DAGOREPORT – DONALD TRUMP HA IN CANNA DUE ORDINI ESECUTIVI BOMBASTICI, CHE FIRMERÀ IL GIORNO DOPO…
1. QUANDO LA TV È VELOCE COME IL WEB
Francesco Specchia per “Libero Quotidiano”
Quando si dice il format che diventa sostanza.
Roberto -Dago, per tutti- D' Agostino, giornalista, edonista, spia sociale, esperto d' arte in perenne oscillazione tra le pieghe della cultura pop, s' è inventato autore e conduttore di Dago In The Sky (mercoledì alle 20.30 su Sky Arte HD) programma dal successo insospettato.
Caro Dago, da spettatori, ci attendevamo una folata di gossip; e invece ci ritroviamo un contenitore situazionista tra Quelli della notte e Roland Barthes. Siamo rimasti spiazzati, nel bene e nel male...
«Era quello lo scopo. Per la mia prima esperienza come conduttore pensavo a un tv slegata dal Novecento. Oggi c' è la connessione veloce, Internet; la gente è multitasking. Così ho usato testi veloci e semplici, twittati, da 140 caratteri, e ho diviso il video in tante parti come il display di uno smartphone»
Oddio, veramente a me il video «splittato» ricorda molti film polizieschi americani anni 70. E così semplice il tuo testo non lo direi, dato che citi da Camus a Wilde.
«Ah, se è per questo, nella puntata sulla creatività e Internet (o "Infernet") ho equiparato Gutemberg a Tim Berners-Lee: gli inventori della stampa e del web uniti dall' aver stratificato la conoscenza, e sai che la conoscenza è potere»
Il tuo programma dura 25 minuti. Le immagini sono eruzioni dal web. Il ritmo è giovanilissimo e tu -diciamolo- c'hai un' età. Chi è il tuo consulente?
«Mio figlio. Che ha 21 anni e, come tutti i coetanei, è completamente a suo agio tra Facebook, Instagram, Snapchat e i vari social network. Mi ha consigliato. Specie sul ritmo, che già è migliorato, rispetto dalla prima puntata dedicata al selfie. Poi, ovviamente Renzo Arbore, il mio mentore, a cui ho fatto visionare per primo il programma, non senza una certa soggezione»
E Arbore come ha reagito? Una lieve emicrania, data la velocità delle immagini?
«Ma va'. A Renzo quel che è piaciuto è stato soprattutto il ritmo. Di ritmo diciamo che se ne intende. Per non dire dell' ipertesto...»
L' ipertesto? Sulle immagini di Kim Kardashiam, «la culona americana», come la chiami tu, che non sa far nulla tranne gli autoscatti?...
«Vabbè che te sto' a parlà a fare. Tu sei uno abituato ai talk show, agli orari fissi del palinsesto tv. Non t' offendere, ma tu sei uno avvezzo al canone Santoro, al rito del conduttore, alla lentezza di Fabio Fazio, all' effetto narcotico di Paolo Mieli quando va a Ballarò»
Mieli non è amico tuo?
«E che c' entra? Io dico che che ci vuole la sciabolata verbale.
Non dico Sgarbi, ma bastava il Pajetta d' una volta, quello con un' oratoria avvolgente» Tradotto: non è un caso che i talk - che tu definisci moribondi- poi, per risollevare l' audience, chiamano uno come te che, diciamo, fa casino (seppur con oratoria avvolgente)?
«Di nuovo: che c'entra, scusa? Io adatto il mio registro, appunto, al format. Un conto è il mio approccio un po' irruento, a Piazzapulita, un conto è la mia conduzione divulgativa su Sky»
francesco bonami e vanessa riding bonami
Però tu insisti sul fatto che l' educazione nei duelli televisivi è tempo perso. Ma proprio Sky Tg24 ha reso il confronto pacato tra i candidati politici una cifra stilistica..
«Sì, in effetti da quei dibattiti sono almeno uscite figure nuove. Io, per dire, non avevo la minima idea di come si ponesse la Raggi, nè di chi fosse l' Appendino. Ma questo funziona limitatamente a quell' evento».
