1. BOTTE DA ORBI E SUPERSUPERSCAZZI NEL GIARDINO DORATO DEL CINEMISMO ITALIANO 2. IL “CORRIERE” CONFONDE “VANITY FAIR” CON “VARIETY”, E ANNUNCIA CHE MÜLLER DOVRÀ PAGARE 40.000 EURO DI RISARCIMENTO PER LA DIFFAMAZIONE A MEZZO-STAMPA AL CRITICO MEREGHETTI. L’OFFESA: RECENSIRE UN FILM SENZA AVERLO VISTO COMPLETAMENTE 3. OHIBÒ, DA QUANDO IN QUA I CRITICI SONO OBBLIGATI A SORBIRSI ORE DI FILM PESANTISSIMMI SENZA POTERSI ADDORMENTARE O SCAPPARE FINGENDO DI ANDARE AL BAGNO? “MICA DEVI BERE TUTTA LA BOTTE PER CAPIRE SE IL VINO È BUONO” (ALBERTO ARBASINO DIXIT) 4. ALTRO ATTACCO A MÜLLER: “REPUBBLICA” LO SBERTUCCIA PER AVER INVITATO AL PROSSIMO FESTIVAL DEL CINEMA DI ROMA FICARRA E PICONE. E ALLORA? PERCHÉ UN FILM COMICO NON DOVREBBE CHIUDERE UN FESTIVAL? I COMICI PUZZANO? E DARE IL PREMIO SPECIALE, LA LUPA CAPITOLINA, A TOMAS MILIAN ''MONNEZZA'' E’ UN’OFFESA ALLA COMUNITÀ DEL CINEMA?

Marco Giusti per Dagospia

Marco Muller Stefano Accorsi e Marco Giusti Marco Muller Stefano Accorsi e Marco Giusti

 

Botte da orbi e supersuperscazzi nel giardino dorato del cinema italiano. Nemmeno fossimo in un film non di Ficarra e Picone, ma di Bud Spencer e Terence Hill. Mentre si festeggia la candidatura italiana all’Oscar per il miglior film straniero di Paolo Virzì con “Il capitale umano”, è un buon film e magari ha pure qualche seria chances, ci arrivano una serie di notizie favolose di cronaca quasi nera riguardanti la turbocritica italiana.

paolo mereghettipaolo mereghetti

 

La più grossa, che leggiamo nel “Corriere della Sera” è che nella causa Mereghetti-Müller, vecchia faida riguardante una serie di dichiarazioni di Müller, allora direttore della Mostra del Cinema di Venezia nell’era Bondi, contro i critici italiani, in testa Natalia Aspesi e Paolo Mereghetti, rei di seguire pigramente il festival, di non vedere le opere più sperimentali e di recensire qualche film, come “Promises Written in Water” di Vincent Gallo (‘na palla terrificante), senza averlo visto completamente, ha vinto l’offeso Mereghetti e Müller dovrà pagare 500 euro di multa oltre a 40.000 di risarcimento per la diffamazione a mezzo-stampa del suddetto Mereghetti.

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Ahi! Ora, a parte che si tratta del processo di primo grado e che Muller non pagherà nulla e ha già pronto il ricorso, a parte che l’anonimo giornalista scrive che le dichiarazioni di Müller provenivano da un’intervista a “Vanity Fair” mentre si tratta di un’intervista che fece Nick Vivarelli sulla ben più importante (per il cinema) “Variety”, in data 18 settembre 2010, e già qui ci sarebbe da ridere sulla gaffe, è da chiederci, soprattutto, dove fosse l’offesa.

 

Anche perché, complici i “non l’ho visto e non mi piace” di Giorgio Manganelli e Murillo Mendez, o i “non devi bere tutta la botte per capire se il vino è buono” di Alberto Arbasino, da quando in qua i critici sono obbligati a sorbirsi ore di film pesantissimmi senza potersi addormentare o scappare fingendo di andare al bagno? Certo, non potrai scrivere un dotto saggio su un film se ne vedi metà, ma spesso si può dire parecchio.

 

Ricordo perfettamente Giuseppe Grazzini, vecchio critico del “Corriere”, addormentato nelle salette veneziane e non credo che certi critici ottantenni siano più vispi. E uscire da una sala perché un film non ti piace (io ricordo perfettamente chi scappò dalla visione veneziana di “Io sono l’amore” di Luca Guadagnino) e scriverne non mi sembra un peccato. E quindi dove sarebbe l’offesa?

 

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Müller, e qui magari poteva starsene zitto, disse qualche giorno dopo su non so quale blog, anche che c’erano critici, come Mereghetti e Goffredo Fofi che “fischiano i film di Werner Herzog”. E qui uno si può anche arrabbiare, ma non perché un critico non possa fischiare o dissentire, personalmente ho fischiato parecchio in gioventù, ma perché non fischi un film di Herzog e personalmente non ho mai visto Mereghetti fischiare a un film. Ci crede troppo.

