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Marco Giusti per Dagospia
The Lady di Luc Besson. Non apre nel migliore dei modi il Festival di Roma, nella sua edizione apparentemente più opaca, anche se nessuno ricorda in verità il film di apertura dell'anno scorso. The Lady di Luc Besson è un santino molto edificante dell'eroina birmana Daw San Suu Kyi e della sua lotta pacifica contro il governo di militari che trent'anni governa malamente e dittatorialmente il paese.
Film di alti sentimenti che offre alla protagonista, la star malese Michelle Yeoh, un passato nei film di kung fu, già eroina di âLa tigre e il dragone', un ruolo di grande livello già pronto per la corsa all'Oscar. Non a caso tra i produttori troviamo il suo uomo, il mitico Jean Todt della Ferrari, quello identico a Alvaro Vitali, qui al suo primo impegno cinematografico.
La storia, ricostruita dalla sceneggiatrice inglese Rebecca Frayn, segue sia Daw San Suu Kyi nel suo percorso di attivista politica sia il povero marito, il dotto professore di Oxford Michael Aris, cioè David Thewlis che vediamo di solito in ruoli di cattivo. E' Mickey a reggere la baracca della martire, che vive per anni (dal 1989 al 2010) chiusa in casa a Rangoon segregata dai militari, a seguire i figli, a tramare per farle vincere il Nobel per la pace nel 1991.
E quando lui si ammala di cancro, lei non può neanche andarlo a trovare perché sa che non potrebbe più ritornare. Come nei ritratti hollywoodiani anni '30 dei grandi personaggi storici erano le donne a stare nell'ombra e a sorreggere i mariti, qui è esattamente il contrario. E' il lato più singolare di questa bella, altissima e commovente storia, che Luc Besson tratta con troppo zucchero e troppi effetti strappalacrime. Funziona, certo, ma come una fiction con Manuela Arcuri. Qualcuno avrebbe preferito un po' più di cinema. Così, per cominciare.
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