Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera - Estratti
LINO BANFI CON LA MOGLIE
Chi è quel signore vestito di bianco sottobraccio a Lino Banfi?
«Un mio amico. Sono stato a trovarlo sette volte. La prima gli dissi: voglio diventare il giullare del Papa. Quando lei è incavoleto, mi chiama, e io la faccio sorridere».
E il Papa?
«Ogni tanto mi chiama. E io gli racconto gli episodi più divertenti della mia vita, e pure quelli tristi: il mio sogno è sempre stato far ridere e piangere insieme. Come prova d’amicizia gli ho chiesto questa foto. Lui ha messo via il bastone, e si è appoggiato a me».
(…)
E sua madre?
«Non era andata a scuola proprio. Quando doveva firmare le dicevano: Nunzia, fa’ la cruoce. Ma lei rispondeva: “Mi chiamo Nunzia Colia”, e di croci ne faceva due: una per il nome e una per il cognome. Mamma me la sono goduta più a lungo. Quando si ammalò, cercai per lei il miglior chirurgo. Dopo l’intervento il luminare volle incontrarmi, mi portò in uno sgabuzzino, chiuse a chiave. Pensai dovesse darmi notizie gravi».
Invece?
«Si inginocchiò, mi baciò la mano, e disse: “Ho sempre sognato di baciare la mano che ha toccato il culo a Nadia Cassini”. Avevo affidato la vita di mia madre a un pazzo».
(...)
PAPA FRANCESCO E LINO BANFI
Come cominciò per lei lo spettacolo?
«L’avanspettacolo. Quando venivano le compagnie, nell’intervallo il pubblico scandiva il mio nome: Zagaria-Zagaria… Io salivo sul palco con una calza della mamma in testa, e imitavo i grandi della musica nera: Don Marino Barreto, Nat King Cole, Armstrong… Un giorno l’impresario mi propose di seguirlo».
E lei?
«Esitavo, ero un ragazzino… Poi incrociai lo sguardo di una ballerina bellissima. Mi sorrise e mi fece il segno: firma… Firmai. Per papà fu un dolore. Mi disse solo: fatti sentire ogni tanto».
Primo ruolo?
«Il figlio ingrato. Quello che doveva inginocchiarsi e baciare le mani dello Zappatore».
Poi partì per Milano.
LINO BANFI CON EDWIGE FENECH
«Con la valigia dell’emigrante: l’unico vezzo fu legarla, anziché con lo spago, con un foulard di mamma. Sulle case era scritto “non si affitta ai meridionali”, o anche direttamente “non si affitta ai terùn”. Così cancellai con la scolorina la n di Andria, per risultare nato ad Adria, e facevo l’accento veneto: “Ghe xè una camera per mi?”. I soldi finirono subito. Avevo 19 anni da compiere e una fame arretrata. Dormivo nei vagoni sui binari morti della stazione. Un clochard, anzi un barbùn de prufesiùn come si definiva, mi prese sotto la sua protezione: “Quel vagone parte, dormi in quell’altro…”. Fu lui a suggerirmi l’idea delle tonsille».
Tonsille?
«Faceva freddo, sognavo un letto e un pasto caldo, e il barbùn mi chiese: “Ce le hai ancora le tonsille?”. Ce le avevo. “Fattele togliere. Tanto non servono a niente. E ti fai una bella settimana in ospedale”. Ma io non sono malato. “Ma sei un attore, no? Intanto prendi questo”, e mi prepara un intruglio a base di chinino che in effetti mi fa gonfiare la gola. Vado in ospedale, a Baggio, e convinco i medici a operarmi. Non avevo calcolato che dopo ti tengono a digiuno…».
E la dimisero, immagino.
LINO BANFI
«Avevo più fame di prima, ed ero disperato. Così mi ricordai di quel che diceva mio padre: quando sei nei guai, di’ la verità. Al primario dissi la verità: “Mi sono operato per fame”. Quello capì, mi perdonò, e mi affidò a una suora: “Questo ragazzo ha bisogno di un’altra settimana di ricovero, e di due pasti abbondanti al giorno”».
