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DAGOREPORT - GIORGIA MELONI SOGNA IL FILOTTO ELETTORALE PORTANDO IL PAESE A ELEZIONI ANTICIPATE?…
Marco Giusti per Dagospia
Presentato a Cannes tra l'arrivo del ministro Ornaghi e quello della Polverini, l'"On The Road" del brasiliano Walter Salles, è una versione molto classica ma non entusiasmante del romanzo di culto di Jack Kerouac che è piaciuto ai nostalgici della Beat generation e ha deluso i critici con maggiori pretese. Sceneggiato da José Rivera e da Roman Coppola, che non lo firma in quanto co-produttore assieme al padre Francis, è esattamente quello che ci aspettavamo.
Attento, carino, educato, anche quando la bella Kirsten Stewart fa la sua bertolucciata acchiappando i piselli dei giovani protagonisti, Garreth Hedlund ("Tron") nei panni di Sal-Kerouac e il bonazzo Sam Riley ("Control") in quelli di Dean-Neal Cassady. Salles non ci mostra nessun particolare della scena. E alla fine anche il film è un po' così, privo di particolari rilevanti e di vita, senza invenzioni particolari.
Un buon adattamento del romanzo, coprodotto da Francia e Brasile con molta attenzione e ricchezza, vendibile in tutto il mondo, coi suoi attori carini, ma forse dimenticabili, a parte Kristen Stewart e Kirsten Dunst e i cammei notevolissimi di Viggo Mortensen come William Burroughs e di Steve Buscemi in un ruolo gay ma coi baffetti di "Boardwalk Empire" (no... gaynunsepovedè).
C'è però un grande lavoro sulla musica, in massima parte costruita sul jazz del tempo e rielaborata da Charlie Haden, grande nostalgia dei critici più anziani per le macchine da scrivere Underworld, il sesso a tre, gli spinelli, le Camel, il sogno della strada, il jazz e il blues di Son House, la dedica a Dennis Hopper. Ma questi ragazzini non sono James Dean, Sal Mineo e Dennis Hopper e forse ha ragione la critichessa che ha detto (non lo dico, indovinate...) che la morale del film alla fine è: "meglio farsi inculare che vivere con moglie e figli".
C'è da pensarci, come c'è da pensare rispetto alla visione dell'America e dei grandi temi americani dei registi non americani come Salles, ma anche Andrew Dominick e John Hillcoat. Certo Sorrentino e Contarello avrebbero puntato su eccessi di gru, battute storiche e totale autocelebrazioni registiche. Alla fine Salles e Coppola fanno un buon lavoro di riduzione dei testi di Kerouac, Cassady e Ginsberg e senti poco lo sguardo autoriale del regista. Come se da parte del vecchio Coppola ci fosse la convinzione che a Hollywood non si possa più osare nulla se non l'ovvietà . In sala dall'11 ottobre.
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