L’URAGANO GIUDIZIARIO CHE TRAVOLSE LA VITA DI RUBIN ‘HURRICANE’ CARTER - IL PUGILE FU CONDANNATO ‘PER MOTIVI RAZZIALI’ ALL’ERGASTOLO PER UN OMICIDIO MAI COMMESSO – SCAGIONATO QUASI 20 ANNI DOPO I FATTI, ISPIRÒ BOB DYLAN CHE NEL 1975 GLI DEDICÒ LA CELEBRE CANZONE

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1. IL PEZZO DI DYLAN OTTO MINUTI E 30 SECONDI DI DENUNCIA (VIDEO)
Da ‘Il Fatto Quotidiano'

 

Rubin Carter fu processato con l'imbroglio l'accusa fu omicidio di primo grado, indovinate chi testimoniò? Bello e Bradley ed entrambi mentirono sfacciatamente e tutti i giornali si gettarono a pesce sulla notizia. Come può la vita di un tale uomo essere nelle mani di gente così folle? Nel vederlo così palesemente incastrato mi sono vergognato di vivere in un paese dove la giustizia è un gioco

Ora tutti quei criminali in giacca e cravatta sono liberi di bere Martini e guardare l'alba mentre Rubin siede come Buddha in una cella di pochi metri un innocente in un inferno vivente Questa è la storia di Hurricane ma non sarà finita finché non riabiliteranno il suo nome e gli ridaranno indietro gli anni che ha perduto Lo misero in galera ma un tempo sarebbe potuto diventare il campione del mondo


1. HURRICANE, IL CORPO E IL SANGUE (NERO) USA
Nick Asted per ‘The Independent' pubblicato da ‘Il Fatto Quotidiano' con la traduzione di C. A. Biscotto

Rubin Carter, morto il 20 aprile a Toronto per un tumore alla prostata all'età di quasi 77 anni, la gloria avrebbe voluta conquistarla sul ring, ma a renderlo immortale sono stati un film del 1999, Hurricane, il grido dell'innocenza , di Norman Jewison - tratto dal libro Lazarus e Hurricane di Sam Charlton - con uno straordinario e commovente Denzel Washington nei panni di "Hurricane" e - soprattutto - la ballata scritta anni prima da Bob Dylan.

Rubin Carter era nato il 6 maggio 1937 a Clifton ed era cresciuto a Paterson, New Jersey, insieme a sei fratelli. Fin da giovanissimo aveva avuto guai con la giustizia; nel 1954, a soli 17 anni, scappato dal riformatorio, si era arruolato nell'esercito e qualche mese dopo era stato assegnato di stanza in Germania dove, stando alla sua autobiografia, si era avvicinato al pugilato.

Comunque anche sotto le armi il suo carattere ribelle e l'incapacità di accettare la dura disciplina militare lo avevano messo nei guai. Rubin era finito quattro volte dinanzi alla Corte marziale per insubordinazione e nel 1956 era stato congedato perché "inadatto alla vita militare".

Dal 1961 al 1966 si guadagnò da vivere come pugile professionista nella categoria dei medi all'epoca affollata di fuoriclasse. Non era un campionissimo, ma il suo look innovativo - testa rasata e baffoni - l'aspetto determinato, lo sguardo di ghiaccio e la notevole potenza dei suoi colpi gli valsero l'affetto dei fan del pugilato e il soprannome di "Hurricane".

Grazie alla sua potenza vinse molti incontri per K.O. e, dopo aver battuto avversari del peso di Florentino Fernandez, Holly Mims, Gomeo Brennan e George Benton, il mondo della boxe si accorse di lui tanto che nel 1963 la bibbia del pugilato, Ring Magazine, lo inserì nella "Top 10" degli aspiranti al titolo mondiale.

Per tutto l'anno rimase in fondo a questa speciale classifica, ma nel dicembre dello stesso anno stupì tutti sconfiggendo Emile Griffith che era stato campione del mondo e che lo sarebbe diventato di nuovo battendo nella bella l'italiano Benvenuti.