Quando divenne Lino Banfi?
«Più tardi, a Roma. Lavoravo nel teatro di Graziano Jovinelli, che mi mandò da Totò con una lettera di presentazione: “Ma mi raccomando, non la aprire, non leggere quello che scrivo di te”».
E lei?
«Io ovviamente aprii la lettera, con il trucco del vapore, e la lessi. C’era scritto: “Caro Totò, hai davanti un giovane di talento, che non si smarrisce nei congiuntivi”. Praticamente una laurea. Totò mi chiese: come ti chiami? E io: Pasquale Zagaria, in arte Lino Zaga. E lui: non va bene, lo devi cambiare».
Perché?
«È quello che gli chiesi. E lui: “Abbreviarsi il nome porta bbuono, guarda me che mi chiamo Antonio. Ma abbreviarsi il cognome porta malissimo”».
Ma perché Banfi?
LINO BANFI E TOTO
«Raccontai tutto al mio impresario, che era pure maestro elementare. Lui aprì il registro di classe e lesse alla prima riga: Aurelio Banfi. Gli ho rubato il cognome, e non l’ho mai conosciuto, mi piacerebbe incontrarlo… Eravamo in trattoria, e brindammo a Lino Banfi. L’oste si unì al brindisi: “Speriamo che tu abbia successo, così mi pagherai i conti”».
Cosa faceva a teatro?
«Il presentatore. Tre spettacoli al giorno, tra un film e l’altro. Aspettavamo dietro lo schermo, così vedevamo il film al contrario. Il personaggio del pugliese nacque dopo, in un cabaret romano, il Puff».
Come andò?
«Lando Fiorini aveva litigato con Montesano, che l’aveva mollato per la tv: “Ti sostituisco con il primo stronzo che trovo al Jovinelli!”. Il primo stronzo ero io. Arrivo e vedo questo pubblico sofisticato, molto diverso da quello dell’avanspettacolo: pellicce, gioielli veri, non falsi o tatuati. Pensai di maltrattarli un po’: “Porca puttena, che chezzo siete venuti a fare su questi pouf scomodissimi?”. Potevano mandarmi a quel paese. Risero».
La Puglia allora non era di moda: Modugno passava per siciliano, Arbore per napoletano.
LUCIANO PAVAROTTI E LINO BANFI
«Non avevamo tradizione teatrale, non abbiamo avuto Pirandello o Eduardo. Checco Zalone me l’ha riconosciuto: ho aperto la via della pugliesità. All’epoca nessuno di noi era profeta in patria».
Neppure lei?
«Nel 1972, tramite il suo segretario Nicola Rana, mi convoca in prefettura a Bari Aldo Moro: “Mi hanno detto che lei nei suoi spettacoli fa una battuta su di me… Me la ripete?”».
Qual era?
«In Russia Stalin è morto e c’è la destalinizzazione, in Italia Moro è ancora vivo ma c’è già la demoralizzazione…».
E Moro?
«Sorrise: “Bella. Molto fine. Ma non la dica più”. Mentre uscivo incrociai Pinuccio Tatarella».
Il missino?
lino banfi barbara bouchet spaghetti a mezzanotte
«Lui. Gli volevano bene tutti, anche Moro. Cominciammo a parlare di Puglia: perché non creare un consorzio di imprese, una per la pasta, una per l’olio, una per il vino? Moro e Tatarella erano d’accordo. Ma non riuscirono a trovare tre produttori disposti a collaborare. Si facevano tutti la guerra».
È vero che lei votava Msi?
«No, anche se qualcuno mi chiamava Pancetta Nera. Mio padre era un democristiano di centrodestra, e io pure. Ho sempre guardato l’uomo. Mi piace Veltroni e non solo perché si chiama Walter come mio figlio, quando si candidò a sindaco di Roma lo accompagnai nei centri anziani. Mi piaceva Craxi».
Lo conobbe?
