Antonio Barillà per “La Stampa”
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Il "Libro nero di Fabio Paratici" è il racconto di una gestione sfrontata e arrogante, inizio della fine della Juventus di Andrea Agnelli. È Federico Cherubini, stretto collaboratore e poi erede, a titolare così gli appunti su carta intestata, diventati dopo il sequestro pesanti elementi d'accusa.
C'è ancora di più, in verità, tra righe che impastano critiche, impotenza e stupore: c'è il ritratto di un ragazzo mite, studioso di calcio e abile talent scout, che all'improvviso vuol trasformarsi in squalo della finanza e del pallone, gonfiando valutazioni di mercato ed esagerando senza accettare confronto, sedotto dal potere fino a confonderlo con onnipotenza e impunità.
Cherubini scrive di un utilizzo eccessivo di plusvalenze artificiali, di un piano recupero bilancio disastroso, di una generazione di calciatori distrutta e di acquisti senza senso, ma anche di orari non rispettati e di riunioni dal podologo o in sauna. Sindrome da re. Dura da arginare. Ancora più chiara una sua intercettazione: «Con Fabio non si poteva ragionare. Finché c'è stato Marotta gli metteva un freno. Quando è andato via ha avuto carta libera. Io gliel'ho detto più volte: qui stiamo esagerando. Cioè è una modalità lecita ma hai spinto troppo. E lui rispondeva: a noi non importa. O fai 4 o fai 10, nessuno ti può dire nulla».
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Nessuno ti può dire nulla. Un pensiero assurdo. Ripetuto a Bonucci («La Juve è quotata in Borsa, appartiene agli Agnelli, cosa può succedere per due stipendi?») come al dg del Pisa, Corrado, a proposito del centravanti Lucca, oggi all'Ajax: «L'ho sempre fatto, dammi retta, quando ho i parametri sistemo tutto io». E d'altronde, già ai tempi del caso Suarez, imbarazzante ma senza strascichi giudiziari, l'idea di un potere sfrenato già affiorava in una sua intercettazione: «Siamo la Juve e non ci ricevono» si sfogava meravigliato.
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Finché c'è stato Marotta… L'inizio della fine è anche nell'addio. Perché lui Fabio l'aveva cresciuto e sapeva guidarlo e perché aveva esperienza, competenza specifica e carattere opposto. L'aveva conosciuto a cena, quando svernava a Brindisi da difensore – carriera mediocre per colpa d'un infortunio – ed era rimasto stupito dalla conoscenza globale del calcio e dall'aplomb: l'aveva portato alla Samp, osservatore e poi responsabile, quindi alla Juve come ds.
Binomio perfetto per anni, finché Marotta, da sempre attento a coniugare risultati e bilanci, si mostra perplesso davanti all'operazione Ronaldo e viene bollato come pavido e "vecchio", non come savio: finisce con il divorzio e la promozione del delfino, che nemmeno brilla per gratitudine. Lui però è uomo di campo, non di finanza, e mal sopporta le scartoffie preferendo battere i campi: difatti colleziona errori, non guarda al futuro, non accetta i consigli. S'allarga troppo, prendendo in prestito il verbo scelto da John Elkann.
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