Luigi Ferrarella per www.corriere.it
silvio berlusconi lara comi
Se hanno ragione l’ufficio comunitario antifrode Olaf, la Guardia di Finanza e la Procura di Milano, non è una bella pubblicità alla politica italiana quella fatta dall’ex europarlamentare Lara Comi (in due mandati dal 2009 al 2019, addirittura con ruolo di vicepresidente del gruppo del PPE-Partito Popolare Europeo), visto che la 36enne rappresentante di Forza Italia avrebbe a lungo indotto in errore il Parlamento Europeo sui contratti e sulla reale attività lavorativa di due propri «assistenti locali» in modo da lucrarne un indebito profitto (corrispondente ai contributi erogatile da Strasburgo per pagarli) di almeno 525.000 euro.
Soldi di cui oggi la giudice delle indagini preliminari Raffaella Mascarino ha disposto, a fini di confisca, il sequestro per equivalente (fino al valore stimato della «truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche») su qualunque bene di proprietà di Comi, e, in solido con lei, di altri cinque coindagati, tra i quali due assistenti e tre collaboratori di Comi.
Contanti, bonifici, carte di credito
LARA COMI
In teoria i contratti prevedevano l’assistenza nella gestione degli uffici e nel lavoro del deputato per una durata di 40 ore settimanali, ma sin dalla sottoscrizione del contratto l’assistente di turno, in questi caso Enrico Giovanni Saia e Maria Carla Ponzini, veniva informato che avrebbe incassato solo una minima parte dello stipendio concordato con Comi (e finanziato con i contributi del Parlamento Europeo).
Infatti il resto del denaro confluito sui conti del coindagato Gianfranco Bernieri, che nella veste di «terzo erogatore» era formalmente incaricato di gestire poi i rapporti contrattuali con gli assistenti locali di Comi, veniva invece incamerato da Comi o direttamente con la consegna di contanti da Bernieri all’eurodeputata o a suo padre Renato; oppure attraverso bonifici dal conto di Bernieri a quelli di Comi o dell’associazione «Europe4You» ad ella riconducibile; oppure ancora tramite carte di credito messe a disposizione di due suoi collaboratori, Giovanni Pio Gravina e Alessia Monica, e utilizzate per loro spese personali.
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Tutti soldi del Parlamento dirottati dal loro scopo istituzionale, mentre in realtà gli assistenti di Comi non svolgevano attività, se non in minima parte sporadicamente e senza documentazione.
Dalla «mensa dei poveri» all’Olaf
Questa vicenda è emersa a latere della seconda fase del filone principale della cosiddetta inchiesta «mensa dei poveri», quella che determinò l’arresto di Comi dal 14 novembre al 5 dicembre 2019, e per la quale i pm Silvia Bonardi, Luigi Furno e Adriano Scudieri hanno avanzato richiesta di rinvio a giudizio contenente già anche la vicenda (estranea al sequestro di oggi) di Andrea Aliverti, un portavoce del quale Comi fece figurare un aumento del 20% dello stipendio allo scopo però di farsi retrocedere gran parte dei soldi e impiegarli per contribuire alle spese di Forza Italia varesina reclamate dal big territoriale Nino Caianiello.
silvio berlusconi e lara comi
La notizia dell’arresto aveva allertato l’Olaf, cioè l’ufficio comunitario che indaga sui casi di frode ai danni del bilancio dell’Unione Europea e sui casi di corruzione e grave inadempimento degli obblighi professionali all’interno delle istituzioni europee, perché dal proprio sistema online di notifica delle frodi aveva già ricevuto a febbraio una lettera anonima, e a partire da essa aveva poi riscontrato in effetti «irregolarità, atti fraudolenti, possibile plagio, conflitto d’interessi e attività esterne non dichiarate» di Comi per un valore complessivo di 780.000 euro del Parlamento Europeo. Olaf e Procura di Milano e GdF si sono allora coordinati e incontrati più volte, finché le autorità italiane su questo procedimento hanno concesso all’Olaf la qualifica di «ausiliario di polizia giudiziaria» e l’hanno autorizzato a partecipare in Italia alle indagini e all’interrogatorio dei testimoni.
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