IL CAMPIONATO VOLTA ANNO (CALCIOSCOMMESSE PERMETTENDO) - TORNERÀ IL 7 E 8 GENNAIO, SENZA CHAMPIONS FINO A METÀ FEBBRAIO, CON JUVENTUS E MILAN, LASSÙ, A INDICARE LA MANGIATOIA. IN TUTTI I SENSI, PURTROPPO - I BIANCONERI DI UDINE SONO STATI UNA MARCIA DI ZANZARE SUL VETRO DI UNA FINESTRA. I ROSSONERI DI CAGLIARI, VICEVERSA, SAPEVANO CHE PRIMA O POI QUALCUNO LO AVREBBE SPACCATO, IL VETRO: E QUEL “QUALCUNO”, DI TACCO O DI SPONDA, È SEMPRE LUI, IBRA…

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Roberto Beccantini per "Il Fatto Quotidiano"

Il calcio giocato, chiamiamolo così, ci lascia sotto l'albero la coppia che credeva nelle sinergie e fu divisa da Calciopoli, L'imbattibile Juventus e il Milan del miglior attacco. Per i poveri di spirito come me: da una parte, l'orchestra; dall'altra, il tenore. Il Milan vi è abituato, come documentano le vittorie, nove nelle ultime undici partite, che hanno scolpito l'aggancio; la Juventus, in compenso, è andata al di là di tutto e di tutti: limiti, pronostici, risorse, diffidenze.

Un anno fa, dopo sedici turni, la classifica era questa: Milan 36, Juventus, Napoli e Lazio 30, Palermo, Roma e Inter 26, Sampdoria e Udinese 23. Oggi è decisamente più corta: Milan e Juventus 34, Udinese 32, Lazio 30, Inter 26, Napoli e Roma 24.

D'accordo, il Cagliari era senza denti e l'Udinese aveva sempre vinto in casa: non si incensi, dunque, il bisturi del Diavolo né si biasimi l'eccesso di zero della Juve. Detto che il titic-titoc del Friuli mi ha ricordato la prima Roma di Luis Enrique, un inno alla noia, e che Quagliarella lo avrei messo subito, Conte ha fatto miracoli. Non solo pressing e ritmo, ma anche personalità e geometrie. Guidolin, reduce da tre gare in sei giorni, presentava un'Udinese allo stremo: di qui l'esigenza, manifesta e condivisa, di allargare la rosa. Champions, Europa League, campionato: le idi di marzo non vedono l'ora di battezzare un nuovo Cesare.

Calcio brullo, da Udine a Cagliari, e con una linea di confine secca, precisa: Zlatan Ibrahimovic. Molto, se non tutto, nasce e finisce attorno alle sue geniali paturnie. Bravo, Allegri, a promuovere Nocerino al ruolo di stoccatore; e non meno dritto a dare dell'esteta al suo presidente, pur di toglierselo dai titoli (e non solo). L'ennesima panchina di Pato non impedisce al Milan di giocare con due punte: Berlusconi lo sa, Barbara anche. Del "fenomeno" Nocerino ho già parlato. Non entra nell'azione come Marchisio, preferisce imboscarsi per poi chiuderla: la scarpa di Pisano gli ha sottratto il settimo gol.

Ho già parlato anche di Ibrahimovic, e se ci torno sopra lo faccio, esclusivamente, per ribadire il concetto. Sarà durissima scalzarlo dal trono. Carta canta. Nel 2004, la Juventus era arrivata terza dietro Milan e Roma: prese Ibra e vinse due scudetti (poi revocati); nel 2006, l'Inter era arrivata terza dietro Juve e Milan: reclutò lo svedese e, con la sua firma, di titoli ne sequestrò addirittura tre; nel 2010, il Milan era arrivato terzo dietro Inter e Roma: liberò Zlatan dal mal di Barcellona e si aggiudicò il campionato. Serve altro?

Il Milan, al quale il 2 ottobre proprio la Juve inflisse l'ultima sconfitta, soffre le grandi; la Juve patisce le piccole. Dal mercato di gennaio, Galliani avrà Tevez o Maxi Lopez, mentre si ignora chi avrà Marotta, al di là delle esigenze spicciole (un centrale di difesa, un centrocampista e il restauro di Vucinic). La Juve di Udine è stata una marcia di zanzare sul vetro di una finestra. Il Milan di Cagliari, viceversa, sapeva che prima o poi qualcuno lo avrebbe spaccato, il vetro: e quel "qualcuno", di tacco o di sponda, è sempre lui, Ibra.

Di Conte si raccontava che fosse un fondamentalista del 4-2-4. Alla faccia: è tutto un frullato di moduli, difesa a tre compresa. Ha trasformato una zucca in carrozza, e può sporgersi, fiero, sul girone di ritorno, il precipizio che ha ingoiato le ultime Juventus. La tregua natalizia è un nido di vipere: nasconde lusinghe, trappole. Occhio all'Inter: il recupero della prima giornata le ha offerto il sesto successo in sette gare, e se il Lecce in difesa mette paura, il buon senso di Ranieri, fra pali e gol, continua a cucire classifica e morale. Il derby del 15 gennaio ci aiuterà a fissare meglio le gerarchie.

In regime di tre punti per vittoria, la stessa imbattibilità che cinge la Juventus rappresenta una subdola tentazione. Paga meno di quando si distribuivano due punti. Certi distacchi, che sembrano enormi, in realtà enormi non sono. I sette pareggi della Juventus, squadra che, le va dato atto, gioca sempre per vincere, riassumono la distanza fra volere e potere: una distanza che si avverte, soprattutto, nei pressi dell'area, là dove basta che Marchisio fletta o Matri si allarghi per rendere sterile la fase risolutiva.

Se Bergamo ha scaricato Doni e spinto la fiammeggiante Atalanta al di là del Cesena, le società della Capitale si godono la loro rivincita. Lazio e Roma difesero a spada tratta i rispettivi allenatori dal rozzo giacobinismo della piazza. Morale: Reja sgomita a quattro punti dalla vetta, anche se il Chievo avrebbe meritato di più, Luis Enrique pedala fra gli applausi. Ognuno, secondo il proprio stile: di rimessa, la Lazio; di possesso, la Roma. La bacchetta di Totti al servizio di Lamela e Osvaldo è un segnale cruciale. Le rivoluzioni, culturali e non, costano.

Bisogna avere pazienza. Quella pazienza che, per esempio, Zamparini detesta. Di tecnici, ne ha già alternati tre: Pioli, Mangia, Mutti. Tanto geniale nello scovare la manodopera (Amauri, Cavani, Pastore), quanto bulimico nel masticare "mister": neppure Guidolin e Delio Rossi, due tra i più eclettici alfieri della scuola italiana, sono sopravvissuti ai suoi collerici anatemi.

A proposito di allenatori: la curva del Genoa ha avuto quello che voleva, via Malesani (dentro Marino). Dicesi calcio pure questo, a patto di turarsi il naso. Denis, il capocannoniere, gioca nell'Atalanta ed è uno scarto di Napoli e Udinese, a conferma dei misteri che scortano i riti pallonari. Nel frattempo, il campionato volta anno, non solo pagina. Tornerà il 7 e 8 gennaio, senza Champions fino a metà febbraio, con Juventus e Milan, lassù, a indicare la mangiatoia. In tutti i sensi, purtroppo.

 

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