La chance la ebbe nel 1964 ma fu sconfitto sulle 15 riprese da Giardello a Filadelfia con una decisione contestata anche da molti giornalisti oltre che dallo stesso Rubin. Con questa sconfitta ebbe inizio il suo declino come pugile. Ma come non bastasse, la sorte si accanì contro di lui.

Il 17 giugno 1966 alle 2:30 del mattino, due uomini di colore entrarono nel "Lafayette Bar & Grill" di Paterson, New Jersey, e aprirono il fuoco uccidendo sul colpo due uomini, tra cui il barista. Una donna, Hazel Tanis, rimase gravemente ferita e morì un mese dopo. Una quarta persona , Willie Marins, se la cavò, ma perse la vista a un occhio.

Hurricane era nero e le vittime erano bianche così come erano bianchi due dei testimoni oculari che lo riconobbero, uno dei quali era un noto pregiudicato, Alfred Bello, che si trovava nei pressi del bar in quanto si apprestava a scassinare un negozio. Le persone presenti nel bar non riconobbero Rubin Carter, ma la polizia preferì dare credito a Bello e Rubin fu rinviato a giudizio.

Il processo fu inquinato dai pregiudizi razziali e la condanna all'ergastolo per Carter e il suo presunto complice si basò quasi esclusivamente sulla testimonianza di Bello e su una pistola trovata nell'auto di Carter che, comunque, non fu riconosciuta come quella da cui erano partiti i colpi che avevano ucciso le tre persone e ferito la quarta.

Nel 1975 Bob Dylan gli dedicò una canzone, Hurricane, che faceva parte dell'album Desire. Nella canzone Dylan non solo cantava l'innocenza di Hurricane, ma metteva sotto accusa il sistema giudiziario americano. "Così vanno le cose a Paterson" - dicono i versi della ballata - "Se sei nero meglio che non ti fai vedere per strada se non vuoi finire in una mare di guai".

Bob Dylan proseguiva la sua lotta per i diritti civili che aveva conosciuto il momento più alto negli Anni 60. La canzone parlava di Hurricane e della sua tragedia, ma ovviamente si ispirava anche al pugile divenuto il simbolo di quella lotta sul finire degli Anni 60: Muhammad Ali.

In un certo senso la disavventura di Rubin Carter era il ponte che metteva in relazione il mondo di Blowin' in the Wind con la vicenda del campione del mondo dei pesi massimi che preferì finire in prigione che andare a combattere in Vietnam. Quando Muhammad Ali fece la sua comparsa, nel 1975, nella notte del "Concerto di beneficenza per Hurricane" al Madison Square Garden di New York, il cerchio si chiuse.

La ballata dura oltre otto minuti e si colloca tra musica e teatro facendo nomi e cognomi con un coraggio e una sincerità che oggi sarebbero impossibili e impensabili. Non di meno gli avvocati della Columbia Record non riuscirono a impedire a uno dei testi del processo contro Hurricane, Patricia Valentine, di trascinare il cantante in giudizio con l'accusa di diffamazione. Dylan fu chiamato sul banco degli imputati, ma il tribunale lo assolse con formula piena.

La canzone Hurricane entrò tra le 40 canzoni più vendute nel 1975 anticipando il successo dell'album Desire. Ma la leggerezza con cui Dylan aveva difeso Hurricane senza citare la sua vita di violenza e di problemi con la legge, non fu apprezzata da tutti e molti criticarono aspramente il cantautore.

Dell'album faceva parte anche un'altra canzone, Joey, dedicata al killer mafioso Joey Gallo. Nel 1976 si celebrò il secondo processo contro Carter e la condanna all'ergastolo fu confermata. Bob Dylan in questa circostanza mantenne un certo riserbo e non scese in campo per difendere Rubin.

Carter fu rimesso in libertà nel 1985 quando il giudice della Corte federale Haddon Lee Sarokin, sentenziò che il "processo non era stato equo" e che la condanna era "fondata su motivazioni razziali". L'istinto di Bob Dylan aveva colto nel segno.

 

 

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