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    LA SAI L’ULTIMA? IL MITO DEL TENNIS “NIC” PIETRANGELI E’ UN FUORICLASSE DELLA BARZELLETTA. E ORA SALE SUL PALCO CON GIANFRANCO D’ANGELO - “MI SAREBBE PIACIUTO FARE IL COMICO. RIUSCIVO A FAR RIDERE PERFINO IL SERIOSO PANATTA - LE "STORIELLE" DI BERLUSCONI ("CON LUI E' FINITA PARI") - TOTTI? SIMPATICO MA LE SUE FREDDURE NON LE RICORDO MAI"


     
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    Gianni Perrelli per Il Venerdì-la Repubblica

     

    pietrangeli panatta pietrangeli panatta

    Da oltre due ore ci ingozzavamo di cibo e ci sbellicavamo dalle risate. Ma 40 anni fa in quel tavolo del ristorante Santa Lucia, tempio milanese del dopoteatro, c’era anche tensione da rivalità. Di fronte a me sedeva Carlo Dapporto. Forse ero stato io a provocarlo raccontando la prima barzelletta della serata. Il grande attore aveva raccolto la sfida. Di battuta in battuta, davanti a una platea che aveva calamitato tutti gli avventori, eravamo impegnati in un duello western all’ultima storiella. Alle tre di notte, gettai la spugna. Avevo esaurito il mio repertorio e gli riconobbi la vittoria. Ma Dapporto mi concesse cavallerescamente l’onore delle armi.

     

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    La freddura più divertente l’avevo raccontata io. “Torneo di tiro con l’arco nell’antica Inghilterra. Il primo arciere centra da cinquanta metri la mela deposta sul capo di un figurante. Inchino e presentazione del concorrente a Sua Maestà: I am William Tell. Stessa performance per il secondo arciere seguita dal medesimo cerimoniale: I am Robin Hood. È il turno del terzo che nello sgomento del pubblico colpisce il figurante in piena fronte. Attimi di gelo. Ma il concorrente conserva la freddezza e si rivolge anche lui al sovrano: I am sorry’”».

     

     

    Nicola Pietrangeli a 84 anni è un’icona vivente del tennis mondiale. Ma è anche un fuoriclasse della barzelletta, con un bagaglio di oltre mille facezie. La sera del 17 novembre a Modena, al club del tennis Meridiana, aprirà al pubblico la sua cassaforte di spiritosaggini nello show Battuta e risposta, coadiuvato dal cabarettista Gianfranco D’Angelo (che da giovane sognava di diventare un campione di tennis) e dal comico Demo Mura. Un modo per conferire dignità a un genere di comicità istantanea le cui origini, secondo il ricercatore Mario Andreassi, risalirebbero alla civiltà sumera. Avversata per eccesso d’insolenza perfino da Aristotele e Platone, la barzelletta venne rivalutata nell’antica Roma da Plauto. Uno dei bersagli principali era la donna. Oscurato nel Medio Evo, il genere è rifiorito nello scorso secolo bersagliando soprattutto i dittatori. Al punto che Adolf Hitler istituì addirittura un “tribunale della barzelletta”.

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    «In realtà» sorride Pietrangeli «è solo un innocente motto di spirito che ha un valore sociale perché spesso rilassa e a volte risolve una serata».

     

    Ma lei come ha scoperto questa vocazione?

    «Cominciai a raccontare barzellette in serie quand’ero capitano della Nazionale in Coppa Davis. Volevo far arrabbiare Adriano Panatta che faceva il serioso. Gli strappavo una risatina a denti stretti solo con le storielle più divertenti».

     

    Panatta non ha il senso dell’humour?

     

    «Ha la tendenza a mostrarsi antipatico. Ma si scioglie se è pungolato a dovere da chi, come me, conosce bene la sua psicologia. Lo scorso febbraio, ospiti da Fabio Fazio, deliziammo i telespettatori con un fitto ping pong di battute. “È nata una coppia di comici” scrisse il giorno dopo Roberto D’Agostino che non è mai tenero con nessuno».

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    Se non fosse diventato una leggenda del tennis, le sarebbe piaciuto fare il comico? «Probabilmente sì. Perché la battuta mi viene facile sia sul campo che nella conversazione. Il tennis mi ha trasmesso disinvoltura anche nella vita. Ma forse avrei scelto di fare la spalla. Perché nel cercare di far ridere evito la gestualità del mattatore. Tra i comici la vena umoristica in cui più m’identifico è quella di Antonio Albanese».

     

    Ma come nascono le barzellette? E a lei chi le fornisce?

    «Da quanto ne so nascono prevalentemente nelle carceri. Per ammazzare la noia della detenzione. E riflettono quasi tutte un fondo di verità. Le annuso nei bar, per strada, nei posti più impensati. E poi le seleziono. Inutile tenere a mente quelle stupide. Ce ne sono alcune, invece, che valgono per dieci».

