Gianni Santucci per Corriere.it
STRAGE DI BARCELLONA
«Buongiorno, abbiamo preso in affitto la casa». Sorriso. Ragazzi arabi (almeno d’origine). Alternano francese e spagnolo quando vanno a presentarsi alla famiglia dell’appartamento accanto. Mentono. Quella villetta (diroccata e abbandonata da anni, proprietà del Banco Popular) l’hanno occupata. Ma sono gentili, e questo basta per accontentare gli abitanti di una strada sterrata e senza nome nell’«Urbanización Montecarlo», scempio urbanistico addossato al mare sotto la cittadina di Alcanar, 200 chilometri a Sud di Barcellona. «Da oggi allora saremo vicini di casa». La preparazione della strage inizia quel giorno, primi di luglio: il commando ha trovato il covo. Il laboratorio dove fabbricare le bombe.
Perché questo era il progetto iniziale, e la prima certezza a cui approda l’inchiesta spagnola sugli attacchi a Barcellona e Cambrils: dopo aver investito e massacrato i passanti, due furgoni sarebbero dovuti esplodere, potentissime autobombe tra le persone in fuga. Le vittime sono 14. Potevano essere centinaia.
ATTENTATI BARCELLONA - I RICERCATI
E allora bisogna ripartire da quella casa, per raccontare la ferocia invasata della «cellula catalana», questa dozzina di ragazzi per lo più d’origine marocchina, dai 18 ai 30 anni, alcuni nati in Spagna, cresciuti col calcio e l’orgoglio del «rap arabo». La villetta di Alcanar, alle 23.37 di mercoledì, la sera prima degli attentati, salta in aria. Un boato. Nelle abitazioni della zona piovono pezzi di mattoni, bulloni, tondini di ferro. Cinque feriti nella casa attigua, tra cui i figli dell’uomo al quale i «tre arabi» (così lui li descrive) erano andati a presentarsi.
Nella notte tra mercoledì e giovedì, dunque, la polizia spagnola ha in mano alcuni elementi che potrebbero far scattare l’allerta. Perché tra le macerie, scavando, scoprono prima un cadavere, poi un ragazzo ferito, e soprattutto molte bombole di gas (più di 100). All’inizio l’esplosione viene però trattata solo come un incidente, al massimo legata a un gruppo di balordi, o piccoli trafficanti di droga.
DRISS OUKABIR - ATTENTATO A BARCELLONA
Raccontava ieri al Corriere il vicino con la casa danneggiata: «Erano in tre, avevano una Peugeot 306 grigia, uno girava con una moto Kawasaki verde, il giorno prima dell’esplosione hanno fatto molte volte avanti e indietro con la macchina». Portavano gli ingredienti per gli ordigni. In una cantina viene scoperto un deposito di sostanze chimiche.
ATTENTATO A BARCELLONA
Spiega una fonte dell’antiterrorismo: «L’ipotesi più probabile è che stessero fabbricando piccole bombe artigianali da piazzare nei due furgoni, in mezzo alle bombole, per fare da innesco al gas. Quando hanno commesso l’errore che ha provocato la deflagrazione, stavano collegando le bombole. Per capire l’effetto devastante che avrebbe potuto avere lo scoppio dei due Fiat Talento in mezzo alla folla, basta guardare come è ridotta quella villetta di cemento armato. Disintegrata».
DRISS OUKABIR - ATTENTATO A BARCELLONA
Mentre ancora si scava tra le macerie della casa, alle 4 e mezza di giovedì pomeriggio, una ruspa che smuove una trave provoca un altro botto. È la certezza che l’incidente non era dovuto a una fuga di gas, e che lì dentro non c’erano trafficanti di droga. Ma ormai è tardi: mezz’ora dopo, uno dei due furgoni noleggiati qualche giorno prima inizia a falciare i passanti sulle Ramblas di Barcellona.
attentato barcellona
E così iniziano a chiarirsi ruoli e progetto: a guidare la cellula jihadista era proprio il gruppetto di Alcanar, quello dei più esperti, incaricati della fase più delicata della preparazione dell’attentato. Quando esplode la casa, i «soldati» rimangono senza guida. I furgoni non possono diventare bombe; sanno che la polizia inizierà a lavorare sul morto e il ferito (ieri nella casa è stato trovato anche un secondo cadavere, non identificato). Non c’è più tempo, così parte l’attacco, immediato e scomposto. E forse non è un caso che il primo ad entrare in azione sia il più giovane e più furioso, il 18enne Moussa Oukabir.
ATTENTATO A BARCELLONA
A questo punto la ricostruzione è poco chiara: un secondo furgone viene ritrovato a Vic, a Nord, verso la Francia, come se servisse per fuggire; un uomo rimane accoltellato a morte in un’auto che scappava appena fuori città, potrebbe essere stato «sequestrato» e ammazzato dal fuggiasco delle Ramblas. Viene fermato il fratello di Moussa, 28 anni, e così emerge il secondo gruppetto della cellula, quello di Ripoll, altro paese nei dintorni di Barcellona.
Ad Alcanar viene messo in arresto il ferito nell’esplosione della sera prima. Nel capoluogo le ambulanze raccolgono morti e feriti. Le autostrade sono blindate dalla polizia. Ma i jihadisti corrono, probabilmente a fine pomeriggio sono già saliti in cinque su un’Audi A3 nera. È il nucleo più duro, quello più convinto di ammazzare ancora, prima di farsi sparare. E infatti i fratelli Mohamed e Omar Hychami, Said Aallaa, Moussa Oukabir e Hussein Abouyaaqoub moriranno all’inizio della notte.
ATTENTATO A BARCELLONA
All’una e 10 piombano con l’Audi nella rotonda sul lungomare di Cambrils, piccolo centro turistico 120 chilometri a Sud di Barcellona. Provano a investire i poliziotti davanti al circolo nautico. Velocità alta, l’auto si ribalta. Scendono a fatica. Hanno coltelli, un’ascia, finte cinture esplosive. Hanno già travolto cinque persone (una morirà). Provano ad aggredire i passanti. Un poliziotto (secondo alcune versioni sarebbe una donna) ne abbatte quattro.
attentato barcellona1
Uno s’allontana e sfregia una signora. Poi le pallottole lo piegano a terra. E così i terroristi morti sono in tutto sette, quattro arrestati, due ricercati. Prima di morire, vicino al mare di Cambrils, hanno agonizzato a 50 metri dall’hotel «Monica»: qui, tra il 9 e il 17 luglio 2001, alloggiò Ramzi Binalshibh, la «mente» degli attentati dell’11 settembre, e si incontrò col capo dei dirottatori Mohamed Atta. Fu la riunione finale prima di passare all’azione e abbattere le Torri gemelle di New York. Nessuno, al momento, può dire se i nuovi jihadisti marocchino-catalani abbiano avuto la suggestione del luogo.
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