 

Ricordo invece chi scappò vedendo metà di “Vincere” a Cannes per batterlo in uscita sul giornale. Ma da qui alla causa a un direttore di festival, veramente, mi sembra un eccesso. Anche se di mestiere fai il critico del corriere. Diciamo, invece, che c’è in corso, e da tempo, una vera guerra a Muller. Per nulla simpatica.

 

Ieri, con la scusa che vuole chiudere il Festival di Roma con la proiezione dell’ultimo film di Ficarra e Picone, “Andiamo a quel paese”, si sono riaperte le botte in testa. Giuseppe Cerasa sulle pagine di “Repubblica Roma”, attacca il festival intitolando il suo articolo “Con Ficarra e Picone crepuscolo di una kermesse” e chiudendolo con un “se tutto rischia di trasformarsi in un festival alla gricia, non è meglio abbassare il sipario e scrivere una parola che tutti pensano ma pochi hanno il coraggio di scrivere: the end?”.

stefania orlando e carlo freccero stefania orlando e carlo freccero

 

E oggi sempre “Repubblica Roma” rilancia indicando Carlo Freccero come direttore unico di un festival di cinema e fiction. Boh?! Ora, a parte il futuro del Festival di Roma di Muller e di Freccero, che sono due cari amici, come Mereghetti, perché un film comico non dovrebbe chiudere un festival? I comici puzzano? Vorrei sapere se Cerasa si ricorda davvero il titolo di un film che in passato ha chiuso il festival di Roma o di Venezia.

 

marco muller direttore della esima mostra del cinema di venezia marco muller direttore della esima mostra del cinema di venezia

Di solito si piazza lì il film più trombone, due ore di musical indiano, tre ore di film cinese, un polpettone storico. Qualcuno ha detto qualcosa su “Il sangue dei vinti” sponsorizzato da Maurizio Gasparri nell’epoca Rondi? Forse non chiudeva il festival, ma non era un bel vedere. Chiudere un festival con un film comico, ma anche presentare un film comico, o dare il premio speciale, la Lupa Capitolina, a Tomas Milian Monnezza vengono viste come offese alla comunità del cinema.

 

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Ohibò! Scordando che Tomas Milian, grande attore e mito cittadino assoluto come Totti, ha recitato anche per Visconti, Pasolini, Maselli, Maraini, Spielberg, Sodenbergh, Ferrara, Antonioni, che non è stato solo Monnezza. E che il cinema comico e la commedia, grazie agli incassi di Checco Zalone, formano l’80 per cento (o più?) della nostra produzione.

 

GIUSEPPE CERASA GIUSEPPE CERASA

Al punto che dai primi di ottobre, quando uscirà il secondo film del famigerato Paolino Ruffini, “Tutto molto bene”, 500 copie, al prossimo aprile, vedremo sui nostri schermi solo film comici, da Max Bruno a Neri Parenti, da Aldo Giovanni e Giacomo a Lillo e Greg, da Alesanndro Siani a Luca Miniero, da Paolo Genovesi a Alessandro Genovesi.

 

Mentre la produzione “alta”, diciamo, si concentrerà nei pressi del Festival di Cannes, con la vera guerra per il concorso tra Paolo Sorrentino, Marco Bellocchio, Nanni Moretti, Matteo Garrone. I nostri produttori, anche quelli considerati più “seri”, stanno tutti producendo commedie. Andrea Occhipinti della Lucky Red produce il film di Natale di Neri Parenti con Boldi e Pio&Amedeo. Angelo Barbagallo il nuovo film comico al femminile di Giorgia Farina.

tomas milian banda gobbotomas milian banda gobbo

 

Perfino i giovani più interessanti della stagione passata, Pif, Sydney Sibilia, hanno girato commedie sulla mafia e sul precariato. Ma sempre commedie erano. Non c’è scampo. E non è colpa di Muller, credo. I pochi film non comici si dividono tra i festival. Ma non ci sono più i tanti titoli di un tempo.

 

Al punto che il miglior film italiano di genere (e forse non solo) del 2014 è sicuramente “Gomorra – La serie” di Sky e che “Il capitale umano” di Paolo Virzì non ha avuto grandi rivali nella corsa all’Oscar.

 

TOMAS MILIAN FOTO ANDREA ARRIGA TOMAS MILIAN FOTO ANDREA ARRIGA

L’anno prossimo, magari, sarà diverso, ma quest’anno è un trionfo di film comici. Punto. E allora perché non portarli al Festival di Roma in apertura o in chiusura? Dove è l’orrore? E Cerasa non ricorda quanto era brutto “Fur” con Robert Downey Jr ricoperto di peli…