Fabio Tonacci per “la Repubblica”
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Ci vuole la migliore mano ferma del chirurgo per operare un paziente che è venuto a casa tua per ammazzarti. E che, dal letto della degenza, farnetica frasi del tipo «vi dobbiamo uccidere», «siete tutti nazisti», «i vostri figli e le vostre donne meritano la morte». Ma tra Putin e Zelensky vince comunque Ippocrate, e un dottore è sempre un dottore. Ha giurato di salvare ogni essere umano, qualsiasi sia il lato del fronte da cui spara. All'ospedale militare di Zaporizhzhia curano i soldati russi insieme ai soldati ucraini. E ci sono giorni che ne arrivano talmente tanti che gli infermieri sono costretti a scrivergli il nome sulla fronte per non confonderli nella concitazione del momento.
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Dal 24 febbraio ad oggi, nella clinica sulla riva sinistra del Dnepr sono stati portati 600 feriti. Quando sono più di venti alla volta, prendono il pennarello nero e usano la pelle della fronte come bozza di cartella clinica. La guerra costringe ad arrangiarsi, fanno così sia con gli ucraini (il 90 per cento dei ricoverati) che coi russi.
I pazienti sono reduci della linea del sud. Combattevano a Mariupol, nei villaggi nella regione di Zaporizhzhia, a Cherson, a Mykolaiv, poi sono stati fermati da una granata, un mortaio, una fucilata o uno degli altri mille modi in cui si può morire da queste parti. Il tenente colonnello Viktor Pysanko, 38 anni, scorre sul telefonino le foto di corpi aperti, arti mozzati e membra carbonizzate.
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«Arrivano così, è orribile». Pysanko, direttore sanitario e traumatologo, ha già visto l'orrore, era in missione in Kosovo e in Congo. Non è uno che si impressiona facilmente. Tuttavia, ancora non si è abituato a ciò che i militari russi più giovani, appena ricuciti e rammendati, ripetono con cieca convinzione sul letto della degenza. «Non provano rimorso, non sanno cosa sia la pietà. Solo un ufficiale quarantenne era dispiaciuto e a disagio per essere stato mandato da Mosca a invadere un Paese senza sapere neanche il motivo. Gli altri, invece, duri e impassibili» I feriti dell'armata di Putin li tengono tutti in un reparto protetto, che chiamano "la stanza dei russi".
Le finestre non hanno le inferriate, ma ci sono delle guardie che li controllano. «Ci occupiamo di curarli e stabilizzarli, poi li affidiamo al ministero della Difesa e ai servizi segreti».
viktor pysanko
Sono già prigionieri di guerra a tutti gli effetti, però, appena estratti dal campo di battaglia, ricoverati e non ancora sottoposti a interrogatori, carcere e quel che di altro può capitare a un nemico catturato, si trovano in uno stato emotivo di sincerità assoluta che di lì a poco perderanno. Dicono quello che pensano. E pensano cose terribili.
Lipatov è un diciottenne russo trasportato su una barella dalla zona di Huljajpole. È un coscritto, aveva la gamba sinistra squarciata. La volontaria Oksana Korchynska, che prima faceva l'amministratrice delegata di una società di produzione, lo ha seguito durante la convalescenza post-operatoria. «Dove stava combattendo lui, alcune donne coi figli che stavano cercando di fuggire sono state colpite a morte. Mi ha detto, con sufficienza: "E allora? Qual è il problema?". Ho chiesto a quell'uomo così giovane di spiegarmi perché avessero sparato a civili inermi.
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Ha risposto: "Anche i bambini sono nazisti. Siamo venuti qui perché siete il male e vi dobbiamo eliminare tutti". Ho insistito, volevo sapere che cosa è per lui il nazismo e quali caratteristiche definiscono un nazista. È stato zitto. Il nostro chirurgo gli aveva salvato la gamba e lui balbettava concetti atroci come uno zombie. Ho pensato che era sotto l'effetto di droghe, non riuscivo a credere a ciò che stavo sentendo». Le analisi del sangue non hanno rilevato tracce di droghe né di alcool.
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Il sottotenente Pysanko si è confrontato con un ventiduenne proveniente dalla Russia orientale che pensava di aver trovato l'America in Ucraina. «Mi ha spiegato che l'obiettivo datogli dai suoi superiori è distruggere gli Stati Uniti. Al che sono sbottato e gli ho chiesto: "Dove lì hai visti i militari americani in Ucraina?". Risposta: "Sono qui per annientare gli Stati Uniti". Poi me l'ha fatta lui una domanda: "Sono sorpreso, perché mi avete salvato?"». La maggior parte dei chirurghi e degli anestesisti dell'ospedale militare di Zaporizhzhia ha un parente o un amico morto in guerra. «Nessuno ha mai esitato a curare un soldato russo », sostiene con orgoglio il tenente colonnello Viktor Pysanko. «Ma se avessero dubitato, avrei compreso».
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