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Marco Sarno per www.repubblica.it
Questa mattina Attilio Giordano ha chiuso, idealmente, l'ultimo numero del Venerdì, Il settimanale di Repubblica al quale ha lavorato ininterrottamente dal 1993. Prima come inviato poi come direttore dal maggio del 2010. Aveva 61 anni e ancora tanto da leggere, da scrivere e da vivere. L'ultima volta che è venuto in redazione, l'abbiamo costretto a sedersi e ad accettare la sfida. «Attila, scusa, ma che senso ha venire. Approfitta di questi giorni per riposare. Ci pensiamo noi qui...».
ATTILIO GIORDANO E TERRY MAROCCO
«Lascia perdere. Non mi fido...». E non avrebbe potuto rispondere in altro modo. Visto che lui era nato per far questo. Difficile immaginarlo fare un altro mestiere. Da quel momento qualche telefonata per sapere come andava e tanti sms. Alcuni decisamente stupidi, i miei. Il compito ora è atroce: raccontare pubblicamente della scomparsa di un amico. Ed è ancora più complicato quando l'amico è un giornalista.
Attilio cominciò a Genova, al Lavoro che fu poi acquistato da Repubblica, il giornale di Sandro Pertini. Allora i quotidiani erano scuole e Attilio condivideva quei banchi con Giuliano Zincone (direttore), Gad Lerner, Lucia Annunziata, Mariella Gramaglia, Daniele Protti, Francesco Cevasco. E un percorso professionale totale: cronaca, giudiziaria, politica, cultura. E un dono in più: saper scrivere.
ATTILIO GIORDANO e TERRY MARROCCO
Che potrebbe sembrare una banalità, ma non lo è. In fondo basta leggere qualche articolo di archivio di quegli anni o i tanti reportage da inviato per il Venerdì. Attilio (Attila, il suo soprannome) ha raccontato pezzi di mondo: Nigeria, ex Jugoslavia, Albania, Afghanistan, Israele. Fino ad approfondire una delle sue passioni: le vicende degli ex paesi comunisti. Sempre con quella curiosità intellettuale che mischiata alla cronaca e alla cultura. Aggiungendo quel qualcosa in più nel rendere chiare anche ai lettori meno esperti, le vite di quei luoghi.
Ed è una prerogativa che appartiene ai grandi narratori. Senza dimenticare però le regole della professione che hanno caratterizzato la sua vita: saper dialogare con i colleghi, non aver pregiudizi per le novità e continuare a passare personalmente gli articoli anche dei collaboratori più giovani ai quali sapeva dispensare, anche con ironia, consigli.
Un atteggiamento che per lui non era mai una perdita di tempo. «Vedrai, che ci riuscirò a farti capire come si deve fare...». Dimostrando di aver saputo assumere in sé la capacità di essere un deskista completo «un uomo macchina » capace di far contemporaneamente più cose senza perdere il filo dei ragionamenti e le qualità di scrittura
In quel periodo la cosa che mi appariva curiosa era l'eleganza di quel giovane sempre in giro per il mondo e con l'inseparabile pipa: sempre Dunhill come pure il tabacco rigorosamente Early Morning. Proprio come accadeva ai tempi di Genova quando apriva la sua casa agli amici con librerie di dimensioni mai viste e sui cui scaffali c'era il racconto dei grandi amori editoriali: Borges su tutti. Naturalmente il più delle volte bisognava aspettarlo perché gli orari erano sempre complicati. Entrava con il solito pacco di giornali e libri.
ATTILIO GIORDANO E TERRY MAROCCO
Il passi professionali successivi di Attilio lo portarono prima a Torino dove tenne a battesimo la redazione, e poi a Napoli, dove è rimasto fino al 1993 quando il lavoro lo portò a Roma. Lì comincia la storia che lo ha legato al Venerdì di cui è poi capo redattore e direttore.
Elegante anche nella sua malattia, tradendo anche le sue origini siciliane. Presente ma sempre poco appariscente. Deciso e caparbio nel mantenere lontani dal suo dolore gli amici. Come volesse preservarli. «La morte è in fondo uno stato di perfezione, il solo alla portata di un mortale» ha scritto Cioran. Attila è stato meraviglioso anche in questo.
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Alla moglie Terry e ai figli Antonio e Maria l'abbraccio dei colleghi di Repubblica.
I funerali di Attilio Giordano si svolgeranno domani (sabato 2 luglio) alle ore 16 nella Chiesa di Santa Maria del Suffragio in via Giulia
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