«In un ristorante milanese. Stava con Berlusconi, che ci presentò. Lui era presidente del Consiglio, io ero quello che toccava il culo a Nadia Cassini e sbirciava Edwige Fenech dal buco della serratura. Eppure fu gentilissimo, fece il baciamano a mia moglie. Un signore».
I 5 Stelle l’hanno mandata all’Unesco.
«Non i 5 Stelle; Di Maio. Mi propose un gioco: “So tutte le battute di nonno Libero a memoria, interrogami…”. Ora facciamo le riunioni via zoom, sa quella cosa in cui ti vedi dentro una finestrella del computer? Voglio battermi per Canosa, far diventare il ponte sull’Ofanto patrimonio dell’umanità».
andrea roncato silvio berlusconi lino banfi
Quando aveva conosciuto Berlusconi?
«A una festa del padrone della Simac, macchine per gelati, dove ero andato pensando che potesse scapparci uno spot, una pubblicità. Vidi Berlusconi e pensai che fosse il pianista, perché suonava e cantava una canzone di Gilbert Becaud, la storia di un prigioniero innamorato: “A Pâques ou à la mi-carême/ quand je serai libéré/ lorsque j’aurai fini ma peine…”. La sapevo anch’io, così cantai con lui: “Marie, Marie, ecris donc plus souvent…”. Poi mi dissero: sai chi è quello? Il padrone di Telemilano. Finì che mi scritturò».
Eravate coetanei, come con il Papa.
«Berlusconi aveva due mesi meno di me; così mi chiamava “vecchio”. Ogni 11 luglio mi telefonava per gli auguri di compleanno: ciao vecchio! Una volta mi chiese di rifare un monologo di Risatissima in cui lo prendevo in giro».
Cosa diceva?
rosanna e lino banfi (alle spalle, lucetta scaraffia e galli della loggia)
«Berlusconi mi ha deluso, pensavo fosse alto tre metri… Lui vide la registrazione e mi chiamò: “Sei stato bravissimo, ma eri in maniche di camicia. Ti pregherei di rifarlo. Non cambiare una parola; ma mettiti il frac, o almeno la giacca. Ricorda che noi il sabato sera entriamo nelle case degli italiani».
Com’erano Franco e Ciccio?
«Grandissimi. Ogni tanto litigavano e ognuno minacciava l’altro: ti lascio e mi metto con Lino Banfi! Una volta accadde davvero: nel 1979 a Ciccio venne un’ulcera e io partii al suo posto con Franco per l’America, c’erano anche Rosanna Fratello e Bobby Solo. Di notte mi svegliavo per andare a vedere il mio nome che lampeggiava sull’insegna del Madison Square Garden».
E Villaggio? È vero che era cattivo?
«No. Semmai, cialtrone. Giravamo i Pompieri con Boldi e De Sica, lui diceva: offriamo la cena pure a quelli del tavolo vicino, poi se ne andava. E dovevamo pagare noi, per lui e per i vicini. Però, a differenza di altri comici, non era geloso dei colleghi che facevano ridere».
gigi sammarchi andrea roncato lino banfi l'allenatore nel pallone
Come fa a dirlo?
«Conosce la scena di “Fracchia e la belva umana”, quando il commissario Auricchio entra al ristorante, viene accolto da un stornello beffardo e dice: continua a suonere…».
I classici li conosco: «Nun me chiamo frifrì, sono commissario, e ti faccio un culo così…»
«Manganelli, l’ex capo della polizia, mi ha raccontato che la faceva cantare in coro a tutti i nuovi commissari, come rito iniziatico. Ecco, quella scena nel copione non c’era. Se lei guarda bene il film, nota che il suonatore cerca lo sguardo del regista e di Villaggio, per capire cosa fare. E loro gli dissero di continuare a suonere».
Aldo Fabrizi?
«Eravamo vicini di casa, uscivamo a passeggio: “Accanto a me sembrerai magro come Alain Delon”. Pativa Sordi: il marchese del grillo avrebbe voluto farlo lui».
Peppino De Filippo?
«Mi disse: tu si ‘na bella bestia da palcoscenico».
