A SEI METRI DAL SUCCESSO – LA STORIA DELLE VOCI SENZA VOLTO DELLE CORISTE (MA CHER E SHERYL CROW CE L’HANNO FATTA)

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Giuseppe Videtti per "la Repubblica"

La chiamarono nel cuore della notte. «I Rolling Stones ti vogliono per incidere una canzone». Quarantaquattro anni dopo, Merry Clayton confessa: «Non sapevo chi fossero i Rolling Stones, ma volai in studio». Fecero le ore piccole, Mick Jagger la incitava a fare di meglio e di più, Keith Richards inseguiva con la chitarra quella voce affilata come un bisturi, lei gridava a squarciagola il ritornello che sarebbe diventato un inno del rock. «Non mi risparmiai, dimenticai persino di essere incinta».

Merry, che nel 1969 aveva ventun anni, perse il bambino; i Rolling Stones ebbero Gimme Shelter, la canzone perfetta per aggredire gli anni Settanta. Allora andava così, le coriste non venivano neanche menzionate nelle note di copertina, riscuotevano il loro assegno e se ne tornavano nell'ombra; in quel caso però il contributo della soul singer fu vistoso, così il nome di Merry Clayton venne scritto in corpo otto sul retro dell'album Let It Bleed, un must nella discografia degli Stones.

Le chiamano per sostenere la voce del solista, rendere il suono più ricco e vitale, lo show più effervescente; le coriste sono da decenni l'ingrediente segreto e più saporito della musica pop. Lo confessano con franchezza Mick Jagger, Bruce Springsteen e Sting in 20 Feet From Stardom (A sei metri dal successo), il documentario di Morgan Neville che, dopo il trionfo al Sundance Film Festival, è ora uscito nelle sale americane (probabile nomination agli Oscar 2014).

I titoli di testa scorrono su Walk On The Wild Side di Lou Reed, mentre il coro scandisce il motivetto «and the colored girls say / doo, da-doo, da-doo, doo doo doo doo... ». Le voci sono del trio inglese, le Thunderlighs (Karen Friedman, Dari Lalou e Casey Synge) che all'epoca accompagnavano anche Jerry Lee Lewis e i Mott The Hoople. Come tante colleghe, hanno tentato di sfondare in proprio, poi sono rimaste lì, a sei metri dal successo.

È la distanza che separa i loro microfoni allineati sullo sfondo da quello solitario in primo piano, al centro del palco. Le puoi vedere, le puoi sentire, quando sono illuminate dai fari blu. Il coro fa parte dell'iconografia della soul music. «Il tipico incedere a-domanda-e-risposta che si stabilisce tra noi e loro è quello che abbiamo ereditato dalle messe gospel; la maggior parte delle vocalist di colore hanno esordito come cantanti di chiesa», spiega Springsteen.

E in qualche caso ci sono tornate, come Mable John, 82 anni, la prima donna scritturata dalla Motown, poi corista negli studi Stax, infine reclutata nel coro delle Raelettes che accompagnava Ray Charles; oggi vive a Los Angeles, è il pastore che ha fondato la chiesa Joy in Jesus Ministries. Erano spaziali i cori delle Raelettes. Molte delle canzoni di The Genius non sarebbero le stesse senza di loro. Hit the Road Jack, Unchain My Heart o Crying Time prive di coro sarebbero come un quadro senza cornice e senza firma.

In quattro decenni almeno quaranta ragazze sono transitate nelle Raelettes. Torrenziali erano anche le voci delle Sweet Inspirations, per mezzo secolo il più blasonato e accreditato tra i cosiddetti "backup group". Guidato da Cissy Drinkard, maritata Houston (la mamma di Whitney), ha dato lustro a molte incisioni e molti concerti di Elvis Presley e Aretha Franklin (erano anche in studio con Jimi Hendrix per l'incisione di Electric Ladyland).

La regina del soul si fidava solo di loro e delle sue sorelle (Erma e Carolyn Franklin) quando si trattava di entrare in sala. Respect, Think, (You Make Me Feel Like) A Natural Woman, Ain't No Way: le cascate di note blue prodotte dalle coriste conferiscono alle canzoni un pathos straordinario. Elvis le adorava. Cissy e Judy Clay diventarono le sue confidenti nei lunghi periodi che trascorreva a Las Vegas quando, megalomane, schierava sul palco ben tre gruppi vocali (Jordanaires e Imperials, oltre alle Sweet Inspirations).

Non di rado le coriste diventavano l'harem ambulante del leader, una tradizione iniziata da Ray Charles e istituzionalizzata da Phil Spector (che con le sue ragazze, da Darlene Love delle Crystals a Veronica Bennett delle Ronettes - che per una fortunata stagione trasformò da coriste in star - si comportava alla stregua di un sultano violento e capriccioso) e che Ike Turner trasformò in una viziosa routine. Lo racconta Tina Turner nella sua autobiografia, le Ikettes venivano scelte più per la loro avvenenza che per le belle voci. Vederle scodinzolare in minigonne charleston alle spalle di Tina creava un effetto effervescente e sexy.

Ne sono passate oltre quaranta tra le grinfie del fedifrago Ike, alcune, come Bonnie Bramlett, Vanetta Fields e Brenda Holloway, diventate soliste di tutto rispetto. «C'è un bel rapporto fra noi, loro mi adorano, io le pago», diceva Bette Midler tra il serio e il faceto delle sue Harlettes (delle quali fece parte anche Melissa Manchester). Il messaggio è chiaro: mi servi finché non ti passa per la testa che sei più brava di me. Per ogni Cher, Sheryl Crow e Mary J Blige, coriste che ce l'hanno fatta, ce ne sono dozzine, centinaia che restano a sei metri dal successo.

«Quando fai questo lavoro devi prima di tutto metterti in pace con te stessa», dice Lisa Fischer, 54 anni, una delle protagoniste di 20 Feet From Stardom che dal 1995 è la preferita dagli Stones. «È una bella vita, canto ogni singolo giorno della mia vita ed è quello che volevo fare. Molte di noi hanno una carriera più lunga delle star».

Merry Clayton, che dopo il successo di Gimme Shelter ha prodotto dischi cult come solista, spiega: «Il nostro lavoro è solleticare il loro ego e mortificare il nostro. Ho cantato con i Doors, Neil Young, Barbra Streisand, Neil Diamond e i Bee Gees senza neanche essere citata». I rocker, a partire dagli anni Settanta, sono diventati più generosi. Joe Cocker regalò un siparietto alle ragazze durante il mitico tour Mad Dogs & Englishmen. David Bowie ha sempre tessuto le lodi del coro di Young Americans (Ava Cherry, Robin Clark e Luther Vandross).

Sting non ne ha mai fatto mistero: la riuscita di The Dream of the Blue Turtlesè stato anche merito delle voci nere di Dolette Mc-Donald e Janice Pendarvis. Qualche caso è finito in tribunale. Nel 1973 Clare Torry fu liquidata dai Pink Floyd con trenta sterline per la sublime prestazione in The Great Gig in the Sky, uno dei brani clou del leggendario The Dark Side of the Moon.

La cantante ci restò male: le avevano promesso che avrebbe firmato il brano insieme a Richard Wright. Vinse la battaglia molti anni dopo: la sua presenza è certificata solo nelle edizioni del disco stampate dopo il 2005. Risarcita ma rimasta lì, a sei metri dal successo.

 

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