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Marco Giusti per Dagospia
Non sarà per tutti i gusti, ma vi consiglio oggi al cinema lo strepitoso “Grand Tour”, ultima opera del portoghese Miguel Gomes (“Tabu”, “Arabian Nights”), complessa coproduzione franco-italo-portoghese, premiato a Cannes per la migliore regia, il secondo premio dopo la Palma d’Oro e adorato da tutta la critica internazionale (“una unica e preziosa esperienza”, “il film di questa edizione di Cannes”, “è il film dove perdersi”, “un capolavoro di verità nascoste tra le bugie cinamtografiche”).
Sofisticato film di viaggi nell’Asia coloniale durante la Grande Guerra, girato in un bianco e nero molto estetizzante, la fotografia, che ha contributi diversi, è firmata dal tailandese Sayombhu Mukdeeprom, l’incredibile direttore della fotografia dei film di Guadagnino e di Apichatpong Weerasethakul, alterna grandi set d’epoca ricostruiti negli studi di Roma, Parigi e Lisbona, con riprese delle grandi città orientali di oggi, vista l’impossibilità di trasformarle nelle città del passato, ma mantenendo la forma diaristica e narrativa novecentesca originale.
Infatti ci si sposta da Burma a Singapore, da Bangkok a Saigon, da Manila a Osaka, seguendo la fuga molto letteraria di un giovane funzionario inglese, Edward, interpretato da Gonçalo Waddington, che è scappato proprio il giorno dell’arrivo da Londra della sua fidanzata Molly, interpretata da Crista Alfaiate, che ha pensato di raggiungerlo per potersi finalmente sposare.
Invece di tornarsene a casa in Inghilterra vista la ritrosia al matrimonio del suo futuro sposo, evitando altre inutili complicazioni, Molly lo insegue nella sua folle fuga per l’Asia. Nel ricostruire il percorso di Edward e Molly, e il desiderio di nascondersi del primo, Gomes traccia il percorso stesso dell’assurdo e codardo sogno del colonialismo europeo in Asia.
Un percorso che vede varie culture a confronto del tutto diverse che non hanno alcun bisogno di essere colonizzate. Grande film di regia, cosa che è stata giustamente riconosciuta a Cannes, il film ha avuto molte difficoltà produttive, ma alla fine Gomes è riuscito a amalgamare bene set e situazioni completamente diverse. In sala.
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