DAGOREPORT - SUL PIÙ TURBOLENTO CAMBIO D'EPOCA CHE SI POSSA IMMAGINARE, NEL MOMENTO IN CUI CRISI…
Renato Franco per corriere.it - Estratti
Ridevamo di più ieri o oggi?
«Purtroppo ridevamo di più un tempo. È successo nel dopoguerra e più avanti con gli anni di piombo: dopo le tragedie e le sofferenze si sono affermate generazioni di attori e comici che volevano far ridere».
Per capire che la comicità «vintage» merita di essere ricordata Renzo Arbore (con Gegè Telesforo) ha messo in piedi Come Ridevamo, in onda da giovedì in seconda serata su Rai2. Venti appuntamenti che si rivelano una vera e propria enciclopedia della comicità televisiva del secondo Novecento, «è un’antologia di cose che facevano ridere, fanno ridere e faranno ridere anche in futuro. Sono risate frutto della fantasia di inventori di umorismo, di talenti che — ognuno con la propria personalità — sono senza tempo».
L’elenco è sterminato. Benigni?
«Con lui ho passato serate indimenticabili. Ricordo la volta che mi ha accompagnato da Zavattini che voleva conoscermi per fare un programma e io purtroppo mi sono addormentato davanti alla straordinaria logorrea che lo aveva posseduto. Quando mi sono svegliato Benigni stava facendo — in piedi, sul tavolo — il più grande spettacolo a cui ho mai assistito per cercare di non far vedere a Zavattini che dormivo».
Nino Frassica?
«Quando ho chiamato per la prima volta a casa sua la madre non credeva fossi io, pensava a uno scherzo. Dissi a Nino di venirmi a trovare appena gli fosse capitato di passare da Roma. Il giorno dopo era sotto casa mia. Nino ha sempre avuto lo swing».
Gigi Proietti?
«Appena lo chiamavo ridevamo. Avevamo una grande complicità nata anche con la militanza nei night club, posti dove — dopo la mezzanotte — dovevamo fare sorridere il pubblico con la parodia di canzoni famose: cambiavamo i versi e ne facevamo una versione osé».
Paolo Villaggio?
«Eravamo legati da un’amicizia stretta e assicuro che non aveva il carattere difficile che qualcuno gli attribuiva, certo non era tipo da autografi — oggi si direbbe selfie —: non erano nelle sue corde. Era un grandissimo umorista e penso che non gli sia ancora stata riconosciuta la grandissima creatività e fantasia che ha sviluppato non solo nei suoi film, ma anche nei suoi libri».
Troisi?
«A ogni incontro ci inventavamo qualcosa. Una sera a Firenze abbiamo messo in crisi un oste che decantava la nobiltà del suo olio dicendogli che ne producevamo uno a San Giorgio a Cremano — il paese natale di Troisi, dove l’olio non sanno nemmeno cos’è — con olive raccolte al tramonto e pestate nello stesso legno dell’ulivo dal quale venivano raccolte».
Celentano?
«Un geniaccio straordinario. Per me non è solo il più grande cantante italiano — la qualità della sua voce è musicalissima e meravigliosa — ma ha anche dimostrato di essere originale, fuori ordinanza in tv e al cinema. Mi piacerebbe tanto celebrarlo ma non posso perché il suo repertorio, per sua scelta, è vincolato e non accessibile. È un peccato: credo che dovrebbe essere libero soprattutto per le nuove generazioni che devono imparare da lui».
(...)
Lei ha sempre cercato una comicità leggera e surreale, cosa pensa del politicamente scorretto?
renzo arbore adriano celentano
«Non credo che ci debbano essere limiti, ma non è nelle mie corde. Vedo che per far ridere — ma anche in certa musica — si va all’inseguimento della trasgressione, del proibito a ogni costo: è un filone che non mi appassiona».
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