DAGOREPORT
GIUSEPPE CONTE CON ENRICO LETTA
In parole volgari: Letta non ha vinto un cazzo! In altre parole: non c’è una vittoria del centro-sinistra, ma una sconfitta del centro-destra disfattista (da Alessandria a Verona). In barba ai titoli sbandierati dai giornaloni in gloria di Enrichetto (“Una grande vittoria del Pd e del centrosinistra che rafforza il governo’’), ha ragione la Ducetta Meloni, in un video su Facebook, a prendere il pallottoliere e sgolarsi: “Non siamo soddisfatti di questi ballottaggi, il centrodestra poteva fare meglio ma, visto che il Pd festeggia, il dato complessivo ci obbliga a riportare Letta sul pianeta terra: centrosinistra e 5 stelle governavano 56 comuni, oggi 53. Il centrodestra 54, oggi 58".
GIORGIA MELONI
Dov'è la vittoria del ‘’campo largo’’ di Letta? Le cocenti sconfitte al primo turno a Palermo e a Genova (“città tre volte più grandi di Verona”)? L’ex calciatore Damiano Tommasi che, per espugnare una storica roccaforte del centrodestra, si è tenuto bel lontano dal palco del comizio presieduto a Verona da Letta e Conte? (Infatti foto di gruppo dei due dioscuri del “campo largo” con il boccoluto chierichetto veronese non esistono). C’è solo quel poverino di Francesco Boccia, che nel suo trip filo-grillino ereditato in Puglia da Emiliano, si spara pippe del tipo: “Il messaggio è semplice: la coalizione dei progressisti deve essere unita se vogliamo battere la destra”.
matteo salvini federico sboarina giorgia meloni
Con queste 5 stelle ormai vaporizzate (“Un po' come quei giocatori squalificati alla fine del primo tempo. Praticamente, un osservatore. In panchina, al massimo per fare il tifo, mentre cerca di medicarsi le ferite. Così è apparso Giuseppe Conte ai ballottaggi”, scrive il Messaggero), solo un’overdose di Lsd permette a Letta e Boccia di vedere “la coalizione dei progressisti”.
Aggiungere che in molte delle città in preda al ballottaggio ha avuto un ruolo sovente decisivo, che nessuno si aspettava, il partito Azione di Carlo Calenda. Il Churchill dei Parioli ha già chiarito a Letta che non vuole tra i piedi né Conte né Di Maio: “Preferisco correre da solo”.
il comizio di giorgia meloni per vox, in spagna 2
“Noi - spiega a La Stampa - alle elezioni andiamo da soli con Più Europa e con liste civiche. E se riusciremo a prendere tra l'8 e il 10 per cento eviteremo la formazione di un governo antieuropeo di destra e solo così si potrà andare avanti con Draghi. E non lo possiamo fare alleati col Pd, che correndo con i 5stelle non sarà attrattivo, dobbiamo presentarci con un'area forte e indipendente dai due poli”.
Quel che è certo è che il Pd, al di là dei Boccia, si sta rivelando come il solo partito organizzato, che ha una classe dirigente presentabile, a differenza della somma mediocrità degli esponenti di Fratelli d’Italia (in sostanza la Meloni vanta una sorella, il cognato Francesco Lollobrigida e il tuttofare Crosetto).
matteo salvini giorgia meloni federico sboarina
Mentre la Lega, che ha quadri ben radicato sul territorio, a partire dai governatori del nord, è strozzata dalla miriade di gaffe pedestri e decisioni a cazzo di cane di Matteo Salvini ((e uno dei pochi successi è arrivato a Gorizia, nel Friuli di Fedriga). Il Super-Sconfitto è lui. Non ha toccato palla al Nord e non l'ha toccata al Sud e al Centro. Certo, non si può immaginare una scissione alla Di Maio, ma di sicuro Giorgetti e i governatori chiederanno al “Capitone” di riunirsi subito intorno a un tavolo per capire cosa fare, pena sciogliersi come neve al sole alle politiche del 2023.
astensionismo
“Il bilancio si fa dopo i ballottaggi”, aveva detto Zaia. E ora dunque i governisti del Carroccio non solo non daranno tregua a Matteo sul tema dell'autonomia - il cui abbandono da parte del capo è considerato il vero motivo del flop al Nord - ma potrebbero chiedere un cambio di linea su tutto e un comitato politico per commissariare il segretario o addirittura detronizzarlo”, sottolinea il Messaggero.
A proposito di astensionismo. Ai seggi solo 4 su 10, hanno strillato i giornaloni non considerando minimamente che si trattava di ballottaggi che si sono svolti sotto la minaccia di tre grandi emergenze: il perdurare del Covid, la guerra in Ucraina e lo spauracchio sempre più presente della recessione economica.