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Nel 1965 Stephen Shore aveva 18 anni e condivideva il sogno collettivo dei giovani artisti di quella generazione: diventare il fotografo ufficiale della Factory di Andy Warhol. In poco tempo Shore riuscì a inserirsi in una piccola cerchia di artisti di New York che lo catapultò nel mondo tanto desiderato.
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“Stephen Shore: Survey” è un nuovo libro pubblicato da “Aperture e Fundacion MAPRE”. Qui il suo lavoro nella Factory si distingue per la sua crudezza. I soggetti delle fotografie sono visti da un punto di vista del tutto originale. Personalità eccentriche come Lou Reed e Edie Sedgwick diventano piacevolmente accessibili. Le sue immagini sono così spaventosamente banali che demistificano la mitologia che orbitava attorno alla Factory.
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Nei suoi anni alla Factory, Shore ha attraversato la rivoluzione della fotografia dal bianco e nero al colore, un cambiamento estetico che rispecchiava il fascino che i processi industriali e la riproduzione in serie di immagini esercitavano su Warhol.
La fotografia a colori, a quel tempo, era considerata un processo commerciale, destinata non all’arte, ma a scopi pubblicitari. Ma Shore l’ha utilizzata in un modo da evidenziarne il potenziale artistico, proprio come Warhol ha fatto per la stampa serigrafica.
Nel 1995, Shore ha pubblicato “The Velvet Years”, un libro sui suoi anni alla Factory. Qui racconta come uscì profondamente trasformato da questa esperienza:
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"Ero ancora molto ingenuo," ricordò Shore. "Ho visto Andy prendere decisioni riguardo la sua arte più e più volte. Non mi coinvolgeva direttamente, ma ha risvegliato in me un senso estetico differente. Credo di aver imparato osservando, semplicemente.
Quando ho terminato il mio periodo alla Factory, ho scoperto che solo il contatto e l'osservazione di Andy avevano trasformato la mia visione sull’arte e sul ruolo dell’artista. Sono diventato più consapevole di quello che stavo facendo".
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