DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
Marco Giusti per Dagospia
Cannes. Seconda settimana. Magari sarà più interessante e più ricca di sorprese della prima. Ma finora, ammettiamolo, il Festival è davvero moscetto. Tutti questi ottantenni che si ostinano a fare cinema, e a parte George Miller, che riesce a fare un film come “Furiosa”, questi ottantenni non sembrano proprio in forma. Anche se mi dispiace non aver visto Paul Schrader che presentava il restauro di “Quattro notti di un sognatore” di Robert Bresson. Per non parlare di tutti questi critici settantenni, me compreso, che trovano invecchiati i registi ottantenni (sai che sorpresa), che fanno film su cosa? sull’idea di morte. Sugli amici morti. Già.
Di che devono parlare? La mosceria è tale che solo perché musical dalla storia stravagante con protagonista trans è sembrato da Palma d’Oro (non scherziamo) “Emilia Perez” di Jacques Audiard, che pensavo un ragazzo, ma ha 72 anni, e infatti gira da settantenne che non conosce i musical e neanche i mélo. Gli rimprovero una regia non inventiva. Altrimenti sto a casa e me lo vedo su Netflix.
Mi ha colpito “Limonov” di Kirill Serebrennikov con Ben Wishaw e la bellissima e altissima Viktoria Miroshnichenko, perché ci sono grandi piani sequenza, perché è inventivo, perché è una grande storia del 900. Perché Ben Wishaw, anche se parla inglese con l’accento da russo, è un grande attore. Ma non potrà vincere, proprio perché parla inglese e dovrebbe essere russo. Mi è piaciuto anche “Caught by the Tides” di Jan Zhang Ke, perché ci sono finalmente inquadrature, costruzioni complesse di scene che non ho mai visto prima, del tutto originali.
Mi ha davvero impressionato lo sciamano yanomami Davi Kopenawa, autore anche del libro, sembra sia magnifico, da cui è tratto “La caduta del cielo” (“The Falling Sky”), personaggio fuori del film, che mi piace ma vive delle sue storie e dei suoi ragionamenti. Come mi ha colpito la figura di Lula raccontata nel documentario di Oliver Stone, “Lula”, passato ieri in un tripudio di fan brasiliani che lo venerano come Maradona e non potevano mancare.
Non un medaglione sul personaggio come si fa in Italia, ma una vera storia, forte come un film, quasi un thriller, su un personaggio leggendario, nato povero, che ha mantenuto la famiglia, ha perso un dito sotto la pressa, si è fatto 21 anni di dittatura militare, ha fondato un partito, Leon Hirtzsman, uno dei padri del Cinema Novo, gli ha dedicato un film nel 1990 (“ABC da greve”), si è candidato cinque volte a presidente, che non si dà mai per vinto, che sa parlare in pubblico come nessun altro, almeno da noi, perché sa parlare a folle incredibili, che finisce in prigione, ormai vecchio vedovo malmesso, esce grazie a un hacker che smaschera il complotto della destra legata alla Cia, e subito riesce a tornare a galla, a cacciare Bolsonaro e tornare nuovamente presidente.
Urla contro i suoi avversari Bolsonaro e Moro, il giudice che lo ha mandato in prigione e ha fatto cadere Dilma, “uno è fascista, l’altro è neo-fascista”. E l’uomo che ha riportato la democrazia nel paese. Ne vedrei ore di un film così. Perché mi spiega qualcosa e mi porta un po’ di vita. E vedrete che in mezzo a tutto questo cinema un po’ polveroso, dove disperatamente si cerca di scovare un’altra regista francese giovane e brava come Justine Triet da mandare agli Oscar e tornare vincitori, farà la sua figura la Napoli, la Capri, la bellezza della giovinezza della protagonista di “Parthenope” di Paolo Sorrentino.
celeste dalla porta - photo hollywood authentic greg williams
Napoli funziona sempre. La verità è che i festival prima o poi andrebbero rinnovati. Ma non sempre trovi trentenni bravi. O cinematografie ignote da scoprire. Venezia ci crede un po’ meno a tutte queste inutili celebrazioni del cinema nazionale. Il legame con Netflix alla fine gli ha fatto bene. Tutto questo amore per il cinema è anche ridicolo. Come Rachida Dati, fresco ministro della cultura di Macron che ha cinguettato a Kevin Costner, ancor più bollito che ai tempi degli spot delle scarpe Valle Verde, uno sbarazzino “Ti amerò sempre” prima di attaccargli la medaglietta dell’Ordine delle Arti e delle Lettere. Rivaluto Gennaro Sangiuliano. Non lo avrebbe mai detto.
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