Vittorio Zucconi per La Repubblica
Angelo vendicatore della verità per gli uni, demone diffusore della menzogna per gli altri, James Comey siede davanti a una nazione sbigottita come il depositario del futuro di Donald Trump. Fermi nel cuore della giornata, tra l' ora del "mokaccino" con il muffin da Starbucks alle 10 e il primo cocktail della giornata nella Happy Hour, milioni di americani hanno vissuto in animazione sospesa per ore fissando le labbra dell' ex direttore dello Fbi cacciato da Trump aspettando che dalla sua deposizione uscisse la risposta che dal 20 gennaio scorso tutti cerchiamo: Trump è un farabutto golpista che ha cercato di bloccare le indagini sulla "Russia Connection" che cominciavano a lambire la sua incerta presidenza o è la vittima di un orrendo complotto di irriducibili obamiani, annidati nel profondo limaccioso della burocrazia, il "deep state" come lo chiamano gli ideologhi del trumpismo?
james comey
In un colossale realiry show, dunque in perfetta sintonia con un presidente che negli studi del proprio reality aveva costruito il proprio carisma di irresistibile imbonitore, la deposizione di Comey è stata, prima di essere un dramma politico e costituzionale come dagli anni del Sexgate e del Watergate l' America non aveva più visto, l' apoteosi della democrazia spettacolo.
Un uomo solo alla sbarra, altissimo nei suoi 203 centimetri di statura piegati sul banco, bombardato da senatori democratici che speravano di fargli estrarre la pistola fumante per incriminare Trump e dai repubblicani che tentavano di disarmarlo e ridurlo a paranoico che aveva frainteso i colloqui col presidente, Comey è stato colui che è da quando rivelò le inchieste sulla posta elettronica di Hillary Clinton da lei rovesciata in un computer privato. Una rivelazione che ancora oggi Hillary considera come la causa prima della sua sconfitta.
COMEY
Uomo di tutte le contraddizioni, e di tutte le stagioni, questo ex giocatore universitario di basket, finanziatore e supporter del Partito Repubblicano scelto dal presidente democratico Obama per guidare la più formidabile agenzia poliziesca d' America, il leggendario Fbi creato da Edgar Hoover, Comey è stato colui che vi pare, un angelo - o un demone - pirandelliano che ha detto abbastanza per convincere i trumpofobi della sua colpevolezza e i trumpofili della sua innocenza.
Quando ha giurato che egli prese «come un ordine» l' invito del presidente a dissolvere la nuvola dei sospetti e dell' inchiesta sul generale Flynn scelto come consigliere per la Sicurezza Nazionale e poi licenziato per i suoi rapporti illeciti con i russi, l' evidenza della violazione costituzionale, dell' ingerenza tossica del capo dell' esecutivo in un' inchiesta giudiziaria è sembrata lampante. Ma il direttore dello Fbi, che è un corpo di polizia e di controspionaggio, non è un magistrato, coperto dal mantello dell' indipendenza della magistratura. È un funzionario del governo, alle dirette dipendente del ministero della Giustizia e quindi del Capo dello Stato, che può essere messo alla porta in qualsiasi momento.
Dove le parole di "Comey è se vi pare" hanno scosso non i codici penali e la costituzione - che Trump avrebbe violato se avesse davvero voluto salvare dalla giustizia un suo pìù che sospetto cortigiano, Flynn - ma la coscienza di chi ancora venera la presidenza come una sorta di pontificato laico è stato nel rifermento agli appunti e ai resoconti fatti dopo i suoi incontri faccia a faccia con il boss.
DONALD TRUMP JAMES COMEY
Prendeva note e poi trascriveva il contenuto dei dialoghi perché «non si fidava » di Trump, perché sospettava, o sapeva, che questo imprevedibile, inaffidabile saltimbanco era capace di negare oggi quello che aveva detto ieri, di smentire se stesso, di buttare gli sfortunati interlocutori in pasto alla furia dei suoi giannizzeri della falsa informazione pur di salvare se stesso, magari attraverso una raffica di tweet all' alba e di incomprensibili "covfefe".
Dimentichiamo per qualche riga il "russia-gate", la matassa sordida di inspiegabili giochi pericolosi condotti da pezzi grossi del Team Trump con emissari russi, gli incontri del genero Jared con un banchiere grande amico di Putin e prodotto anche lui della gran madre del Kgb, incontri prima negati e poi ammessi. Le bugie smentite. La risposta più inquietante che quest' uomo tranquillo, rigido e composto come un celebrante senza paramenti, dignitosamente offeso ma insieme entusiasta del proprio momento di gloria, è nell' ammissione che il presidente degli Stati Uniti è un uomo del quale il capo della polizia federale, il responsabile del controspionaggio, il direttore dello Fbi sente di non potersi fidare.
donald trump jared kushner
Un uomo inattendibile al punto di costringere Comey a correre nel proprio ufficio a pochi metri dalla Casa Bianca, scrivere a memoria fresca il contenuto dei quattro incontri, farne copie e distribuirle ai collaboratori più stretti, perché fossero testimoni della contemporaneità, come dovrebbero sempre fare le donne vittime di violenza.
La testimonianza di Comey, la sua lunga giornata davanti al sinedrio della commissione senatoriale non ha demolito Trump né lo ha ricostruito, lasciando su di lui quella stessa nube densa che già copriva Richard Nixon, che nel 1974 tentò proprio di bloccare le indagini dello Fbi sul Watergate, senza sapere che era dentro lo Fbi la Gola Profonda che spifferava la verità al Washington Post.
Per ora, Comey non è stata La Gola Profonda, ha lasciato gli americani sui banconi dei saloon della prateria e nei tavolini della caffetterie urbane politicamente corrette, nei club di ascolto che si erano riuniti per tifare o dannare, nella classica condizione delle giurie ai processi per violenza sessuale, sospesi fra versioni opposte, fra il "lei dice", "lui dice". Ma con l' America, questa volta, possibile vittima.
RICHARD NIXON