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Antonio Riello per Dagospia
Giappone: il solito dilemma. Il più “orientale” o il più “occidentale” dei paesi ? Ovvio che dal punto di vista geografico la faccenda non ha alcuna rilevanza. Ma nei termini della storia dell’arte e del gusto europeo, la domanda suona legittima e sensata. Di fatto la cultura visiva giapponese ha una sua fortissima identità, che negli ultimi due secoli ha influenzato moltissimo quella occidentale. (Perfino Impressionisti e Simbolisti parigini ne hanno tratto grande trastullo ed ispirazione).
Allo stesso tempo è stata (ed è) una grande consumatrice di stili e tradizioni che ci appartengono. L’Italia e soprattutto la Francia, sono infatti i suoi luoghi di riferimento in Europa. Così come anche gli Stati Uniti, decisivi nel plasmare – penso alla cosiddetta Pop Culture e ai Video Games - l’immaginario collettivo nipponico.
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Insomma parliamo di un particolare tipo di Estremo Oriente, fatto di abitudini e culture occidentali che, reinterpretate con una specialissima sensibilità, sono capaci di produrre esiti curiosi e sempre intriganti.
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In tutto ciò il Design anche più dell’Arte Contemporanea, direttamente correlato al gusto delle masse, può diventare elemento di colonizzazione culturale. Strumento talvolta, suo malgrado, di politiche imperialiste. Di fatto ogni forma di potere ha comunque sviluppato, più o meno brillantemente, un sistema di stili e oggetti caratteristici.
L’esempio più eclatante? Lo stile neoclassico che ha distinto la breve ma cosmopolita avventura napoleonica. Perfino il Fascismo italiano, provinciale per eccellenza, ha prodotto un suo design sui generis di stampo vagamente “modernista” che, dato per morto, è curiosamente risorto in Italia grazie agli appassionati di “vintage design”.
Poi l’esperienza della Bauhaus negli anni ‘20 ha creato un’idea di rigoroso razionalismo ideologico, per molto tempo lo standard dominante dell’Occidente. Mentre oggi stili (e relativi brandelli ideologici) convivono e si mescolano facilmente, in una sorta di frenetico “fusion design” che potremmo sinteticamente definire “Ikeano”.
Tutto ciò per dire che la nuova sala Toshiba dedicata al Design giapponese, appena inaugurata al V&A di Londra, potrebbe darci qualche ulteriore suggerimento riguardo a questi temi. Naturalmente ci sono i soliti magnifici tradizionali oggetti. Quelli dei Samurai tanto per intenderci. Le Katane affilatissime e terribili spade, le armature flessibili, leggere ed elaborate. E poi i Kimono, quasi leggere sculture da indossare. Piegati piuttosto che cuciti, da cui Miyake e Yamamoto certamente attingono.
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Cronologicamente il percorso si snoda sino ad oggetti realizzati nel 2014.
La prima evidente caratteristica, è che esiste un vero culto, radicato e diffuso, della precisione. E proprio le spade, realizzate da maestri armaioli con tecniche antichissime, sono la réclame di questa ossessione nazionale. Realizzate interamente a mano a forza di colpi di martello sull’incudine, sembrano prodotti realizzati con “controllo numerico”.
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Una precisione, più che pignola e meccanica decisamente naturale ed organica, che sa includere e rispettare pure il suo opposto. Il termine che la definisce propriamente è Wabi-sabi. Alla fine tutto sempre combacia, semplicemente ed impeccabilmente anche negli oggetti più umili ed economici come le tazzine da tè o le tante scatole e scatoline in mostra.
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Un secondo connotato, è l’innata e arcaica tendenza nipponica alla miniaturizzazione. I Netsuke, ovvero piccole figure antropomorfe o animaliformi in osso o avorio fibbie per fissare alle cinture dei kimoni sempre senza tasche dei piccoli sacchettini porta-cose (Inno), ne sono un ottimo esempio. Così come il rivoluzionario per l’epoca “Walkman” della Sony (giustamente anch’esso esposto), sottolineando in questo modo l’affermazione dell’industria elettronica che nel secondo dopoguerra ha sfornato generazioni di stereo, orologi e telefonini sempre più minuscoli e potenti.
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Ma l’elemento più particolare (anche il più sfuggente però) è quello che potremmo definire un certo grado di “Eleganza Minimale”, frutto di una radicale semplicità e ricerca di linee tendenti ad una assoluta perfezione formale e naturale. Un qualcosa di indefinibile ma potente che sembra trasudare da quasi tutti gli oggetti in mostra, antichi e contemporanei, ai quali viene conferita una radicale “attualità senza tempo”.