     

    Fra le personalità che ha incrociato chi è appassionato di barzellette?

    nicola pietrangeli nicola pietrangeli

    «In passato il principe Ranieri di Monaco. Eravamo amici. Ricevevo spesso telefonate di madame Siri, la sua storica segretaria, che con molto tatto mi chiedeva: “Monsieur Pietrangeli, posso passarle il principe?”. Lui attaccava a parlarmi di golf e tennis, grandi passioni, ma sbottava quasi subito: “Senti un po’ l’ultima”. Guai a dirgli che la sapevo. Una volta che ero a pranzo da lui ed ero sul punto di interrompere una sua storiella per dirgli che già la conoscevo, Livio Ruffo della Scaletta, il gentiluomo di corte, mi diede sotto il tavolo un calcio negli stinchi. In tempi più recenti mi sono confrontato con Silvio Berlusconi, barzellettiere di grande talento».

     

    Ha vinto lei?

    «No, match nullo. Ero stato invitato a palazzo Chigi da Rocco Crimi, allora sottosegretario con delega allo sport, per parlare di tennis con il Cavaliere. Ma si passò presto alle barzellette. La sua prima storiella la sapevo e lui lo capì dall’espressione un po’ annoiata della mia faccia. “Me ne racconti allora una lei”, mi provocò. Stoppandomi poi quasi subito: gliel’avevano già raccontata. Finì in pareggio, 3 a 3: nessuno dei due riuscì a far ridere l’altro con una barzelletta nuova. Non c’era tempo per approfondire. Però il premier aveva preso gusto alla sfida e incaricò Crimi di organizzare una serata tutta dedicata alle “ultimissime”. Poi non se ne fece niente».

     

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    Ha mai partecipato a un torneo di barzellette?

    «Una volta, in televisione, a La sai l’ultima?. In finale mi scontrai con Remo Girone, che in quel momento con La Piovra godeva di grande popolarità. Ricevetti caute pressioni per cedergli il campo. E io mi feci due calcoli. Il primo premio era un viaggio alle Maldive, dove ero stato dieci volte. Il secondo un soggiorno in Kenya, paese che non conoscevo. Trovai conveniente perdere. Ma la barzelletta migliore era la mia».

    Ce la dica...

    «Serata di gala sul Titanic. Il mago cerca di mettere in scena i suoi numeri ma viene boicottato ogni volta dalla voce petulante di un pappagallo presente in sala. “Il coniglio? È nella manica della giacca. La colomba? È nelle calze. Le carte? Sono truccate”. La nave va a picco e il mago e il pappagallo si ritrovano aggrappati entrambi a un tronco del relitto. Si guardano con ostilità per molte ore e infine il pappagallo sbotta: “Va bene, hai vinto tu: dove hai nascosto la nave?”».

     

    Chi ha riso di più alle sue barzellette?

    nicola pietrangeli con amii stewart foto andrea arriga nicola pietrangeli con amii stewart foto andrea arriga

    «Marcello Mastroianni non riusciva a contenersi ogni volta che gli raccontavo la barzelletta sul torneo di abilità nella caccia. “Un francese con un solo colpo di fucile fa fuori due anatre. Un inglese uccide un paio di volatili con una freccia. Infine arriva un giapponese che sguaina uno spadone. Con cui, dopo aver emesso alcuni suoni gutturali, fende l’aria scagliandosi contro una zanzara che però continua a volare. Al termine dell’esibizione il capo della giuria lo convoca sul palco e gli dice: Guardi che la zanzara vola ancora. Sì, ma non scopa più”. Marcello rimaneva riverso sul divano a sbellicarsi per alcuni minuti».

     

    Conosce altri sportivi appassionati di barzellette?

    «Francesco Totti è simpatico ma le sue battute non me le ricordo. Il barzellettista migliore è Giordano Maioli, mio compagno di doppio. Il suo repertorio è però un po’ greve. A me non piace l’eccesso di volgarità. Anche nel narrare storielle penso ci voglia equilibrio».

    NICOLA PIETRANGELI NICOLA PIETRANGELI

     

    Qual è il rischio maggiore per un barzellettiere?

    «Quello di stufare. O di andare fuori misura. Non tutti amano le barzellette. Quando si comincia a raccontarle occorre valutare il pubblico che si ha di fronte. Bisogna cercare di non urtare le suscettibilità. Ma è pur vero che la comicità non ha confini. Si può scherzare anche sui tabù. Basta farlo con garbo. I primi a ridere di se stessi sono per esempio gli ebrei. Che si raccontano storielle fra loro prendendo spunto perfino da una tragedia universale come l’olocausto».

     

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