Sofia Loren?
lino e rosanna banfi funerale lucia zagaria moglie dell'attore
«Mi chiamò un mattino molto presto, per farmi i complimenti per una fiction sui bambini che l’aveva commossa. “Nuie simme ciucci ‘e fatica” mi spiegò: dobbiamo lavorare sino all’ultimo respiro».
Nadia Cassini l’ha più rivista?
«Me la fece ritrovare Chiambretti in una trasmissione, c’era anche Annamaria Rizzoli. Nadia era ingrassata, aveva bevuto, era una creatura splendida ma fragile».
E la Fenech?
«Sempre meravigliosa. Nata in Algeria in un paese che si chiama Bona, ora vive a Lis-bona. Cosa vuole di più?».
Rifarebbe quei film?
«Rifarei tutto. Un critico di sinistra mi confidò che andava di nascosto a vederli e piangeva dalla risate. Gli dissi: perché non lo scrivi? E lui: sei matto, poi mi licenziano. I figli di Dino Risi rievocano volentieri tutti i film del padre, tranne “Il commissario Lo Gatto”: perché? Carlo ed Enrico Vanzina invece hanno sempre ricordato che Steno mi diresse in “Dio li fa e poi li accoppia”. Ero un salumiere omosessuale che chiedeva al prete, Johnny Dorelli, di sposarlo con un uomo…».
C’è invece un film che si pente di aver rifiutato?
«Regalo di Natale. Ero stato travolto dal successo dell’Allenatore nel pallone, tenevo il ritmo di tre film all’anno, stimavo Pupi Avati ma non volevo rinchiudermi nel suo circolo, Cavina Haber Delle Piane… Fu un errore. Ma sono contento di aver fatto la fortuna di Abatantuono».
Ha ragione Favino a lamentare che personaggi italiani siano recitati da stranieri?
lino banfi papa francesco
«Favino è un attore bravissimo, ha pure origini pugliesi. Però è sempre stato così. Quando un’opera italiana ha successo, la rifanno con attori americani. Vent’anni fa girai con Nino Manfredi un film per la tv, “Difetto di famiglia”: quella volta il gay era Manfredi, e io suo fratello che si vergogna ma alla fine gli dona mezzo fegato e lo salva. Otto milioni di spettatori. Ora lo rifanno in America, con De Niro e Al Pacino. In compenso, una volta ho girato un film in tedesco».
(...)
Sordi com’era?
«Giravamo “Detenuto in attesa di giudizio”, dovevamo fare tardi per i primi piani, e io avevo il compleanno di mia figlia Rosanna. Gli chiesi se potevo farli prima io. Alberto mi diede un buffetto affettuoso e mi disse: “Beato te, che c’hai una bella famiglia”. Andai al suo funerale, un ammiratore in lacrime mi disse: “Lino, ce saremo pure pe’ te”. Ma vaff…».
Dicono fosse avaro.
«Non è vero. Sordi non era avaro; Sordi aveva il senso dell’importanza del denaro, che è una cosa del tutto diversa. Se noi davamo cento lire al mendicante, lui gliene dava mille. Se noi davamo mille lire di mancia al portiere d’albergo, lui gliene dava diecimila. Una volta gli chiesi: perché lo fai? E lui: perché io so’ Alberto Sordi, e da me s’aspettano questo».
Vedo che lei qui in casa ha incorniciato due lettere. Questa è di Federico Fellini.
lucia zagaria lino banfi
«Mi chiedeva sempre di raccontargli qualche episodio dell’avanspettacolo, soprattutto delle ballerine…».
Questa invece è di Papa Francesco: «I nonni sanno essere forti nella sofferenza, e tu sei il nonno di una Nazione intera. Raccogli l’eredità di fede e di bontà di Lucia…».
«Me la scrisse quando morì mia moglie. Abbiamo fatto in tempo a festeggiare i sessant’anni di matrimonio».
Come vi eravate conosciuti?
«Mi avevano espulso dal seminario, avevo saltato l’adolescenza, e cercavo una fidanzata. Così noto questa ragazza, carina, molto timida, che fa la rammendatrice. La fermo: “Signorì, te devo parlare…”».
