luciano violante foto di bacco
Francesco Specchia per “Libero quotidiano”
Luciano Violante, il buon latinista. Tutto ti saresti aspettato, tranne che Violante - classe 41, accademico, magistrato, giudice costituzionale, una delle menti politiche più raffinate dell'ultimo mezzo secolo - trovasse la metafora del buon governo nel Sogno di Scipione, da lui tradotto e rappresentato al Teatro olimpico di Vicenza. Invece, eccoti Violante scrutare il miraggio dell'Eunomia italiana- il buon governo, appunto - nelle viscere dei classici.
GIORGIA MELONI ENRICO LETTA - MEME BY CARLI
Caro Violante, cos' è quest' afflato filosofico, la sua nuova attività, la ricerca dei governanti perfetti nella Via Lattea di Marco Tullio Cicerone (che si ispirava a Platone)?
«Con la Fondazione Leonardo studiamo lo spazio. Stiamo preparando una legge nazionale sullo spazio ma non trascuriamo i classici con la scelta dei testi fatta da Pietrangelo Buttafuoco; l'anno scorso ho tradotto alcuni brani delle Metamorfosi di Ovidio.
Ho fatto un buon liceo di provincia, a Conversano, vicino Bari, mi è sempre piaciuto affrontare il latino. Anche se la difficoltà di Cicerone è renderlo bene in italiano: qui ho cercato di farlo in versi per riprendere il senso dell'accentazione originale e del racconto che si snoda».
luciano violante giorgia meloni foto di bacco
Il periodo su cui s' incentra il Somnium Scipionis è quello del triunvirato (dove prevarrà Cesare) e del potiri rerum, la ricerca del supremo potere. C'è attinenza con la sua esperienza politica?
«Il Sogno è scritto durante la crisi dei valori repubblicani, esaltati, ad esempio, da Machiavelli perché comprendevano la capacità di "concludere i conflitti aperti". Lì si immagina che il buon governante sia destinato al cielo: l'anticipo, se vogliamo, del cristianesimo dove la vita terrena è intesa come passaggio per la gioia eterna.
Poi, certo, per 30/35 anni si può dire che parte di quel modello sia stato nella mia vita politica, là dove il rispetto è l'essenza del rapporto con gli altri. Ricordo negli anni '80 un frase che il segretario d'aula disse al mio vicino d'emiciclo, nell'allora Pci, l'onorevole Sicolo, molto ruvido: "Guarda che qui stiamo per parlare con quelli che non la pensano come noi..."».
Per dire che il metodo non era lo scontro. Era una politica con più galantuomini?
CARLO CALENDA ENRICO LETTA
«Di galantuomini che agivano così ce n'erano tanti. Berlinguer era il primo, ma spiccava anche Martinazzoli. E Pazzaglia del Movimento Sociale, agli antipodi rispetto a noi, ma rispettoso di tutti e da tutti rispettato. Non che oggi non ce ne siano.
Ma, dato il tempo nevrotico in cui vive la politica, la frammentazione, l'incapacità di argomentare e l'esigenza di spettacolarizzazione delle notizie, be', i galantuomini faticano a farsi riconoscere».
Be', nella scorsa campagna elettorale il Pd evocava solo il fascismo della Meloni. Onestamente, lei che è stato uno dei primi a sdoganare la destra missina, l'ha trovata roba da galantuomini?
«Credo che, da parte del Pd, insistere in campagna elettorale sul fascismo (inesistente) della Meloni sia stato controproducente. D'altronde il centrosinistra doveva avere un altro peso, poi c'è stato Calenda che ha baciato sulla guancia Letta e se ne è andato da un'altra parte.
giancarlo giorgetti luciano violante
A quel punto, a battaglia già perduta, alzare i toni forse è stato un automatismo. Però io guardo con interesse il lavoro di Giorgia Meloni nella paziente costruzione di un vero partito conservatore senza fascismi, paleoliberismi o localismi. "Partito Conservatore Italiano" suona bene. Certo, ci sarà un problema di sigla: "Pci" con la Meloni suona malissimo...».
Grande sotto il cielo è il dibattito sulla Costituzione. Si può cambiare la Carta?
«Si può cambiare (ovviamente la prima parte non si tocca), specie con questa legge che ha ridotto i parlamentari, ma attraverso piccoli accorgimenti per la stabilità, come il voto del Parlamento in seduta comune sulla Legge di Bilancio e sulla fiducia, l'inserimento della "sfiducia costruttiva". Tra l'altro, non si capisce perché per fare il governo serve la fiducia di due Camere, ma per farlo cadere basta la sfiducia di una sola».
luciano violante 1
Appunto bisogna riformarla. Magari in senso semipresidenziale, così da rendere più duraturi i governi, tenendo conto che i padri costituenti hanno tenuto più alla rappresentanza che alla stabilità...
