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    LA PROVINCIA DI VARESE HA UN PROBLEMA CON LE BABY-GANG - I RAGAZZINI, A VOLTE DI 12 E 13 ANNI (DUNQUE NEMMENO IMPUTABILI) E DI DIVERSE PROVENIENZE FAMILIARI, SI MUOVONO IN GRUPPI E ASSALTANO I COETANEI A CASO, RUBANDOGLI SOLDI E STRAPPANDO CATENINE O CUFFIETTE – GLI INVESTIGATORI PARLANO DI “CASO VARESE”, MA IL FENOMENO SI STA ALLARGANDO ANCHE A MILANO – E QUANDO VENGONO PRESI E PUNITI I GENITORI SI SCAGLIANO CONTRO LE FORZE DELL’ORDINE…


     
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    Andrea Galli per milano.corriere.it 

     

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    Non la pianificazione e la strategia operativa da banda, ma estemporanee azioni da predatori di strada; non l’obiettivo prefissato di un dichiarato bottino quali scarpe oppure giubbotti di marca, ma il depredare quel che capita; una generale banalizzazione del male e delle sue conseguenze — ovvero l’indifferenza verso i guai legali — che unisce ragazzini e ragazzine, a volte di 12 e 13 anni dunque nemmeno imputabili, di variegata provenienza famigliare, spesso figli di genitori separati oppure, se ancora insieme, ognuno per proprio conto, e senza nessuna categorizzazione di nazionalità, ché sapere di brutte cose combinate dagli stranieri aiuta a mondare la coscienza, pur restando latente il tema delle seconde generazioni. 

     

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    Ma nel suo complessivo, non è questo il caso, e comunque, anche laddove ci sono minori marocchini ed egiziani, qui sono nati e cresciuti. Ebbene, specie tra Saronno e Gallarate, per origini che potrebbero/dovrebbero interrogare i sociologi e dapprima papà e mamme, insegnanti, istituzioni (qui il parere dell’esperta della polizia Ornella Della Libera), in realtà proseguendo una sequenza già deflagrata dopo i lockdown della pandemia la provincia di Varese conteggia, come altre zone ma allo stesso tempo come poche altre, diffuse e ampie problematiche relative alla delinquenza minorile.

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    La puntuale opera di contrasto del Comando provinciale dei carabinieri e della Questura, con il primo più efficace sul territorio grazie alle caserme sparse e alla cognizione di causa di determinate manifestazioni sociali, non permette di sottovalutare la portata degli episodi. 

     

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    Sapere cioè che tanto, e nemmeno alla lunga, nessuno la fa franca, diventa anzi un ulteriore strumento, in virtù di verbali e ordinanze lette dal Corriere insieme ai colloqui svolti con gli investigatori, per inquadrare che cosa sta succedendo da queste parti. 

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    Senza la presenza, a monte, e sono i medesimi investigatori a sottolinearlo, di un devastante «caso-Varese», di una degenerazione priva di argine, pur se certe situazioni, a cominciare dai reati commessi dalle ragazzine, inquadrano una realtà che dalla provincia si sta ambientando anche a Milano, dove gli specifici fatti, non continuamente denunciati, sono in aumento.

     

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    Il materiale che abbiamo esaminato e l’analisi che ne deriva, al netto delle ovvie differenziazioni e specificità, fa emergere rapine improvvisate: per esempio un gruppo composto da una decina di unità transita in un giardinetto, così come a bordo di un treno delle Nord e all’esterno di una scuola, incrocia un coetaneo, lo assale. 

     

    Se quello ha addosso delle cuffiette, anche di scarso valore, vengono rubate; se porta una catenina con il crocefisso, idem; se ha un cappello che piace a uno del gruppo, gli si porta via quello; se in tasca tiene 13 euro in maggioranza monetine, spariscono. 

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    Non si decide a priori il bottino, e neanche che oggi anziché domani sono in programma scorrerie; tutto, come detto, ha una tempistica istantanea che dipende dai luoghi, dalle circostanze.

     

    Una volta acquisita la merce, si valuta di conseguenza, e una catenina finisce al compro oro ignorando, oppure fregandosene, la possibilità che gli impiegati del negozio possano avvisare le forze dell’ordine. 

     

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    E comunque, quand’anche queste siano in avvicinamento, magari per soccorrere una vittima che ha dato l’allarme, e convergano sulla scena del crimine, i giovanissimi predatori da strada rimangono nei paraggi, con la facile conclusione d’essere individuati e fermati. Un atteggiamento di maldestra sufficienza, un’ulteriore sfida o un solido menefreghismo verso il mondo degli adulti? 

     

    Dalle ordinanze ambientate a Saronno, nelle vicinanze della stazione ferroviaria di piazzale Cadorna, emerge la persecuzione dei bersagli. Persecuzione perché, successivamente alla rapina, è avvenuto che le vittime venissero inseguite, con la costante minaccia alle spalle di starsene zitti e di nulla dire a casa.

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    Ma poi, la casa: accadimento riportato a Milano dalle donne e dagli uomini di pattuglia, la reazione del genitore che arrivano in commissariato o in caserma contempla scenari di gran fastidio per esser stati disturbati; oppure, in una frequenta tecnica di neutralizzazione di un comportamento deviante, se la prendono con le forze dell’ordine colpevoli, a loro dire, di aver esagerato, di aver preso di mira dei bravi educati ragazzini. 

     

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    La sintesi mediatica secondo la quale la litigiosità e la crescita esponenziale della delinquenza minorile sia un esclusivo effetto collaterale della pandemia, pertanto un dolo della natura e magari della politica, non incontra credito negli inquirenti: i gip evidenziano profili con esigenze serie e stringenti di un processo di rieducazione, con l’assenza di auto-disciplina e auto-controllo, con mediocri se non impalpabili figure educazionali di riferimento.

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