DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
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Perché l’operazione Discovery Italia porterà a una rivoluzione del mercato televisivo. Non solo perché il cavallo di viale Mazzini si è trasformato negli anni, attraverso la politica, in un pachiderma che sopravvive solo grazie al canone e ai partiti al governo, sempre a caccia di consensi per mantenere il potere; ma l’emittente europea del gruppo Warner Bros avrà forte ripercussioni anche sulle tivù private come Mediaset, Sky e La7.
La cosiddetta “tv lineare’’ modello Rai e Mediaset, dove la programmazione del canale televisivo segue un palinsesto predefinito organizzato unilateralmente dall'emittente, a differenza delle piattaforme come Netflix, in cui l'utente può organizzare autonomamente una propria programmazione personalizzata, sta in grande affanno in tutto il mondo.
ALESSANDRO ARAIMO - WARNER BROS DISCOVERY
Oggi il modello dei grandi gruppi televisivi prevede una emittente generalista “a gratis” (non-pay) e una piattaforma a pagamento (pay). Infatti nel 2025, una volta scaduti gli accordi in esclusiva con Sky, Discovery Italia apparecchierà ''Max'', la sua piattaforma streaming che attinge dalla ricchissima library cinematografica della Warner Bros e dalle serie di Hbo (una per tutte, “I Sopranos”, che cambiò la grammatica e i contenuti delle fiction televisive), ai quali si aggiunge il canale sportivo Eurosport.
Con l’arruolamento di Amadeus, un investimento all-inclusive di quatto anni con budget di 100 milioni di dollari per un programma di access prime time e due di prime time su Nove, Discovery rischia: perché “Ama” non è un personaggio-format alla stregua di Crozza e Fazio. Colui che Paolo Bassetti, a capo di Banijay Italia, recuperò dalla soffitta Rai in cui era finito, è un bravissimo conduttore ma senza un format forte che l’accompagni, sarà durissima far digitare il tasto 9 ai telespettatori.
Laura Carafoli - Warner Bros Discovery
Colpisce che anche un broadcaster internazionale come Discovery sia caduto nell’anomalia italica di prendere prima il “talento” e poi andare alla ricerca di un programma. Nel mondo televisivo di oggi si parte prima dalle fondamenta (format) per finire col tetto (conduttore), dopodiché i grandi produttori, da Banijay a Fremantle, vendono chiavi in mano il pacchetto format+conduttore alle emittenti.
In casa nostra avviene il contrario. Esempio: firmato il contratto con Amadeus, in questi giorni Discovery sta trattando con Benijay i diritti de "I soliti ignoti" e con Fremantle quelli di “X Factor”, in scadenza il prossimo anno, attualmente in mano a Sky. Oltre ai quiz e giochini, da ex dj Amadeus vuole condurre un programma musicale e l’idea è di diluire per 360 giorni il talent rockettaro.
Ecco perché l’operazione Amadeus è molto lontana da ciò che invece è avvenuto, e con successo, quando Crozza scappò da La7 (entrò in scazzo cash col solito sparagnino Cairo) e Fazio tolse il disturbo dalla Rai (il cui rinnovo del contratto non arrivò mai su pressione della Fiamma Magica di Palazzo Chigi, che l’ha sempre detestato).
Come azienda commerciale che mira solo ai dividendi, con Fazio e Crozza i dirigenti di Discovery hanno scoperto che in Italia c’è spazio per arricchire di zeri il proprio bilancio. A partire dalla torta pubblicitaria, destinata a triplicare nel 2025. E le ripercussioni, finché il tetto pubblicitario della Rai non verrà innalzato (a partire dal 2025) per coprire il buco di oltre 400 milioni in seguito al taglio di 20 euro su 90 del canone, rimbalzeranno soprattutto sui dividendi del Biscione berlusconiano e de La7 .
fabio fazio laura carafoli luciana littizzetto
Altro capitolo che rende Discovery un antagonista commerciale da temere è poi racchiuso nella snellezza della struttura e organico: a differenza della Rai e in parte di Mediaset, non ha burocrazia, non ha studi di registrazione, quindi non è costretta a farli lavorare 360 giorni l’anno con i conseguenti altissimi costi del personale.
La Nove ha pochi costi strutturali e pochissime risorse umane, poste al comando dell’ad Alessandro Araimo e del capo dei contenuti Laura Carafoli, i quali non avendo obblighi, né di assunzioni politiche né di far lavorare le strutture interne come la tv pubblica (sarebbe mejo dire ‘’tv politica’’) che ha sul groppone oltre 12 mila dipendenti, eccoli liberi di fare un Canale5 più giovane e un’Italia1 più moderna. (Anche Mediaset con i suoi 4 mila dipendenti è ormai fuori mercato).
Andrea Scrosati - ceo europeo del gruppo Fremantle
I grandi produttori di contenuti, poi, non hanno tanta voglia di lavorare con Mamma Rai, e in parte Mediaset, per un motivo semplice: non hanno granché da guadagnare con una emittente che utilizza i propri studi e autori come viale Mazzini e Cologno Monzese.
Molto più proficuo, mettere insieme il pacchetto format+conduttore e consegnare il programma all’emittente. Cosa che assicura anche il mantenimento di un livello artistico del format (chissà quanto piacere ha fatto ai proprietari dei diritti de “L’Isola dei famosi” vedere alla conduzione Vladimir Luxuria…)
E quando Benijay di Paolo Bassetti si trovò la Rai dei Meloni che voleva imporre come conduttore de ‘’L’Eredità” Pino Insegno, rispose con un secco “no, grazie”: i diritti erano scaduti e poteva vendere il format ad altri. Cosa che riportò il direttore generale Giampaolo Rossi a rinculare e ad accettare Liorni alla conduzione.
Il prossimo 9 giugno i capoccioni di Discovery Italia si troveranno davanti alla decisione se fare o meno uno spazio informativo. Nel caso in cui prevarrà il sì, sarà un telegiornale molto leggero, una specie di Ansa illustrata. Se poi decideranno di darla in appalto, riciccia l’opzione Mentana.
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