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Marco Giusti per Dagospia
Non perdetevi il commovente “Estranei”, scritto e diretto dall’Andrew Haigh nel non scordato “45 anni” e il meno fortunato “Lean on Pete”, con Andrew Scott e Paul Mescal, intrecciati in una storia d’amore. L’ho visto domenica scorsa al Quattro Fontana in mezzo a una folla di adulti in lacrime che non hanno retto neanche “The Power of Love” di Frankie Goes to Hollywood che chiude magnificamente il film.
Ma più che una storia d’amore fra due maschi chiusi in una specie di assurda torre solitaria in una Londra dove non senti più i rumori della città, Haigh fa di “Estranei” un film sulla solitudine di crescere gay nell’Europa omofoba di questi anni e sul potere dell’amore, come spiegava appunto il pezzo di Frankie Goes to Hollywood ai tempi dell’aids, come forza salvifica su tutto. Anche sulla morte.
Tratto dal romanzo del celebrato scrittore giapponese Taichi Yamada, scomparso un anno fa, Haigh non solo sposta l’azione da Tokyo a Londra, ma fa del protagonista, che qui diventa lo scrittore Adam, interpretato da Andrew Scott, un personaggio gay e senza moglie né figli. Nella torre totalmente vuota incontra ovviamente non una bella ragazza, ma un bel ragazzo, il Paul Mescal di “Aftersun” che presto troveremo in “The Gladiator 2”, solo e in cerca di compagnia.
Pur non cambiando nulla rispetto al momento narrativo fondamentale della storia, quando Adam, orfano da quando aveva 12 anni di padre e madre, li incontra come se fossero vivi, sono i favolosi Jamie Bell (il ragazzino di “Billy Elliot”) e Claire Foy, e si apre con loro, apparentemente giovani adulti della sua stessa età, Haigh sa però che l’aver fatto diventare gay il suo protagonista porta a qualcosa del tutto diverso rispetto alla storia di Yamada. Perché Adam dovrà spiegare ai genitori, soprattutto all’amata madre, trentenne di fine secolo, che cosa sia significato per lui scoprirsi gay e affrontarlo senza genitori.
Affrontare una solitudine profonda, perché non confortata dalla presenza della famiglia. Ma una famiglia che, al tempo dei dodici anni di Adam, non era ancora del tutto pronta a accettare l’omosessualità del figlio. Solo questo meccanismo trasporta il film verso una dimensione totalmente sconosciuta che è quella che davvero ha commosso il pubblico. Rivedere una giovinezza complessa dove il rapporto coi genitori su un tema così importante della vita è discusso fra personaggi adulti che cercano di comprendere il dolore della solitudine di un figlio. Questo meccanismo stravolgerà anche il rapporto con Harry, che pure rappresenta l’amore che può salvarci dalla solitudine. Tutti bravissimi. Si piange. In sala.
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