I FATTI NOSTRI TRA LE NUVOLE DI AMAZON: LA CIA APPALTA PER 600 MLN $ IL “CLOUD COMPUTING” A BEZOS (IBM NON SI ARRENDE)

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Serena Danna per "La Lettura - Corriere della Sera"

Tra cinquanta giorni si chiuderà negli Stati Uniti uno dei contratti più importanti della storia delle relazioni tra industria e Stato. Protagonisti la Central Intelligence Agency (Cia) e il colosso del commercio elettronico Amazon. L'accordo non c'entra nulla con libri, armadi e cd. Si tratta di «nuvole informatiche», i sistemi online di archiviazione e memorizzazione di dati che vanno sotto il nome di cloud computing.

Nelle «nuvole» dell'Amazon Web Services, numero uno nel settore, è conservato oggi l'1% dell'intero traffico dati di Internet. A fine agosto, si saprà se a una tale quantità di informazioni provenienti da tutto il mondo, andranno ad aggiungersi i segreti della Cia. L'agenzia americana, al pari di molte istituzioni alle prese con troppe informazioni da gestire, ha deciso di «appaltare» la conservazione a un ente esterno.

A sfidare Amazon c'è una vecchia conoscenza dell'intelligence statunitense: l'International Business Machines Corp (Ibm), da sempre azienda partner delle operazioni di sicurezza made in Usa. Questa volta però l'Ibm si sarebbe rivelata meno «sicura e conveniente» della concorrente di Seattle. Così, se la Cia non riaprirà i negoziati (come ha suggerito, invece, il Government Accountability Office), Amazon porterà a casa un contratto quadriennale di 600 milioni di dollari per registrare e archiviare online informazioni su terroristi, criminali e segreti di Stato.

L'accordo rappresenta un passo in avanti nella conquista «pubblica» di Amazon: l'azienda capitanata da Jeff Bezos, che nel 2012 ha guadagnato due miliardi di dollari grazie all'Amazon Web Services (stime Morgan Stanley), fornisce tecnologia cloud a trecento agenzie governative americane, incluso il Dipartimento del Tesoro.

«Chiediamoci in base a quale criterio - commenta il crittografo, esperto di sicurezza Bruce Schneier - un'azienda privata, che ha come primo obiettivo quello del profitto, debba avere le chiavi del magazzino dove si conservano le schede dei cittadini».

Mentre il mondo si interroga sul programma di spionaggio Prism portato avanti dall'amministrazione Obama, appare sempre più evidente come i nuovi «decisori della vita pubblica» - così li ha definiti il presidente del National Constitutional Center Jeffrey Rose - siano ormai le aziende informatiche.

«Il potere di decidere chi può parlare e chi può essere ascoltato nell'era di Internet - ha scritto il costituzionalista su "Time" - non è nelle mani di procuratori e giudici, e neanche in quelle del presidente. Appartiene ai funzionari delle aziende di telefonia e Internet come Google, Facebook, Verizon e AtAt».

Un lavoro di inchiesta del team di giornalismo investigativo del «Washington Post», Top Secret America, ha raccontato il boom - seguito agli attentati terroristici dell'11 settembre 2001 - di numerose compagnie private (1.931 nel 2010) al servizio dell'antiterrorismo, della sicurezza nazionale e dell'intelligence. Oggi nel mondo sono 500 mila i potenziali Edward Snowden, il giovane impiegato della Booz Allen Hamilton (azienda di sicurezza che deve il 98% delle entrate al governo americano) che, con le sue rivelazioni sul programma di sorveglianza Prism, ha raccontato che il governo americano spia i cittadini stranieri attraverso i server delle grandi aziende del web.

Nell'area di Washington dove dominano i Beltway Bandits, gli «impiegati della sicurezza senza responsabilità nazionale», come vengono definiti nei corridoi dell'Office of the Director of National Intelligence (Odni), si distinguono dagli impiegati «ufficialmente» governativi solo per il tesserino (badge): verde contro blu. Da qui l'appellativo di green badger.

