Che anno era?
«Il 1965. Era giugno, arrivo a Milano. Mi vestono alla Robin Hood, con un abito di pelle, camicia nera, stivali… Faceva un caldo atroce. Mi prenotano dai Vergottini, allora i più famosi parrucchieri con un salone in via Montenapoleone. Mi fanno una parrucca con la frangia e i capelli lunghi. Solo che era molto larga di circonferenza…».
Ma tu eri bionda?
«Castano chiara, con qualche mèches. E quindi avevo su questa parrucca che però era larga e la dovevo fissare con le forcine, un male tremendo. Come brano scelgo Sono qui con voi, una versione italiana di Baby please don’t go. Ma perdevamo tutte le sere. Vinsi solo una volta, credo fosse nelle Marche, ma solo perché l’altro era talmente stonato che non potevano non farmi vincere. Andammo ovunque, anche in Russia.
A bordo mi tolgo la parrucca perché mi faceva malissimo. Arrivati, scendo dalla scaletta, ci dicono di preparare il passaporto, c’è una donna che controlla i documenti e comincia a parlare, in modo concitato. Io non capisco, penso subito che ci sia qualcosa che non va, ma a un certo punto lei indica dietro di me. Seguo il suo dito e vedo la parrucca che era volata via ed era finita lì, per terra. Come un polpo. Al Cantagiro comunque, alla fine, vinsi il premio della critica».
Ed eri felice.
«Beh, felicissima. Facevo quello che mi piaceva. Una sera, in camerino arriva Daniele Pace e mi dice. “Abbiamo un pezzo fortissimo per te”. Mi fanno sentire Nessuno mi può giudicare, versione tango. Per me, che venivo dall’Emilia Romagna, il tango era roba per anziani. Però Callegari, in principio maestro e poi produttore, mi disse: non ti preoccupare. Andammo a Bologna, cambiammo l’arrangiamento, che poi usò anche Gene Pitney, e di lì a Sanremo».
Fu allora che sei diventata Casco d’oro?
«Il nome se lo inventò Corrado Corradi, un giornalista di Sorrisi e Canzoni. Lui e sua moglie Vittoria, una fotografa bravissima, mi invitavano spesso da loro. Ero già andata dai Vergottini, mi avevano cambiato il taglio, il colore. Era il 1966. Mi presentai così a Sanremo».
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E tu hai sposato suo figlio Piero, Piero Sugar. Era un bell’uomo, ma sembrava freddo, distante. A me faceva quasi soggezione...
«Eravamo abbastanza agli opposti, ma gli opposti si attraggono, no? È vero, Piero era una persona riservata, aveva difficoltà nel relazionarsi con gli altri, io in questo lo aiutavo molto. Mi sono innamorata dei suoi silenzi. Mentre tutti parlavano, lui interveniva sempre in modo ineccepibile.
Sai, il nostro è un mondo che tanti chiamano frivolo – anche se per me non è così, è un lavoro. Lui proveniva dalla cultura vera, e sono sempre stata attratta da chi parlava un italiano perfetto, con un eloquio raffinato. Siamo stati sposati e abbiamo vissuto insieme 52 anni. È morto tre anni fa, purtroppo, a 85 anni. E mi manca molto».
In quegli anni eri diventata ricca o quasi ricca, guadagnavi molto bene per ogni tua canzone e per tutti i filmetti che facevi, no?
«Ero benestante. Mi sposai con un abito giallo e un grande cappello. Avevo 24 anni e i miei capelli erano tornati scuri. Già pensavo alla mia prossima avventura, la prima etichetta, si chiamava Ascolto. Poi, quando sono entrata alla Cgd, ho dovuto conquistare credito tra i dirigenti: era un’azienda enorme, venti dirigenti, 400 persone… Qualcuno diceva “La signora lasciamola giocare”».
Con Piero avete avuto un figlio..
«Ci siamo sposati nel ’70, e Filippo è nato nel ’71. Oggi ha 54 anni. È il condottiero della azienda. Bravissimo. Abbiamo acquistato le colonne sonore dei grandi compositori italiani legati al cinema, Nino Rota, Ennio Morricone, Bacalov. Adesso, con la Triennale di Milano, facciamo un primo festival dedicato alle colonne sonore, Slam, Sounds like a movie. Se ne occupa mio nipote Alessandro. Filippo ha tre figli, Greta che vuole scrivere sceneggiature. Alessandro, che si è laureato a Madrid e si è appassionato delle musiche da film. E poi c’è Nicola, che fa letteratura a Londra. Hanno 27, 25 e 19 anni. E poi abbiamo i cantanti: Madame, Lucio Corsi, ora abbiamo firmato con Tiziano Ferro».
Ma li hai scoperti tu?
«Lucio Corsi sì. Ma ne ho lanciati tanti altri: Gerardina Trovato, Elisa, i Negramaro. E, ovviamente, Andrea Bocelli. Siamo appena stati a Roma perché hanno fatto il francobollo di Con te partirò, che è un po’ la sua firma».
Bocelli lo hai proprio scovato tu.
«Sì, lo abbiamo lanciato, abbiamo trovato per lui la direzione, non era facile. Aveva 34 anni. Ti racconto come andò. Feci esibire Gerardina Trovato, che era arrivata seconda a Sanremo dopo Laura Pausini, prima del concerto di Zucchero. A un certo punto, Zucchero si esibisce con un tenore e canta Miserere, che aveva inciso con Pavarotti. Io cercavo una voce proprio come quella, perché ero convinta che per essere internazionali dovevamo trovare qualcuno che rappresentasse il bel canto italiano. Chiesi a Gerardina: “Ma chi è il tenore che canta con Zucchero?”. E lei: “Si chiama Bocelli, e tra l’altro ti vuole parlare perché ha bussato a tutte le porte del mondo discografico e tutti gli hanno detto di no”.
Tornata a Milano ne parlai con i miei collaboratori: “Ho trovato la voce che cercavo”. E poi era così bello, sembrava Omar Sharif nel Dottor Zivago. Telefonai al compositore Felisatti e quindici giorni dopo mi arrivò una canzone che però aveva un testo che non mi piaceva. La musica, stupenda. Alla fine fu Zucchero a firmare le parole con uno pseudonimo: era Il mare calmo della sera».
Lo pubblichi tu?
«Sì, abbiamo investito tanto su di lui. Abbiamo prodotto anche il suo concerto a Central Park, 15 giorni in albergo a New York, 12 istituzioni coinvolte, un milione di dollari solo per avere lo spazio, ospiti da Céline Dion a Tony Bennett. Una cosa pazzesca. Pavarotti aveva cantato lì nel 1993. Solo il palcoscenico non era nello stesso posto perché nel frattempo erano nate delle tartarughe, e non si potevano disturbare!».
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