CLINT, CHE CACIARA - DOPO LE POLEMICHE SU “AMERICAN SNIPER”, CRITICATO DAI LIBERAL USA COME FILM FASCISTA, EASTWOOD E’ COSTRETTO A SPIEGARE L’OVVIO: “IL MIO FILM È CONTRO LA GUERRA. HO MOSTRATO CIÒ CHE FA ALLA FAMIGLIA E A UNA PERSONA, CHE POI TORNA ALLA VITA CIVILE”

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Paolo Mastrolilli per “la Stampa”

 

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Mistero risolto: American Sniper è un film contro la guerra. L’interpretazione autentica è venuta dallo stesso regista, Clint Eastwood, che ha rotto il silenzio sulle polemiche provocate dal suo film sul cecchino più letale dell’Iraq, e dalla storia, con queste parole: «La più grande dichiarazione contro la guerra che possa esprimere un film è mostrare ciò che fa alla famiglia e alla persona, che poi deve tornare alla vita civile, come Chris Kyle».
Per chi avesse trascorso l’ultimo mese su Marte, American Sniper è il caso cinematografico della stagione.

 

AMERICAN SNIPER    AMERICAN SNIPER

Racconta la storia dell’ex cowboy texano Chris Kyle, cecchino dei Navy Seal che aveva servito per quattro turni in Iraq, dal 2003 al 2009. In quel periodo aveva ucciso almeno 160 nemici certificati dai superiori, ma secondo i suoi ricordi furono 255. Questa esperienza aveva compromesso il suo equilibrio mentale e quello della sua famiglia, e al ritorno per superare i problemi psichici si era dedicato all’assistenza dei veterani. Uno di loro, Eddie Routh, lo aveva ucciso, mentre sparavano in un poligono del Texas.
 

L’uscita del film è stata anticipata e seguita da una marea di polemiche: Rolling Stone ha scritto che «American Sniper è quasi troppo stupido per criticarlo», Michael Moore ha detto che «i cecchini sono dei codardi», Bill Maher ha dichiarato che «Chris Kyle era uno psicopatico», e l’American-Arab Anti-Discrimination Committee lo ha accusato di aver provocato un aumento delle minacce contro i musulmani negli Usa.
 

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Nel frattempo, però, Sniper ha incassato oltre 200 milioni di dollari al botteghino, ed è avviato a diventare il film di guerra con i maggiori incassi di sempre, scavalcando anche Salvate il soldato Ryandi Spielberg, che aveva prima considerato e poi rifiutato di dirigerlo. Nonostante le resistenze della liberal Hollywood, ha ricevuto sei nomination per gli Oscar. 
 

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Il motivo di tanto astio, aldilà del giudizio sul film, è politico: Eastwood è un repubblicano dichiarato, e la sinistra ha visto Sniper come una celebrazione della guerra in generale, e quella in Iraq in particolare. Una melassa patriottica che punta a toccare le corde dei sentimenti più banali, sullo sfondo della forte fede religiosa di Kyle.
 

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Dopo tante chiacchiere, sabato Eastwood ha usato il Producers Guild Award Nominees Breakfast di Beverly Hills per dire la sua. «Tra i film di guerra che ho fatto, Lettere da Iwo Jima è uno dei miei preferiti: riguardava la famiglia, l’essere portati via dalla propria vita e spediti altrove. Dopo la Seconda guerra mondiale, tutti in qualche modo se la cavarono. Ora ci sono sforzi per aiutare la gente a superare il trauma. Nel caso di Chris Kyle, nessun gesto buono è rimasto impunito». 
 

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Da figlio di un veterano della Seconda guerra mondiale, mi permetto di dire che ha assolutamente ragione. Ma Eastwood è andato oltre. Ha rivelato che prima di iniziare il film era andato col protagonista Bradley Cooper a incontrare la vedova di Kyle e la sua famiglia, per capire meglio la realtà. E nonostante il cecchino avesse detto al suo psichiatra che non aveva rimorsi, Clint pensa che non fosse così: «C’è un momento nel film, in cui scorre il suo passato, dove capisci i suoi dubbi». Basterà a chiudere le polemiche? Sicuramente no, ma almeno sta attirando l’attenzione su un problema vero.

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