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ANITONA DEI DESIDERI - NON FU MAI UNA GRANDE ATTRICE, MA UNA DI QUELLE PERSONE DESTINATE A DIVENTARE CREATURA EMBLEMATICA, METAFORA DEL DESIDERIO - CON LEI, SI DISSE, I 7 COLLI DI ROMA ERANO DIVENTATI 9

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Filippo Ceccarelli per “la Repubblica

 

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Da cinque mesi ormai, per lavori di restauro, Fontana di Trevi è secca, muta, desolata e per quanto il travertino barocco sia alla mercé di impalcature, tubi, transenne e pannelli, ancora rifulge come indimenticabile sfondo di una delle immagini simbolo del XX secolo. Fra acqua e pietra, Anita Ekberg alza le braccia e incede con la solennità di un rito lustrale e cinematografico.

 

Era aprile e in realtà sotto il vestito nero la diva bionda indossava stivaloni di gomma da pescatore. Come tutte le icone, raffigurazione vera e insieme falsa, immediata e profonda, diretta e misteriosissima nel suo incarnare, quella notte, la natura primitiva e selvaggia, ma anche l’alba di un benessere e di una prosperità che con il boom stava per conquistare un intero popolo.

anita ekberg younganita ekberg young

 

Perciò non stupisce che si registri un infittirsi di foto-leggende sulla genesi di quella scena: chi racconta che una notte Anitona s’immerse per dare sollievo a un piede ferito - e Pierluigi Praturlon, un mago delle inquadrature, colse la sequenza che ispirò Fellini; ma c’è anche chi ha notato in quegli anni uno scatto romano di Henry Cartier Bresson in cui alcuni giovanotti si sporgono sul bordo della fontana verso una invisibile presenza femminile: quasi un arcano invito, o un invitante presagio.

 

anita ekberg in bikinianita ekberg in bikini

Di sicuro resta lei. Ne La dolce vita, a parte il bagno, Fellini la vestì da prete, e sull’Osservatore romano venne invocato il codice penale. L’anno prima, 1959, Toni Dallara le aveva dedicato: “Ghiaccio bollente sei tu/ e nei tuoi occhi di gelo/ guizzano fiamme nel cielo...”. E quattro anni dopo, 1963, in I shall be free, immagina Bob Dylan di ricevere una telefonata confidenziale del presidente Kennedy: “Cosa ci serve per far crescere il paese?” gli chiede, e lui: “Amico mio, Brigitte Bardot, Anita Ekberg, Sophia Loren ”.

 

Di queste storie un po’ pazze, canzoni, foto, promesse, smanie nazionali, vivono appunto i miti, ben al di là della storia, ma dentro lo scorrere del tempo. Ed è abbastanza chiaro che Kerstin Anita Marianne Ekberg non fu mai una grande attrice, ma una donna persino troppo bella, comunque una di quelle persone destinate a diventare creatura emblematica, metafora del desiderio.

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Fu Miss Svezia, lavorò a Hollywood, lì ebbe una intensa carriera sessuale vantando amori con Gary Cooper, Frank Sinatra, Tyrone Power; qui in Italia si sposò con Anthony Steel, infelice menage a base di feste, sbornie e paparazzi; intrattenne una lunga relazione segreta con Gianni Agnelli e un’altra meno lunga e meno segreta con Walter Chiari. Ma soprattutto divenne la regina della baldoria, pellicce e champagne, girava per Roma su una Mercedes decappottabile, nei locali notturni saliva sui tavoli e ballava a piedi nudi.

 

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Fellini, che aveva l’occhio lungo e necessariamente crudele, le fece recitare se stessa. Lei forse capì, forse no, nel film pretese di chiamarsi in un altro modo, Sylvia Rank. Mastroianni la segue con stranita rassegnazione nella sua passeggiata a Fontana di Trevi.

 

Ma il biondo dei capelli, allora non così scontato, richiamava inesorabilmente il lusso proibito, così come l’esuberanza del corpo disvelava la potenza primigenia del sesso. La sua casa di produzione la reclamizzò come “una donna e mezzo” per via dell’enorme seno che Mike Bongiorno rimirò a tal punto compiaciuto in prima serata da meritarsi un rimprovero dei dirigenti Rai. Con lei, si disse, i sette colli di Roma erano diventati nove.

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Solo una donna straniera, in fondo, poteva annunciare la trasformazione che stava per fare dell’Italia un paese moderno.

 

Su questo e su Anita Ekberg, ha scritto notazioni molto intelligenti lo storico inglese Stephen Gundle (“Figure del desiderio”, Laterza, 2007; “Dolce vita”, Rizzoli, 2012), notando come proprio nell’infrangere le antiche regole, figure come lei occuparono “territori dell’immaginario che si ampliava grazie alla loro stessa presenza”.

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Di nuovo Fellini, in un episodio di Boccaccio 7-0, la trasformò in una gigantesca femmina pubblicitaria che stuzzicava e sbeffeggiava un sessuofobo ricalcato sul futuro presidente Scalfaro e interpretato da Peppino De Filippo. Ma Ekberg fece davvero un sacco di caroselli: per la birra Splugen fu la pigra e viziata pupa del gangster Buscaglione; al sapone Lux concesse il volto più pulito e rassicurante di cui disponeva.

 

BRIGITTE BARDOT BRIGITTE BARDOT

Ma come spesso accade nella vita dei divi, la frenesia del piacere si consumò nell’oblio. Mentre la bellezza sfioriva, maledisse Fellini che la rivolle ne L'Intervista. E per la gioia arcigna dei moralisti ebbe infine un mesta e povera vecchiaia. Ma la storia, che a suo modo è superba e misericordiosa, le rende oggi ciò che le spetta, a partire dallo scenario di Fontana di Trevi dove tanti, troppi, da Sara Tomasi a Gabriele Paolini, dai sindacati dei vigili urbani ai tifosi ubriachi, da Valeria Marini al Mago Otelma, continuano a fare ciò che lei fece con grazia sfolgorante e ineguagliabile solennità. Quasi un altare allora, oggi il catastrofico set del degrado italiano con lavori in corso.

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