Cosa guardi in tv?
«Non guardo più i tg. Seguo le serie, lo sport, il cinema. Ma il tutto slegato dalla tv tradizionale. Netflix e Sky sanno benissimo che oramai la tv si vede dall' iPad, dal laptop, dal telefonino...
» Stai parlando del cosiddetto «spettatore liquido»?
«Esatto: siamo in un momento storico: stiamo passando dal medioevo analogico al Rinascimento digitale. Poi, certo, ti guardo pure la Gabanelli, l' ultimo grande giallo rimasto in televisione. Il resto, compreso il varietà, è morto»
Tranne Fiorello...
«Che c' entra? Fiorello è un genio assoluto, può fare tutto con qualsiasi cornice»
Questo lo dicono anche i fan di Renzi, sul premier.
«No, ecco, perdona: direi che Renzi non è Fiorello...
DAGO IN THE SKY: UN ‘SELFIE’ EFFICACE, NON SOLO CAFONAL DIGITALE
Marco Leardi per http://www.davidemaggio.it/index.php?s=DAGO+SKY&button.x=13&button.y=10&button=cerca
Specchio riflesso: dietro all’ossessione dei selfie, alla mania dei social e alla schizofrenia delle interazioni web ci siano noi. Esattamente noi. A restituire l’immagine nitida e spietata di quel che siamo (diventati) ci sta pensando Dago in the Sky, un curioso viaggio in tre puntate che esplora i cambiamenti portati dalla rivoluzione digitale nella società, nell’arte, nel costume. In onda in prime time su Sky Arte, il racconto di Roberto D’Agostino è una composizione variopinta che attira l’attenzione assemblando contributi video ed analisi tranchant.
A Dago in the Sky lo schermo si frantuma, diventa un mosaico di immagini che scorrono e si sovrappongono, mentre il tatuato conduttore dice la sua con l’aria di chi la sa lunga. “Il selfie è diventata un’ossessione di massa, anche demenziale, per consegnare agli altri un’immagine diversa della nostra vita” dice il giornalista nella prima puntata del programma, dedicata proprio ai famigerati autoscatti. E cita Oscar Wild, Albert Camus, ma chiama in causa anche Justin Bieber, Kim Kardashian, James Franco e Papa Francesco.
umberto eco e paolo poli babau 3
Nel frullatore ci finiscono tutti, assieme a qualche immagine amatoriale, magari truculenta o piccante. In stile Dago. “Si sta creando un mondo parallelo che ha riscattato la mancanza di ideali” teorizza il giornalista riferendosi all’estensione della sfera virtuale a tutti gli ambiti, compresi quelli più intimi. Ad un primo sguardo, il programma sembra solo un grande Cafonal che racchiude le bizzarrie e gli orrori del cosiddetto “Rinascimento Digitale”. Un bestiario pop nel quale ciascuno potrebbe riconoscersi. Ma non è così: c’è qualcosa di più.
Dopo una première interessante ma un po’ caotica, Dago in the Sky blandisce il telespettatore con un secondo appuntamento meglio scritto e strutturato, ma soprattutto impreziosito dai contributi della filologa Silvia Ronchey, della docente universitaria Fabiana Giacomotti, del saggista e cinefilo Gianni Canova e del critico d’arte Francesco Bonami. Un parterre certamente gradito al pubblico di Sky Arte. La puntata (sul tema Internet) parte con Umberto Eco e si conclude con Steve Jobs, mentre spetta sempre a D’Agostino il compito di attualizzare e vivacizzare la narrazione.
La trasmissione scorre ed è veloce, forse fin troppo: alcuni spunti, infatti, meriterebbero di essere approfonditi. Nell’epoca della disintermediazione e dei social, Dago in the Sky risulta efficace perché parla di web attraverso la tv e lo fa con un prodotto didascalico ma non noioso, che incuriosisce forse perché parla proprio di noi, del nostro tempo: piaccia o meno, pure questo è un grande selfie.
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