bce - se ora la Lagarde può percorrere quel sentiero. Le deroghe insomma consentono oggi all' Unione di sopravvivere. Per crescere deve cambiare».
Giorgetti Salvini
È un' argomentazione che anticipa un cambiamento. Ed è ovvio che toccherà a Salvini stabilire all' evenienza modalità e tempi. Intanto il leader del Carroccio risponde alle parole di Draghi trovando il modo di fare un passo verso quella direzione: «L' antitesi sovranismo-globalismo non regge più. L' era post Covid spinge verso un percorso comune che rimetterà tutto in discussione.
Penso a certi organismi sovranazionali, all' Organizzazione mondiale della sanità o ad alcune Agenzie europee, che nella lotta al virus hanno fallito».
mario draghi ursula von der leyen 1
L' avviso ai naviganti viene circoscritto da Salvini, siccome «noi non puntiamo a chiudere recinti. Non è questa la scommessa della Lega. Bisogna semmai coniugare i valori dell' identità e della condivisione. A questo servono gli organismi sovranazionali, che vanno strutturati in modo diverso, democratico e partecipato. Non gestiti da burocrati». La polemica con il premier non è contemplata, «anche perché noi siamo al governo con Draghi e lì staremo finché lui resterà a Palazzo Chigi».
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