Giuseppe Scaraffia per “Il Venerdì di Repubblica”
ADOLF LOOS - COME CI SI VESTE
«Se una civiltà scomparsa avesse lasciato come solo vestigio un bottone, potrei, a partire dalla forma di questo bottone, indovinare abiti e tradizioni di questa civiltà, le sue usanze e la sua religione, la sua arte e la sua spiritualità» asseriva Adolf Loos. Grande architetto e dandy anglofilo, Loos sentiva il bisogno di vivere nella bellezza. Invitato a partecipare a una mostra della Secessione aveva messo una condizione: «Esporrò soltanto quando saranno incluse nella mostra anche le valige di Wurzl», il suo fornitore preferito.
Adolf Loos
In questo frivolo e austero manuale (Come ci si veste, Skira, pp. 80, euro 14) passa in rassegna l’abbigliamento maschile e femminile, alternando filippiche a intuizioni imprevedibili. Come quella del futuro dei pantaloni corti. «Tutto quello che è moderno viene dalla giovinezza che passa poi nell’età adulta». Quando ancora imperavano le polacchine previde il successo delle scarpe basse allacciate.
Adolf Loos
Loos faceva parte della discreta schiera dei dandies novecenteschi, discreti fino alla cancellazione. «Come ci si veste alla moda? Facendosi notare il meno possibile». Per questo, malgrado il suo amore per l’Inghilterra, era ostile alle traforature delle scarpe che preferiva completamente lisce. Non a caso aveva scritto Ornamento e delitto. Tuttavia il suo rigore si attenua quando discettando sulle uniformi militari, evoca «il cinturone di traverso e disordinato il più possibile. In una parola: molto chic».
Aveva avuto un flirt con Joséphine Baker che lo riteneva uno dei migliori ballerini di charleston del mondo. Per lei aveva progettato una magnifica villa, purtroppo mai realizzata, a righe bianche e nere. Il centro era la grande piscina pensata per incastonare la padrona di casa nuda.
Adolf Loos
Invece per il profeta del dadaismo, Tristan Tzara, un dandy romeno che portava come lui il monocolo, aveva costruito a Parigi al 15, avenue de Junot, un edificio modernissimo, spoglio e attraente ancora oggi ammirabile. Mentre si trovava malato a Parigi, racconta la moglie Claire Beck in Adolf Loos. Un ritratto privato (Castelvecchi), le tarme si erano intrufolate nelle sue otto valigie e avevano devastato i suoi abiti. Eppure Loos resisteva: «Non buttateli via! Sono gli abiti migliori che ho qui con me, non buttateli».
La sua sete di stile era contagiosa, persino l’infermiera bionda che l’aveva assistito nella sua agonia ne era stata contagiata e aveva confessato alla moglie dell’architetto: «Ho imparato davvero molto dal signor Loos. L’uniforme che indosso, ad esempio, l’ho fatta fare seguendo le sue indicazioni».