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mister iguana rock in concerto
Filippo Brunamonti per “la Repubblica”
«Non ho nient' altro che il mio nome», «I've nothing but my name ». La voce di Iggy Pop al Moody Theatre di Austin, Texas, sembra uscire dal fondo di un posacenere. Incontriamo il "patriarca del proto-punk" al festival South by Southwest, quest' anno inaugurato dal presidente Obama: giacca nera, capelli biondi raccolti sulla nuca, mani lunghe come rami d' albero.
«Oggi mi basta una settimana di prove per addentare un tour intero», ci dice Iggy Pop, nome d' arte di James Newell Osterberg Jr., 68 anni, un figlio di 46 che gli fa da tour manager. Dopo un concerto a muso duro, col ventre iperteso, "Ig" si presenta all' intervista al Lady Bird Lake lungo il fiume Colorado, con Josh Homme, fondatore dei Queens of the Stone Age e produttore di Post Pop Depression, diciassettesimo album dello Stooges.
L'energia sul palco ruota tutta attorno al suo corpo. Da sempre.
«Non ho paura del tempo che passa. L'energia non si scioglie, indurisce con me. Quello che conta sono i compagni di strada, come Dean Fertita (Queens Of The Stone Age/The Dead Weather) e Matt Helders (Arctic Monkeys), arruolati da Homme per Post Pop Depression ».
Quale canzone di questo disco la rende orgoglioso?
«Probabilmente American Valhalla e Gardenia. Ci sono testi come Paraguay che mi hanno ricordato la gioia di scrivere e comporre con la chitarra acustica, tutto solo nell' angolo di una casa angusta. Quei versi che si spezzano e che tornano indietro come lancette di un orologio fulminato. Cado ancora in uno stato emotivo di disperazione prima di mettermi a suonare. A differenza degli esordi, quando tocco il limite, mi dico: "Hey, ma tu ora hai dei soldi, hai una fondazione in Spagna… Prenditi una vacanza, diavolo.
Magari in Paraguay"».
Ha scelto Homme perché le ricorda David Bowie, che nel 1977 produsse "The Idiot" il suo album d' esordio da solista?
«Un produttore è sempre molto più di un produttore. Josh è chitarrista, cantautore, polistrumentista, bandleader. E, certo, mi ricorda David nel modo di arrangiare e pensare. Ad accomunarli è la frenesia, la foga delle chitarre, dei bassi, dei pianoforti. Sono capaci di dar vita a un tappeto sonoro in meno di un' ora. Creano in maniera compulsiva. David amava questo processo: era un vero e proprio co-scrittore».
Lei dice che "per essere libero" ha "bisogno di dimenticare". Dimenticare cosa?
«Beh, spero non la mia pillola per abbassare la pressione arteriosa!».
Le sue fonti di ispirazione restano Chuck Berry e Muddy Waters?
«Non solo. Frank Sinatra, Be My Baby delle Ronettes, The Shangri- Las, Rumble di Link Wray, Bo Diddley e quel sensuale bonk-de-bonk-bonk. Con la mia band Iguanas, alle superiori, suonai Road Runner. Le influenze di oggi, però, sono il me stesso del passato e il me stesso futuro. È con quei due Iggy Pop che devo fare i conti tutti i santi giorni».
Non si ritira allora?
«Non ci penso proprio, non sono un rottame».
A proposito di passato, vede "Post Pop Depression" come la chiusura di una ideale trilogia iniziata con "The Idiot" e proseguita con "Lust For Life"?
«È onesto trovarci un legame. Cambia solo la struttura formale perché, questa volta, ho dovuto interfacciarmi con altri talenti. Quando abbiamo completato l' album ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti: "Ora andiamo ad onorare nostro figlio"».
A proposito di cinema cosa ci dice di "The Sandman" di Dario Argento?
«Quel film mi sta proprio facendo girare i coglioni: c' è stata una raccolta fondi sulla piattaforma Indiegogo eppure non riusciamo a partire. A volte mi dicono che Dario ha rallentato per motivi di salute, altre che è tutto pronto e si va a girare in Belgio. Peccato. È un progetto meraviglioso così come lo è il racconto breve di E.T.A. Hoffmann da cui è tratto il film. Sarei il supercattivo che strappa gli occhi ai bambini nel sonno e li dà in pasto ai suoi figli. Ma prima, con permesso, io e il mio nuovo disco andiamo a fare un gran bel casino in giro per il mondo».
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