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Lettera di Renato Brunetta a Dagospia
Caro Dago,
ti scrivo a scopo preventivo, conoscendo la tua predisposizione filantropica a ri-pubblicare lo “Sbadiglione Italia” di Aldo Grasso, colorando con titoli da imbalsamatore pontificio la prosa cadaverica da artista del ghirigoro sfregiatore.
Visto che sono, come scrive Grasso, sul corriere della Sera un “esteta del litigio”, per dargli soddisfazione mi confermo tale, gli do ragione. Ma non tiene conto di una cosa, Grasso: ho ragione. A lui e a tutti quelli che mentono spudoratamente o sopiscono come conti zii, non sono capace di rispondere con svagata ironia arbasiniana, devo replicare subito all'offesa, all'errore, all'omissione, alla ignoranza. E' più forte di me, non resisto al geyser della voglia di verità. E' estetismo? Direi che è catechismo, come sa bene Grasso, professore dell'Università Cattolica.
LITE TRA RENATO BRUNETTA E BRUNO VESPA
La seconda opera di misericordia spirituale è “Insegnare agli ignoranti”. La terza è “Ammonire i peccatori”. Non di tutti i tipi: solo i bugiardi e gli opportunisti, e tra essi preferisco usare questa cortesia ai potenti. Mi limito a rivelare che il Re è nudo. Lo faccio à la carte e non porto rancore. Dico a Lorsignori le cose che molti pensano ma non hanno l'opportunità o il coraggio di sostenere in pubblico. Dopo di che, per il conforto di quanti si sentono migliori e più civili, accetto di passare per “persona molesta”, che il medesimo catechismo imporrebbe a Grasso di “sopportare con pazienza”. Sono contento però di essergli insopportabile. E' una medaglia.
LITE TRA RENATO BRUNETTA E BRUNO VESPA
La tecnica di Grasso è quella perfetta del politically correct. Non è greve. Cita. Così da cecchino furbo e impunito, si ripara dietro D'Alema, per scagliarmi addosso senza pagare dazio il suo vecchio insulto razzista che non gli do la soddisfazione di ripetere, confermandosi quel mediocre rancoroso che è. Crederà mica di essere originale? Prima di colpirmi dev'essersi sentito rassicurato da un articolo di Ernesto Galli della Loggia, il quale accarezzandosi la barba dell'infallibilità, qualche giorno fa in prima pagina , non mi ha contestato per le mie idee, delle quali non una ha riferito, ma per le “querule interruzioni”.
LITE TRA RENATO BRUNETTA E BRUNO VESPA
Querulo, ceruleo, cinereo sarà lei, caro professor Galli della Loggia col suo assistente Grasso: non entrando nei contenuti, fermandosi a un presunto galateo che non avrei rispettato, non è che mi interrompe, proprio mi censura. Forse perché sono il bersaglio preferito di Renzi, che mi cita a ripetizione, ma non fornisce un argomento che uno alle mie critiche e controproposte.
Ripeto, per completezza di rottura di coglioni del prossimo (sono abbastanza molesto?), l'elenco fornito da Grasso dei miei litigi e spiego perché avevo e ho ragione. David Parenzo: voleva delegittimare e interrompere la mia critica a Juncker, puntuale, sull'oggi, con l'argomento puerile che qualche eurodeputato due anni fa l'ha votato; Bruno Vespa: non voleva che facessi notare che il finanziere Davide Serra, da lui chiamato a commentare la Brexit quasi fosse un divo olimpico, è un finanziatore della fondazione di Renzi e della Leopolda;
Clemente Mimun: ho constatato l'ovvio, e cioè che il Tg5 è filo-governativo e monocorde sostenitore del sì al referendum; Maria Latella: come lei mi diceva che sono antirenziano, azzeccandoci, io ho detto che lei è renziana, stra-azzeccandoci (vedi la sua corsa in ginocchio a Villa Pamphilj ieri); Gianni Minoli: gli ho fatto notare un errore gravissimo presente in una sua domanda, non scritta da lui, ma rifiutava di ammetterlo;
Michele Santoro: nessun litigio, fu una discussione sulla questione sociale dell'evasione;
Lilli Gruber: le ho detto: "I suoi elettori l'avevano votata per stare cinque anni al Parlamento europeo, ma lei se ne è andata. Quando si prende un impegno con gli elettori lo si porta a compimento". Sbagliato? Fabio Fazio: gli ho chiesto quanto guadagnava, trasparenza, dov'è l'errore? Daria Bignardi: si vantava di non sapere chi è Giacomo Brodolini, da vera snob radical-chic.
Intanto constato che oggi sul Corriere ci sono tre rubriche a firma Aldo Grasso. Mi piace molto notare la severità davvero encomiabile espressa con questo meraviglioso soffietto alle “Poste” di osservanza perfettamente renziana. Titolo: “Operazione lavatrice. Poste usa l'ironia per spingere le polizze”. Chiusura del severo ammonimento da autentico cane mastino difensore dei clienti delle Poste, altro che watchdog: “Entrambi i soggetti sono chiusi dall`invito «Assicurati alle Poste», in una campagna tutta giocata sull'ironia per svecchiare l'immagine dell'azienda”. Bravo, bene, spot.
Renato Brunetta
BRUNETTA, L’ESTETA DEL LITIGIO (SENZA FINE)
Aldo Grasso per il “Corriere della Sera”
Spesso si litiga per questioni di lana caprina. A volte per la sola lana, altre per le capre (come fa Vittorio Sgarbi). Renato Brunetta è un esteta del litigio, esattamente come certi artisti amano l’arte per l’arte. Litiga per il gusto di litigare, sa che una lite non ha bisogno di ragioni. Ultimamente ha molto polemizzato, ogni volta che è apparso in tv. Ha litigato con David Parenzo («Ma mi lasci parlare, anche perché non ha niente da dire»), ha clamorosamente litigato con Bruno Vespa (un wrestling straordinario e inaspettato), ha litigato con Clemente Mimun («Attento, non guardo più il Tg5!»), ha litigato con Maria Latella («Lei è troppo renziana»), ha litigato con Gianni Minoli («Lei ha un’arroganza inaccettabile, adesso ho capito perché l’hanno cacciata dalla Rai»).
In passato ha avuto scontri epici con Michele Santoro, Lilli Gruber, Fabio Fazio, Daria Bignardi. Dove lo invitano, lui litiga. E magari lo invitano apposta perché lui litighi e l’audience s’impenni: ma così si finisce in caricatura. Lo accusano di essere rancoroso, guidato solo dal malanimo e dal livore. Lo insultano con pesantezza («L’energumeno tascabile», solita delicatezza dalemiana). Lui replica con audacia.
Forse si sente solo un watchdog di se stesso, quello che Paolo Conte chiama can da pajé. Insomma, un miscuglio di altezzosità e immodestia. Tanto in tv si urla non per difendere le proprie idee, ma per non ascoltare l’altro.
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