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Ed è proprio questa innata straordinaria abilità nel manipolare e controllare il tempo, che caratterizza anche un altro paradossale trend della creatività giapponese: una specie di curioso infantilismo, assai eclatante nelle realizzazioni degli ultimi quarant’anni. Una sorta di “lolitismo” che contraddistingue forme e colori degli oggetti di largo consumo.
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Dagli aspirapolvere Dyson rosa pastello per massaie giapponesi, agli utensili da cucina quasi giocattoli per bambine. Una parola che nella lingua giapponese sintetizza questo concetto è Kawaii. Visivamente rappresentata dall’iconica scultura in porcellana del 2013 dell’artista Hayashi Shigeki. Un inquietante bambino di tre anni (il figlio dell’artista ha fatto da modello) in sella ad una moto da corsa.
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Di fatto la lotta contro il tempo che passa, oggi è un trend diffuso ovunque. Una ossessione. Curiosamente, in un mondo afflitto da difficoltà economiche di ogni tipo, l’unica cosa letteralmente “in crescita” sono i trapianti e le tinture di capelli per lui e una nutrita panoplia di costose “punturine” e chirurgici ritocchi (alla “tanto non si vedono”) per lei.
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Il cosiddetto “look giovanile” (tremenda espressione) è un po’ alla volta ormai diventato un diritto acquisito; più o meno come la pensione e l’assistenza medica. Anche l’ineffabile fashion, sempre più spesso maschera da ragazzine signore decisamente attempate, tanto che la velenosa cattiveria usata per canzonare i Boy-Scout - “bambini vestiti da cretini o cretini vestiti da bambini” - potrebbe oggi essere tranquillamente declinata al femminile. Così come il Design, sempre più connotato da segni di giocoso (e per fortuna ironico) infantilismo. Che dire… sembra che tutti ci siamo, volenti o nolenti, un po’ “giapponesizzati”. Interessante certo, ma anche leggermente inquietante.
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Sempre a Londra, alla Barbican Gallery, un’altra mostra di Design: “The World of Charles and Ray Eames”. Due geniali coniugi americani, celeberrimi designers di seggiole e poltrone e non solo. All’inizio degli anni 40’, la coppia inizia ad utilizzare nuove tecniche legate ai materiali, piegando e plasmando il compensato. Il risultato saranno alcuni oggetti, veri e propri “standard” come la “Lounge Chair and Ottoman” e la “Plastic Side Chair”, oltre a una serie di elegantissimi tavolini, giocattoli in stile modernista e perfino irresistibili cavallucci a dondolo.
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Ma durante la loro lunga e produttiva ricerca, gli Eames esplorano molti temi chiave dell’Industrial Design: l’ergonomia, la produzione su larga scala, l’uso di materiali tecnologici, la modularita’. Inventano i mobili spediti a domicilio in appositi kit di montaggio (curano perfino due istruttivi video dove spiegano le modalità di assemblaggio. Altro che Ikea!). Il loro è davvero un design “americano” al 100%, inconsciamente strumento (in questo caso comunque gioioso e creativo) della propaganda americana durante la Guerra Fredda.
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Consulenti e responsabili della comunicazione visuale della IBM fin dai primissimi anni 60’, le possibilità offerte dal computer sono per loro una complessa realtà in cui credere e lavorare. Intravedendo con chiarezza un possibile e proficuo ménage a trois tra creatività, tecnologia e consumi, non sbaglieranno. Anche insegnanti impegnati e dinamici, gli Eames utilizzano soprattutto il video come strumento didattico informale.
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Filmati brevi ed efficaci, realizzati interamente da loro (YouTube cinquanta anni prima di YouTube…). Instancabili globe trotter credono che un’ampio scambio di informazioni, grazie alla digitalizzazione di massa, possa offrire opportunità e libertà. Viaggiano tantissimo portando la loro visione (e forse anche qualche segreto professionale) in giro per il mondo, fondano e conducono con entusiasmo in India i primi corsi di Design.
Ah il demone del Tempo… quanta nostalgia nel visitare le sale di questa mostra. Come un viaggio a ritroso nel paese del consumismo che non c’è più, dove prosperavano designers ottimisti e consumatori felici. Il futuro era raccontato da un delizioso cartone animato che in Italia si chiamava “I Pronipoti” (in Inghilterra: “The Jetsons”).
The Toshiba Gallery of Japanese Art
Room 45
Victoria and Albert Museum, Cromwell Rd,
SW7 2RL, London.
The World of Charles and Ray Eames
21 October 2015 - 14 February 2016
Barbican Centre, Silk Street,
EC2Y 8DS, London