“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
Daniela Ranieri per "il Fatto Quotidiano"
battiato pubblicita divano busnelli
A Franco Battiato si è disposti a concedere tutto e in quanto “maestro”, come scrisse Edmondo Berselli, “a passargli qualsiasi boiata, a lasciarlo vivo e indenne anche se meriterebbe di essere picchiato a bastonate”. A un primo livello il suo ‘’Attraversando il Bardo. Sguardi sull’aldilà’’ (Bompiani), documentario girato tra Katmandu e l’Italia sul tema della morte, rientra a pieno titolo tra le cose per cui bisognerebbe picchiarlo.
Nell’epoca del nichilismo grossolano e sciatto, tanto poco spirituale quanto poco illuminista, di tutto si sente l’esigenza fuorché delle chiacchiere sull’energia e gli effetti curativi della meditazione, su cui chiunque abbia un abbonamento in palestra sa discettare ben oltre le nostre speranze.
Ma Battiato sa cosa fa. Sa di muoversi in un campo minato, lui che negli anni 70 componeva una delle canzoni più ferocemente sarcastiche nei confronti della vulgata esoterica (Magic shop) al tempo dei “supermercati coi reparti sacri che vendono gli incensi di Dior”. E queste sue interviste a lama tibetani, fisici quantistici e finanche “viaggiatori astrali” sul tema più insidioso sono un’opera estetica prima che mistica o filosofica, che come tale risente del suo genio strepitoso, temerario, autonomo e onesto.
franco battiato e pino massara fetus
Il backstage del film, in cui per la gioia dei fan (ma guai a chiamarli così) compare Battiato in forma stupenda, apre a una dimensione umana e delicata che, più che sulla morte, interroga sulla vita. Il giovane lama con gli occhiali da sole che spiega perché la paura della morte sia assurda (“sarcasticamente possiamo dire che è un’occasione per raggiungere la conoscenza della vacuità”) è un ragazzo felice, che desidera solo ciò che ha;
il lama anziano che siede su un divano di velluto rosso in una casa di Katmandu e rivela nei dettagli cosa vedremo nell’inutile notte (“la coscienza lascia il corpo dopo tre giorni e entra nello stadio intermedio del Bardo”) è assistito dalla giovane nipote, che parla italiano e ha scelto di non legare la sua felicità all’essere moglie e madre;
il teologo che sa di cosa è fatta l’anima è seduto davanti a librerie piene di edizioni Adelphi, forse “l’esoterismo di René Guénon” preso di mira da Battiato in Magic shop; e infine Manlio Sgalambro, filosofo e partner artistico di Battiato scomparso nel marzo scorso, che parla della sua morte (“mi colloco in un’altra zona, che chiamo amortalità”), lascia un testamento ironico e perturbante la cui levità prevale sulla pesantezza del tema.
Sta ai nostri temperamenti ricevere il film e il libro che l’accompagna come una “farmacologia” spirituale, una Ars moriendi alternativa sia alla serenità di Socrate che all’indifferenza di Epicuro e incentrata invece sulla morte come passaggio da una condizione penosa a una di meraviglia; oppure se goderceli come una serie di ritratti umani, una galleria di pensieri profondamente leggeri sulla morte come quelli portati alle più alte vette poetiche e filosofiche da Rilke, Tolstoj, Blanchot.
Se la morte sia da pensare come un evento che dissolve l’Io, quell’“aggregato di processi psichici pauroso, disperato, aggressivo, opportunistico, manipolante”, o come un effetto puramente neutro della biologia, non cambia niente per la morte ma determina la qualità della nostra vita.
CERTO È che finora il nostro modo di vivere non ci ha portato lontano, e che i due poli di desiderio e angoscia in cui ci dibattiamo come mosche in un barattolo sono nulla, di fronte all’unica esperienza che tutti facciamo e nessuno può raccontare . Nei cimiteri, come scrisse Vladimir Jankélévitch, non c’è niente. Se altrove qualcosa resta, meglio che sia un amoroso sorriso, perché certo in Paradiso non si ride, visto che il riso è frutto del sentimento del tragico.
MEDIORIENTE DI FRANCO BATTIATO
E che la chiave giusta sia quella ironica, è chiaro dalle prime immagini del film: Arlecchino e la Morte che danzano insieme, non per irridere amore e fiducia in un macabro tintinnio di ossa, ma al contrario per quella speranza, data al mondo da Nietzsche, che se un Dio esiste, può essere solo un Dio che sappia ridere e danzare.
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