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Gianluca Veneziani per Libero Quotidiano
Ma quanto si volevano bene, Eugenio Scalfari e Italo Calvino, eh! Ennò, manco per niente, o almeno non in una fase della loro vita in cui avevano rapporti tutto meno che amichevoli. Al punto che Calvino, menava all'altro pesanti fendenti epistolari, rinfacciandogli l'appoggio fanatico alle idee fasciste e attaccandolo per l'arrivismo, l'incompetenza, l'ignoranza e la buffoneria.
Un'aggressione verbale tale da stendere chiunque e che lo stesso Scalfari non prese bene.
Vedendola come la coltellata di un amico, con cui aveva condiviso i banchi di scuola al liceo classico di Sanremo, alla fine degli anni Trenta.
I rapporti tra i due si guastarono poco dopo, con la sempre più convinta adesione di Scalfari al regime e il suo arruolamento nella redazione di Roma Fascista, organo ufficiale del Guf, il Gruppo Universitario Fascista.
eugenio scalfari deputato foto ufficiale
Lo confermano diverse missive di Calvino a Scalfari raccolte in Lettere 1940-1985, (Mondadori, 2000). Chi, come Repubblica ieri, celebra romaticamente «l'amicizia andata avanti per tutta la vita» si dimentica colpevolmente di questo passaggio molto poco fraterno tra i due.
CURATI! È il 1942 quando Scalfari, divenuto caporedattore di Roma Fascista, viene infilzato da Calvino che contesta un suo articolo sul vivaio giovanile del regime, avvertendolo: «Stai diventando un fanatico, ragazzo mio, stai attento. Ti stai esaltando di queste idee, tanto da montarti la testa. Curati. Distraiti». Scalfari non "si cura", ma continua a vergare pezzi sul giornale. Dove si occupa anche di economia, senza avere alcuna formazione in merito, secondo l'amico. Che infatti in un'altra missiva lo insulta per il pressapochismo con cui ostenta conoscenze che non ha, con l'unico obiettivo di far carriera.
È il 10 giugno 1942 quando Calvino va giù duro contro Scalfari: «Tu che sempre hai vissuto in una sfera lontana dalla vera vita, uniformando il tuo pensiero all'articolo di fondo del giornale tale e talaltro, ignorando completamente uomini fatti cose, adesso ti metti a scrivere di economia, argomenti ai quali sono legati avvenire benessere prosperità di popolazioni. Questa più che faccia tosta mi sembra impudenza». E ancora: «Lo so, sono amaro, ma, ragazzo, nella merda fino a quel punto non ti credevo. Il giornale fa pietà, è un vero sconcio che si lasci pubblicare tanta roba idiota e inutile. Ti conoscevamo come uno disposto a tutto pur di riuscire, ma cominci a fare un po' schifo».
"Fai schifo" e "sei nella merda" non sono complimenti che ci si aspetta da un amico. E infatti Scalfari si risente, come fa capire in un'altra lettera Calvino che, anziché scusarsi o abbassare i toni, rincara così la dose: «Me ne frego che tu ti offenda e mi risponda con lettere aspramente risentite (oltre che scemo sei pure diventato permaloso).
Quello che ho da dirti (e te lo dico per il tuo bene) si compendia in una sola parola: Pagliaccio! Chiunque ti legga, vedendo uno che fa sfoggio di erudizione ad ogni sillaba, che fa di tutto perché i suoi concetti appaiano il meno chiari e determinati possibile, non può fare a meno di credere che tu sia un Ignorante che ripete pappagallescamente frasi e termini raffazzonati a casaccio». Gli attacchi sono pesanti perché stavolta non riguardano l'ideologia di Scalfari, ma il suo stile di scrittura, ampolloso e poco comprensibile, e la sua cultura, figlia di concetti sentiti qua e là e ripetuti a mo' di pappagallo. È una stroncatura al giornalista e all'aspirante scrittore, prima che al militante di un partito.
FONTI FINTE Però Calvino non doveva averci visto male, quanto alle competenze dello Scalfari giornalista in erba. Il quale nel 1943 scrive una serie di articoli non firmati accusando alcuni gerarchi fascisti di fare speculazioni sulla costruzione dell'Eur. Quei corsivi, non basati su fonti certe ma su voci generiche, varranno a Scalfari una convocazione del vicesegretario del partito Carlo Sforza, che lo additerà di non svolgere bene il proprio mestiere e di essere un imboscato, e quindi gli strapperà le mostrine dalla divisa, espellendolo dal Guf e da Roma Fascista.
È l'episodio dell'abbandono del fascismo da parte di Scalfari. Ma dietro quella svolta non ci fu una conversione ideologica, quanto un'inchiesta giornalistica fatta male, senza fonti certe. Macchina del fango, si direbbe ora. A dimostrazione che l'allarme di Calvino era più che fondato: quel metodo, nel nostro giornalismo, avrebbe eccome fatto scuola, a partire proprio dai giornali creati da Scalfari. Come dire, tutto torna.
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