IL CINEMA DEI GIUSTI - “SMETTO QUANDO VOGLIO”, DIVERTENTE OPERA PRIMA SUI TRENTENNI PRECARI CHE S’IMPROVVISANO CRIMINALI

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Marco Giusti per Dagospia

"Smetto quando voglio" di Sydney Sibilia

Hai perso il lavoro all'università? Non potrai più fare il chimico, il latinista, l'archeologo, il matematico perché si vive in un paese dove l'unica possibilità è la fuga all'estero? Niente paura. Devi solo scegliere. O diventi criminale per colpa della crisi o fai il cinema comico per colpa della crisi o fai il cinema comico dove diventi criminale per colpa della crisi. Lo so.

Non è affatto male questo "Smetto quando voglio", divertente opera prima del trentunenne salernitano Sydney Sibilia, che lo ha scritto cucinandolo con dialoghi brillanti assieme a Valerio Attanasio e Andrea Garello. Prodotto da Domenico Procacci e Matteo Rovere per Fandango-Axent Film e Rai Cinema, il film ha ritmo, non è ovvio, nel senso che non prende mai la direzione che ti aspetti come nella maggioranza delle nostre commedie, ha un'immagine, firmata da Vladan Radovic, non da film italiano, con colori troppo accesi, rossi fluorescenti.

E, soprattutto, ha un gran bel cast di attori giovani e brillanti, il migliore e più innovativo visto quest'anno in una commedia, da Edoardo Leo, qui alla sua prova più matura, a Libero De Rienzo, magnifico come sempre, da Valerio Aprea, grande volto da cinema, a Stefano Fresi, risposta romana a Giuseppe Battiston, dalle star di "Boris" Pietro Sermonti e Paolo Calabresi al figlio d'arte Lorenzo Lavia, fino alle apparizioni eccellenti di Valeria Solarino, come moglie di Leo, e di Neri Marcoré come terribile "Er Murena", capo del traffico di pasticche a Roma.

La storia, in realtà, non è così originale, inoltre è molto simile a quella del piccolissimo, fortunato "Spaghetti story", che sembra quasi il gemello povero del film di Sibilia. Siamo ancora nel mondo dei trentenni, in questo caso tutti universitari, bravi, intelligenti, che si vedono negare i posti da ricercatori da un'Italia corrotta e in piena crisi economica. Finiscono a fare lavoretti di ripiego, chi il cuoco per i ristoranti cinesi, chi i benzinai per gli indiani, chi a giocare a poker con i cavallari del circo.

Pietro però, Edoardo Leo, che ha una bella faccia da film di Guy Ricthie, non ci sta a vedersi soffiare sotto il naso il lavoro e a rimanerne indifferente. Inoltre non riesce a dirlo alla sua donna, Valeria Solarino, e s'inventa che l'hanno preso a tempo indeterminato come ricercatore, con stipendio tra i 1500 e i 2000. "Ma sono 1500 o 2000, c'è una bella differenza?". Così, inizialmente per non farsi scoprire, s'inventa il modo per rispondere alla crisi.

Metterà in piedi, assieme a una banda di amici precari, bravi e sfortunati, una banda criminale che produrrà e distribuirà al dettaglio delle nuove pasticche. Ovvio che il successo nel campo criminale produrrà effetti imprevisti. I latinisti penseranno in grande e affitteranno l'attico di un albergo in centro sentendosi come Scarface, il grosso Alberto, Stefano Fresi, non solo si impasticcherà, ma si metterà con tal Paprika, una escort russa, la notevole Caterina Shulha, perdendo la testa.

La donna di Pietro, scoprendo il traffico del suo uomo, lo lascerà, anche se è incinta (la stessa idea di "Spaghetti Story"). E, come se non bastasse, il terribile Murena, un Neri Marcorè in gran forma, non ci starà a farsi soffiare la piazza di Roma e agirà di conseguenza.

Come nei primi film di Guy Ritchie, "Smetto quando voglio" ha una scatenata e divertente scrittura cinematografica, ma soprattutto offre ai suoi inediti o quasi protagonisti, un gran mezzo per mettersi in luce. E anche per merito loro il film fa molto ridere, ha anche un bel ritmo da sitcom alla "Boris" e cercherà di smuovere un pubblico diverso da quello dei cinepanettoni. Diciamo un pubblico più simile a quello dei suoi personaggi, trentenni precari. Sul fatto, poi, che in Italia non ci sia poi troppo da ridere, poi...

 

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