Nello scontro tra i banditi di Beltway e i giganti del software «vecchia scuola», legati da sempre al mondo militare, emerge oggi la Silicon Valley, che si dimostra più flessibile e adeguata a rispondere alla crescente domanda di informazioni, un mercato in cui magazzini e magazzinieri di dati giocheranno un ruolo sempre più centrale nelle dinamiche di potere e di controllo globali.

I presupposti principali del nuovo scenario sono due: il crescente traffico di Internet - foto, canzoni, parole, segreti, sorrisi, numeri che, tra soli quattro anni, saranno 13 volte la quantità di oggi - e il necessario taglio delle spese. Secondo Giuseppe Vaciago, ricercatore del Nexa Center for Internet and Society, «il settore pubblico non ha né il denaro, né la tecnologia per dotarsi di sistemi di archiviazione, così tende a rivolgersi ad aziende private».

Sul piano degli affari, la posta in gioco è ricca: la comunità europea prevede la creazione di due milioni e mezzo di posti di lavoro in Europa grazie al cloud computing, con il conseguente aumento di 160 miliardi del Pil comunitario. Utilizzare servizi cloud porterebbe un risparmio stimato tra il 20% e il 50% nelle spese tecnologiche.

Nel mondo il settore cloud è quello cresciuto più velocemente nel campo dell'Information Technology: il giro d'affari passerà, secondo i dati dell'International Data Corporation, dai 21 miliardi di dollari del 2010 a 73 miliardi nel 2014. Le aziende europee, che provano a contrastare la leadership americana nel settore, sanno che lo scandalo Prism potrebbe favorirle.

L'invasione della privacy perpetrata dall'amministrazione Obama ha messo in luce i nodi legati alla giurisdizione e alla protezione e sicurezza dei dati: se i dati di un europeo vengono archiviati da un server americano o indiano, chi è responsabile di quei dati e sotto quale giurisdizione si trovano?

Una domanda che vale anche quando mandiamo un documento via Dropbox o una mail con Gmail: «Per utilizzare quei servizi - continua Vaciago - accetto "condizioni generali" che non possono essere applicate in Italia perché non c'è un sistema di giurisdizione unica che regoli la materia».

In questi giorni a Bruxelles una task force è al lavoro per capire fino a che punto gli Stati Uniti possono utilizzare le leggi nazionali, ordinarie o speciali, per intervenire su questioni extra-nazionali. «Se proprio deve esserci un Grande Fratello per garantire la sicurezza dei cittadini - ha dichiarato Francesca Bosco, esperta di cybersecurity delle Nazioni Unite - preferisco che sia di casa mia. Per questo l'Unione Europea insiste per la creazione di cloud nazionali ed europee».

Nel 2012 la Francia ha investito 150 milioni di euro nella realizzazione di una infrastruttura, mentre le compagnie telefoniche Orange (Francia), Deutsche Telekom (Germania) e Telecom Italia sono tutte al lavoro per realizzare «nuvole» aziendali sempre più efficienti e capienti. La Svezia ha recentemente vietato alla pubblica amministrazione di utilizzare i servizi Google, dalla mail al calendario, dal momento che il colosso di Mountain View ha libertà di manovra sull'archiviazione e l'utilizzo dei dati.

In attesa che l'Unione Europea aggiorni il regolamento sulla protezione dei dati dei cittadini fermo all'era pre-Internet, l'Ue si raccomanda che le aziende che offrono servizi di cloud computing su territori europei «garantiscano la conformità alle leggi europee». Alle «chiacchiere» comunitarie hanno risposto presto i lobbisti americani con la pratica: nell'ultimo report sulle nuvole informatiche pubblicato dalla potente Business Software Alliance, le nazioni europee sono state declassate. Ai primi tre posti per performance e sicurezza ci sono Stati Uniti, Australia e Giappone. La guerra delle nuvole è appena cominciata.

 

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