«Non decantiamo troppo il semipresidenzialismo. Guardi le difficoltà di Macron. O di Biden negli Usa: i repubblicani, appena entrati in maggioranza alla Camera, hanno promesso di fare inchieste sul presidente, e i democratici hanno già un procuratore speciale nei processi contro Trump. Non è un bello spettacolo, non hanno stabilità».
Però, perdoni, abbiamo avuto 75 governi dal 1943. Alla faccia della stabilità.
ENRICO LETTA CARLO CALENDA
«L'instabilità dei governi della prima repubblica contrastava con la stabilità della linea politica. I governanti erano sempre gli stessi, ma ruotavano per evitare eccesso di potere (prima alle Poste, poi agli Interni, agli Esteri, alla Difesa); bisognava evitare che una corrente della Dc rimanesse al governo troppo a lungo, e allora ci si metteva d'accordo col Pci e l'Msi per far cadere il governo dopo un anno e mezzo, circa.
LETTA MELONI MEME
C'erano, di fatto, due blocchi, quello filocomunista e quello filoatlantico che avevano visioni del mondo diverse. Perciò i padri costituenti considerarono che le decisioni spettassero più che al Parlamento ai partiti. Poi, dal '92 i partiti entrarono in crisi e il sistema saltò».
Siamo in pieno psicodramma sull'autonomia differenziata. Il ministro Calderoli è assediato dall'opposizione che non la vuole, Fico grida al colpo di Stato. Ma non ci sono stati dei referendum che la vogliono ex art. 116 della Costituzione?
«I referendum sull'autonomia differenziata erano consultivi. Come dire "Viva la mamma!". Se chiedi a uno "vuoi tutto il potere?" quello risponde sì. In realtà c'è già un'Italia a due velocità. La domanda è: perché nelle classifiche sui livelli di vita il Sud non raggiunge il Nord? La classe politica meridionale forse non è priva di responsabilità...».
GIORGIA MELONI
La Meloni davanti ai sindaci d'Italia invasi dalla "paura della firma" ha promesso la depenalizzazione dell'abuso d'ufficio. Come la vede?
«Ha perfettamente ragione, è un reato che serve per avere imputati, non condannati. Urge depenalizzarlo. Da imputato hai comunque le spese legali, il blocco delle carriera e ti trattano come un ladro. Il procuratore di Roma Pignatone consigliava ai suoi pm di essere prudenti su questa contestazione che crea ingorghi ai processi, e la sentenza comunque non arriva mai prima di quattro anni».
Le piacciono le riforme della Giustizia della Cartabia?
«La riforma del processo civile e penale va bene, quella sull'ordinamento giudiziario mi trova dissenziente per quel che attiene al metodo di elezione del Csm, sulle porte girevoli e altro. Ma la Cartabia l'ha fatta a fine mandato cercando un ultimo compromesso con le forze politiche. Il mio amico sacerdote dice che si fa messa con i preti che ci sono...».
GIORGIA MELONI - CARLO NORDIO - ILLUSTRAZIONE - IL FATTO QUOTIDIANO
Ora al ministero c'è Carlo Nordio, che promette di metterci ancora mano.
«Di Nordio ho molta fiducia, lo stimo. Però prima di metter mano alla materia bisognerebbe capire perché, a parità di regole, in Italia alcuni tribunali funzionano e altri no. Dipende dall'organizzazione degli uffici giudiziari, dai capi degli uffici? Bisognerebbe studiare i modelli migliori e capire perché non vengono usati dappertutto...».
È una soap opera Roberto Saviano che insulta la Meloni ribadendo il diritto all'insulto. Lei l'avrebbe querelato come ha fatto la premier?
«Io parto dal concetto che un politico non dovrebbe mai querelare. Io l'ho fatto solo una volta nella vita con Montanelli, che scrisse se non erro che avevo acquistato una casa a prezzo di favore, e fu condannato al pagamento di danni e spese processuali.
luciano violante 3
Detto questo, "bastardo" non una è una critica legittima in nome della libertà d'espressione ma un'offesa e, pronunciata da un intellettuale che dovrebbe conoscere l'uso accorto delle parole, toglie il senso stesso di quel avrebbe voluto comunicare».
Il suo Pd aspetta la palingenesi e una nuova Costituente tramite un vecchio comitato, ma con calma. Eccessiva?
«Il Pd ha mantenuto la sua percentuale laddove Forza Italia e Lega hanno perso molto. Ed era ovvio che, persi per strada gli altri partiti d'opposizione, le elezioni le avrebbe perdute. Letta non doveva dimettersi ma aprire una discussione serena nel partito.
Semmai le domande sono altre: perché gli eletti non si confrontano sul territorio con gli elettori, che vogliono il rapporto fisico col suo rappresentante? E perché i grandi dirigenti del Pd si sono tutti candidati non nei collegi uninominali ma con la sicurezza del proporzionale? E perché alcuni leader sono stati candidati lontano dalla loro città?». Già, perché?
SAVIANO MELONI ROBERTO SAVIANO GIORGIA MELONI