Alessandro Barbera per “la Stampa”
Merkel e Monti
Nessuno meglio di Mario Monti può dare un giudizio sullo stato dei rapporti fra Italia, Germania ed Europa. Già duro commissario alla concorrenza - una volta riunì in una stanza tutti e sedici i presidenti dei Lander tedeschi per chiedere loro l'abolizione delle garanzie statali sulle banche - come premier ottenne dai colleghi di Bruxelles più di quel che gli riuscì a Roma con i partiti: strappò il sì della Merkel allo scudo antispread, la camicia di forza entro la quale la Germania voleva costringere la Bce. In Italia alcuni lo considerano amico della Troika, eppure fu lui a tenere la Troika fuori dai confini italiani quando nel 2012 rifiutò un piano di aiuti per le banche italiane.
Presidente Monti, nel governo c'è la convinzione che la Commissione europea sia appiattita sulle posizioni tedesche. È così?
MERKEL MONTI
«Capita di frequente, quando sono in gioco le regole europee, che un singolo Paese si senta preso di mira. In realtà, ciò che di solito favorisce la Germania non è la Commissione, che è lì per far applicare le regole, bensì la timidezza degli altri Stati membri, che esitano a far valere le proprie ragioni. In ogni caso le potrei citare decine di casi nei quali anche la Germania è stata oggetto di sanzioni».
Lei stesso, da premier, per difendere le ragioni italiane ricordò che nel 2003 tedeschi e francesi se ne infischiarono del Patto di stabilità. O no?
«Vero. Ma occorre aggiungere che allora la Commissione Prodi aveva proposto le sanzioni contro Germania e Francia. Fu il Consiglio, allora presieduto dall'Italia - al governo erano Berlusconi e Tremonti - che decise di sostenere la posizione tedesca».
MARIO MONTI AL MEETING DI RIMINI
I suoi critici sostengono anche che lei si piegò ai tedeschi sulla firma del Fiscal compact. Cosa risponde?
«Tutti i vincoli lì previsti erano già diventati norme cogenti con decisioni precedenti, il "Two pack" e il "Six pack", sottoscritte dal governo Berlusconi. Riuscimmo però ad attenuare i meccanismi sanzionatori rispetto a quelli che all'inizio volevano Merkel e Draghi».
Secondo lei Juncker è condizionato dalla Germania o no?
«Se si pensa che lo sia, la cosa migliore sarebbe incalzarlo nel concreto, ad esempio preannunciando un ricorso alla Corte di Giustizia se la Commissione non esige l'eliminazione dell' eccessivo avanzo con l' estero della Germania, ai sensi della regola contro gli squilibri macroeconomici».
mario monti
Ora il governo dovrebbe varare un pacchetto di aiuti pubblici per liberare le banche delle sofferenze. Non sarebbe stato meglio farlo insieme alla Spagna nel 2012 con fondi europei? Renzi sostiene che lui sarebbe intervenuto persino con fondi statali.
«Primo: allora la situazione delle banche non era tale da renderlo necessario. Nei casi in cui ci rendemmo conto che era necessario, mi riferisco a Mps, varammo un prestito che fu poi restituito con adeguati interessi. Inoltre in quel momento, con lo spread ancora alto, rischio sovrano e rischio bancario erano una cosa sola.
Il problema delle banche non erano le sofferenze, bensì i titoli di Stato che avevano in pancia. Accettando un piano di aiuti avremmo spalancato le porte alla Troika, perso qualunque possibilità di far valer le nostre ragioni in Europa ed esasperato il sentimento antieuropeo di una certa parte dell'opinione pubblica. Né avrebbe avuto senso, come dice Renzi, dare allora aiuti di Stato alle banche: non solo non ne avevano bisogno, ma per darli il Tesoro avrebbe dovuto indebitarsi ulteriormente, mettendo a rischio i bilanci, già zeppi di titoli di Stato. Un capo di governo dovrebbe evitare di parlare con leggerezza».
renzi juncker
La trattativa fra Roma e Bruxelles sulla «bad bank» finanziata con fondi pubblici va avanti da un anno e mezzo, però nel frattempo le regole sono cambiate e oggi gli aiuti di Stato sono vietati. È difficile il contesto o il governo ha perso tempo?
«Le nuove norme sul "bail-in" esistono dall' agosto 2013. Non risulta che l'Italia si sia opposta. Né che sia mancato tempo da allora».
Dice il governo che da parte dell'Europa c'è stata un'interpretazione rigida delle norme sugli aiuti di Stato. Non fa bene il premier ad alzare i toni?
«Alcuni tratti della narrativa del governo e del presidente del Consiglio sollevano alcune domande. Ad esempio: "Se l'Italia riprende la posizione guida dell'Europa non ce n'è per nessuno": frasi come questa, appropriate ad esempio al bar dello Sport, è difficile che non diano all' estero l'impressione di una certa presunzione e debolezza. Oppure: "L'Italia esige di essere rispettata". Se si esige rispetto si sottolinea che quel rispetto non c' è. Suggerirei toni più bassi, visione e azioni più profonde».
renzi juncker
Presidente, ogni tanto toni un po' maschi - come li definisce Juncker - ci stanno. In fondo la politica è anche questo. O no?
«Se un governo mira a ottenere un risultato concreto per il proprio Paese nel contesto europeo, in genere l' aggressività verbale è controproducente. Se invece il vero obiettivo è in realtà far crescere il consenso nel proprio Paese per sé o per il proprio partito, allora quella strategia verbale va benissimo. È un atteggiamento che negli ultimi anni vedo da parte di molti leader europei, ma è pericolosissimo: per dirla con una battuta, equivale a prendere i mattoni della casa comune europea, portarli a casa, e farli a pezzetti, nella speranza di ottenere voti. Pazienza se ne soffrono i veri interessi, sia del paese sia dell' Europa».
renzi juncker