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Federico Ercole per Dagospia
Il calvo e spettrale Agente 47 di Hitman è una tetra ma a affascinante icona dell’immaginario videoludico, sebbene sia approdato anche al cinema, due volte, con risultati trascurabili. Nel firmamento stellare dei videogame se ne sta tuttavia in disparte, questo cupo assassino, nascosto dalla luce di astri più brillanti, non perché sia un personaggio di seconda categoria: è infatti nella sua spettrale, silenziosa natura di shinobi post-moderno questa sua naturale dissimulazione nel buio.
Nel corso di 18 anni da quando fu inventato dai danesi di IO Interactive, il misterioso assassino silenzioso, il quarantasettesimo clone letale creato in Romania dal DNA di cinque persone diverse, è stato il protagonista di videogame talvolta eccellenti nel restituire al giocatore brividi, ansia e narrazioni coinvolgenti, un anti-eroe che durante la sua traumatica esistenza non ha mai cessato di indagare sulle sue origini, ponendosi inoltre devastanti dilemmi etici. Egli è un sicario, e così noi quando lo controlliamo, ma sebbene continui a uccidere egli elimina soprattutto la peggiore feccia criminale, quando non è ingannato da diabolici committenti, cosa che inevitabilmente avviene.
L’ARTE DI UCCIDERE
Non c’è nulla di artistico o poetico, ovviamente, nell’uccidere un essere vivente, a meno che non si tratti di un gioco, di una rappresentazione, di una finzione. In questo caso L’agente 47 è un vero artista, estroso, preciso, spietato e lo dimostra ancora una volta nel violento e non per tutti Hitman 2 (si tratta del secondo episodio del rilancio della saga) per Playstation 4, XBox One e Microsoft Windows, un riuscito esercizio di stile e di stili elettronici che ci fa giocare con le nostre più oscure fantasie omicide, relegandole tuttavia ad un’innocente sfera ludica.
D’altronde i videogame ci fanno da sempre giocare con la morte, talvolta purtroppo anche in maniera meschina, ma non è questo il caso e nel corpo fittizio e sanguinario di efferati assassini l’essere umano, persino il più pacifista, si immedesima da secoli, a partire da quello in versi di Achille.
Inoltre è inutile scandalizzarvi, genitori e benpensanti, se in questo videogame si interpreta un sicario (ribadisco di numerica gente orrenda) perché poi magari la prole di dieci anni, con il vostro benestare “perché tanto ci giocano tutti” si massacra virtualmente con Fortnite, dove l’uccisione virtuale è un mero esercizio digitale svuotato di ogni significato, e Hitman 2 non è comunque per i ragazzi, visto che è vietato rigorosamente ai minori di 18 anni.
In Hitman 2, dal soggetto intricato, a base di tesissimi complotti internazionali, logge segrete di occulti dominatori del mondo e melodramma intimo con conseguenti struggimenti, viaggiamo per il mondo per eliminare pericolosi bersagli protetti da sgherri orrendi e violentissimi. Dalle spiagge sabbiose e erbose delle Nuova Zelanda all’assolata Miami, dalle giungle colombiane alle periferie urbane del Vermont e oltre, fino a Mumbai e su un’isola tempestosa nell’Atlantico del Nord.
Ciò che eleva Hitman, come alcuni dei suoi predecessori, a prodigioso meccanismo ludico è la varietà dell’approccio assassino offerta al giocatore, in grado di offrire decine di soluzioni strategiche premiando intelligenza, astuzia, pazienza e immaginazione. Non pensate quindi di armarvi di mitra e fare una strage di cattivi, sebbene sia possibile, precipitereste nel Game Over in pochi secondi. Bisogna invece travestirsi, studiare le abitudini del nemico e l’ambiente in cui si muove per conoscerlo a memoria, identificare gli oggetti utili ai nostri scopi anche quando apparentemente inefficaci, muoversi lentamente e con circospezione, inventare, provare e sperimentare finché non completeremo con successo l’obiettivo della missione, che implicherà comunque diversi fallimenti prima dell’eventuale successo.
Avete visto che quella guardia ha l’abitudine di servirsi della vodka lasciata sul lussuoso bancone del bar privato di una villa? Ecco magari, da qualche parte, c’è qualcosa per avvelenare l’alcolico. Le tattiche sono davvero innumerevoli e intuirne una invece di un’altra premia il giocatore con la consapevolezza di stare vivendo una storia soggettiva, mai incanalata lungo i binari della prevedibilità. In Hitman 2 c’è anche una complessa e riuscita modalità multiplayer che può appassionare chi ama condividere esperienze in rete.
L’EROISMO DELL’ANTI-EROE
Come Alain Delon in Le Samourai (in italiano Frank Costello Faccia d’Angelo) di Jean-Pierre Melville o Chow Yun Fat in The Killer di John Woo, nella sua esplicita dimensione anti-eroica di sicario anche l’Agente 47 è implicitamente un eroe, tragico come quelli delle due pellicole citate, un dannato consapevole del male che ha esercitato e dell’impossibilità della sua redenzione, sebbene tenti la via di un’utopica salvezza, scoprendosi infine pietoso, cedendo all’amore.
Esemplare quindi la citazione iniziale del capolavoro noir di Melville del 1967, anche per l’assassino elettronico di IO Interactive: “non esiste solitudine più profonda di quella del samurai, se non quella della tigre nella giungla”. L’agente 47, più ninja che samurai come i killer filmici prima citati, è afflitto da una solitudine terrificante, arriva dal nulla e probabilmente si estinguerà nel nulla, così infine, con empatia, soffriamo per lui. E giocando proviamo un’umana, straniante, compassione.
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