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    V PER VENDEMMIA - LE PREVISIONI DEGLI ENO-CHIAROVEGGENTI (“SARÀ L’ANNATA DEL SECOLO PER IL VINO”) FANNO SALTARE IL TAPPO A CARLIN PETRINI (SLOW FOOD): “UNA MAGGIOR PRODUZIONE NON E' PER FORZA POSITIVA. L’ITALIA HA LA PIÙ GRANDE VARIETÀ DI VITIGNI AUTOCTONI: SU QUESTO BISOGNEREBBE PUNTARE, PIÙ CHE SULLA POTENZA DEI VINI CONOSCIUTI”


     
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    Lady Coratella per Dagospia

    carlo petrini carlo petrini

     

    Produttori di vino, enologi, critici, blogger, ristoratori o simpatici sbevazzoni da osteria, ascoltate Carlin Petrini: siamo ai primi di agosto, non cominciate con la solita storia della vendemmia del secolo perché detto ora, e così, non ha alcun senso. Come si fa a stabilire l'evoluzione della materia vivente? Sia essa animale o vegetale. È la natura che decide, lei sa e agisce come vuole.

     

    Noi dobbiamo cercare di rispettarla (e ce ne dimentichiamo troppo spesso) non di certo tentar di prevederla come fosse una questione di tarocchi o fondi di caffè. E spesso non si tratta di opinioni ottimistiche, ma di farneticazioni e scorrettissime certezze. Quando si opera sotto il cielo - gli agricoltori onesti lo sanno bene - l'unica certezza è l'incertezza, l'imprevedibilità.

     

    vino vino

    Può sembrare un'annata eccezionale, poi arriva una grandinata o inizia a piovere rovinosamente per giorni e giorni e ti ritrovi con le sole foglie in mano. Senza contare che l'Italia ha microclimi differenti anche all'interno di piccole zone. Inoltre gli ultimi 15/20 giorni prima della vendemmia sono fondamentali, è lì che l'uva raggiunge il punto preciso di maturazione. Ma non basta, esiste la fase successiva che comprende l'evoluzione in bottiglia la quale, non di rado, riserva sorprese o irrimediabili guai. Le annate dei vini non sono valutabili a due mesi dalla raccolta dell'uva. Chi si espone non è corretto nei confronti dei consumatori.

     

    2 - BASTA PARLARE DI ANNATA DEL SECOLO O DI SUPERAMENTO PRODUTTIVO E QUALITATIVO DELLA FRANCIA!

    Carlo Petrini per www.slowfood.it

     

    Si avvicina agosto e con esso il momento in cui partirà, da parte dei miei amici critici enologici e non solo, la corsa ad affermare quanto questa sia un’annata eccezionale dal punto di vista vinicolo e come la produzione italiana abbia ancora una volta toccato cifre record in barba ai nostri cugini d’oltralpe. Tutto legittimo e anche interessante, ma vorrei anticipare questo momento con due riflessioni.

    VINO 1 VINO 1

     

    Da un lato, come si dice dalle mie parti, i conti si fanno a bocce ferme. È evidente pertanto che, prima di lanciarsi in annunci e previsioni roboanti, la vendemmia va portata a casa. Non solo dal punto di vista del raccolto, che ovviamente dipende da condizioni climatiche quanto mai mutevoli e imprevedibili fino all’ultimo, ma anche da quello di un affinamento in cantina che non è uguale di anno in anno e che, fino alla prova concreta del tempo, non può essere valutato. Il punto tuttavia in questo caso è forse un altro, e cioè quali sono i nostri criteri di valutazione e quali i valori che si tengono in considerazione in questo genere di ragionamenti.

     

    FIERE VINO 1 FIERE VINO 1

    E qui arriviamo al secondo punto, ovvero quello della produzione. Grande attenzione viene spesa ogni anno nello stimare la produzione complessiva, la quota di mercato che la nostra viticoltura riesce a conquistare a livello internazionale, il prestigio che le nostre etichette riscuotono nel mondo. E’ indubbio che questo abbia importanza dal punto di vista della salute complessiva del comparto, ma non dobbiamo fare l’errore di pensare che una maggior produzione sia per forza di cose un dato positivo o che lo strapotere di vini come il Barolo e il Barbaresco, il Brunello di Montalcino fino ad arrivare al Prosecco per parlare di grandi numeri, vada salutato come segno del successo tricolore.

     

    VINO VINO

    Non va dimenticato, infatti, che l’Italia gode della più grande varietà di vitigni autoctoni imbottigliati del mondo, con più di 700 varietà che compongono il nostro panorama vinicolo e che ciascuna di queste ha particolarità e peculiarità che non solo le rendono uniche, ma che dovrebbero farne l’orgoglio vero della nostra agricoltura. Penso che su questo bisognerebbe puntare, più che sulla potenza internazionale dei vini più conosciuti.

     

    Anche perché la diversità è quella che ha fatto la storia della nostra enologia, è nella diversità che si esprime il territorio, e puntare tutto sul fascino dei grandi vini è una scelta un po’ miope così come è miope la scelta di osannare un aumento della produzione che, a conti fatti, vede, a fronte di un superamento della Francia in termini di numero di bottiglie prodotte, un’entrata nelle casse dei nostri produttori di poco più della metà rispetto agli omologhi d’oltralpe. Dove sta allora il nodo?

     

    vino rosso vino rosso

    A mio avviso la battaglia si gioca tutto sulla valorizzazione della varietà e della complessità del nostro panorama vinicolo, sapendo che un vitigno autoctono è quello che meglio ha adattato le proprie caratteristiche al territorio che lo ospita, e che nei secoli ha instaurato una relazione con l’uomo che a sua volta si è adattato alla sua coltivazione, ha messo a punto tecniche che a loro volta hanno plasmato il paesaggio e la socialità.

     

    Questo è il nostro più grande patrimonio, e la vera sfida è quella di trovare il modo di difenderlo e di farne la nostra bandiera. Diversamente ci troveremo probabilmente tra poco a celebrare la quinta annata del secolo in sedici anni, a gioire di un nuovo superamento produttivo dei francesi e ad assistere a una nuova occasione persa di prendere coscienza di quelle che sono la straordinaria varietà della nostra viticoltura e la grandezza dei nostri vignaioli.

    il vino macchia i denti il vino macchia i denti

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