E lei cosa rispose?
lucia zagaria lino banfi
«“Che vvuoi? Vattinne!”. Per fortuna ho insistito: le devo tutto. La sua famiglia non mi voleva; così facemmo la fuitina. Ci sposammo alle sei del mattino, in sacrestia. Un freddo tremendo. Il testimone tardava, e il prete si innervosì: “Sbrighiamoci, che dopo ho un matrimonio!”. Ci rimasi malissimo: padre, e il nostro cos’è? Così promisi a mia moglie che un giorno avrebbe avuto una festa da principi. E ho mantenuto».
Come ha fatto?
«Per le nozze d’oro diedi un ricevimento all’hotel Parco dei Principi. Volevo un principe vero, e mi dissero: ci sarebbe il principe Giovannelli, viene a tutte le feste. Lo invitai. Venne. Con Mara Venier, Nancy Brilli, Scarpati, Arbore…».
Perché deve tutto a sua moglie?
«Andammo a Roma sul camion della verdura di mio cugino: devo ancora pagarlo adesso. Era nata Rosanna. Non avevamo una lira, solo debiti coi cravattari. All’asilo mi dicevano: la bambina deve mangiare la carne, se no diventa rachitica. Questa parola — rachitica — mi rigira ancora dentro. Così andai dal senatore Iannuzzi».
Chi?
edwige fenech lino banfi
«Il senatore di Canosa. Mi trovò un posto da fattorino in banca, con la prospettiva di essere promosso usciere. Basta con l’avanspettacolo, da domani si lavora seriamente. Non ci dormii tutta la notte. All’alba Lucia mi disse: “Tu oggi non vai. Non voglio vivere con un uomo infelice. Tu devi fare l’attore. E io sarò sempre al tuo fianco” (Lino Banfi si commuove). Fino all’ultimo giorno l’ho baciata, l’ho chiamata amore, e l’ho amata veramente. Abbiamo anche concordato un segnale, un fischio, per riconoscerci nell’altra vita, tra tante anime».
In questa foto lei bacia pure il Papa…
«Sì, l’ultima volta ci siamo baciati sulla guancia. Mi era già capitato con Wojtyla e con Ratzinger, ma quelli erano baci appena accennati. Stavolta ho sentito davvero la guancia del Papa. Siamo due vecchi coetanei che quando si incontrano si sorridono, come due bambini che hanno combinato una marachella».
lino banfi foto di bacco
Lei è un uomo di successo, le hanno dato un premio al festival di Venezia, su Tik-Tok ha fatto un milione di clic in un giorno, però…
«Però ho sempre un velo di malinconia, è vero. Sto preparando un film sulla mia vita, lo chiamo il largometraggio. C’è una scena in cui dialogo con mio padre, ovviamente mio padre sono io. Lui teneva molto all’eleganza, portava un borsalino che si toglieva per salutare i signori. Lo penso con il pizzetto e gli occhiali. Nel frattempo ha preso tre lauree. E il cappello non se lo leva più».
Come immagina l’aldilà?
«Spero abbia ragione Dino Verde, l’umorista, che diceva: il Padreterno parla napoletano, lingua universale. San Pietro parla romanaccio. La Madonna invece è veneta: “Comandi…”. Poi c’è uno che racconta barzellette e fa ridere tutti, e quando Dio gli chiede “chi sei?”, risponde: “Sono Antonio, ma voi chiamatemi Totò”».
Bellissima. Ma dico davvero: come immagina l’aldilà?
«Un posto tranquillo e accogliente, perché così Lucia me lo sta preparando».
Lei mi fa ridere e piangere insieme.
«Ci ho messo quasi novant’anni; ma alla fine ce l’ho fatta».
antonio matarrese lino banfi foto di bacco antonio matarrese lino banfi foto di bacco (2)
lino banfi e la sua orecchietteria 6 lino banfi lino banfi e la sua orecchietteria 2
roberto pruzzo al cinema con lino banfi lino banfi lino banfi foto di bacco lino banfi