Marco Consoli per “La Stampa”
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Ha vinto un Emmy nel 2015 per la serie tv Le regole del delitto perfetto e un Oscar due anni dopo con il film Barriere. Viola Davis, 56 anni, presenza scenica indimenticabile e voce calda e profonda, non ha certo bisogno di presentazioni. Eppure a Cannes, durante l'incontro Women in Motion sull'emancipazione femminile e l'inclusività organizzato da Kering, non si è vergognata a dire che il successo è un'illusione che si percepisce solo per chi guarda gli scintillanti red carpet.
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«Tutti pensano che quando vinci un Oscar ti puoi sedere comodamente, chiamare il tuo agente e dire: voglio fare un film d'azione con Tom Cruise - dice mentre la platea di giornalisti ride, ignara dell'amara verità -. Non mi vergogno ad ammettere che nella mia carriera non ho scelto un solo ruolo, neanche quando ero all'apice e anzi spesso ho dovuto adattarmi a parti scritte male, cercando di usare tutta la mia professionalità per fare sembrare i personaggi più tridimensionali e interessanti di quanto fossero.
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Se sei donna, hai la pelle nera e hai più di 50 anni, Hollywood ti snobba. Quando ero giovane ho perso molti ruoli perché i dirigenti degli Studios non riescono ad associare il fatto che sei nera all'idea che tu possa essere sexy, un elemento imprescindibile per recitare nel cinema americano e che mi manda in bestia.
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Ho avuto un'infanzia difficile e spesso ho sentito che non ero degna, perché non ero abbastanza bella o semplicemente non meritavo qualcosa, e quando questi episodi hanno risvegliato in me quella sofferenza ho reagito nell'unico modo in cui sono abituata ad affrontare le difficoltà: buttarsi tutto alle spalle e andare avanti». Se anche ottieni la parte, ha raccontato poi Davis, i colleghi spesso sul set ti sottopongono a piccole cattiverie. «Ricordo, 30 anni fa, che un regista che conoscevo da anni mi chiamava durante le riprese Louise. Mi chiedevo perché, finché non ho scoperto che era il nome della sua collaboratrice familiare».
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Una domestica esposta al razzismo nel Mississippi degli Anni 60 in The Help è proprio il ruolo che ha dato a Viola Davis una vasta popolarità. «Poi dopo quell'exploit mi chiamavano solo per interpretare ruoli simili». Per fortuna non è stato sempre così e infatti Davis è stata ingaggiata poi per interpretare l'avvocatessa penalista Annalise Keating in Le regole del delitto perfetto, prodotto dalla potente Shonda Rhimes, che ha avuto un enorme seguito ma, per l'attrice, «si è rivelata una delle pochissime serie della tv generalista non interpretate da una protagonista bionda, giovane e col naso perfetto».
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Per questo Davis ha deciso di fondare col marito la casa di produzione JuVee Productions, «in modo da realizzare tutte quelle storie che gli Studios non vogliono produrre», come ad esempio il prossimo The Woman King, dove interpreterà Nanisca, generale di un esercito di amazzoni nel regno africano d'inizio 900 del Dahomey, temute per la loro ferocia.
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«Certo se il pubblico scegliesse di andare a vedere anche i film che parlano di donne vere e non soltanto i film Marvel (l'attrice ha interpretato Suicide Squad ma in abiti civili, ndr.) le cose andrebbero meglio». Nel frattempo sta per concludersi negli Usa su Showtime la serie The First Lady, in cui interpreta Michelle Obama. «Quando Obama è stato eletto ho provato come tutti i neri un moto di speranza che le cose potessero cambiare - conclude l'attrice - ma purtroppo io e tanti altri siamo rimasti delusi: qualche passo avanti è stato fatto, ma Hollywood non è molto diversa oggi rispetto a prima della sua elezione».
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