
DAGOREPORT - COME È RIUSCITO IL FUNERALE DI UN SOVRANO CATTOLICO A CATTURARE DEVOTI E ATEI, LAICI E…
1- NON ERO IO CHE GONFIAVO I DATI PER GIULIO EINAUDI
Lettera a "la Repubblica" di Roberto Cerati presidente dell'Einaudi
Caro Direttore,
ho letto l´intervista ad Alessandro Dalai. Ognuno ha il carattere che ha e se lo tenga caro. Per quanto riguarda il mio, preciso che non ho mai gonfiato i dati e i bilanci. Facevo un lavoro che non pertineva ai dati, né ai bilanci. E Giulio Einaudi non aveva bisogno di suggeritori, né era tanto ingenuo. I dati li leggevo e quando rimostrai al direttore amministrativo che i depositi ai librai figuravano fatturati in assoluto, lui mi disse che dovevamo tenere un´intesa a tre: Dalai, lui ed io. Ovviamente declinai, e quando a fine anno mi fu dato un premio, lo restituii.
Non sono mai stato in vendita.
Un cordiale saluto
2- à STATO DALAI A NON VOLERE PIà "VA´ DOVE TI PORTA IL CUORE"
Lettera a "la Repubblica" di Susanna Tamaro
Caro Direttore, ho letto con piacere la bella intervista di Alessandro Dalai che mi ha ricordati i tempi esaltanti di âVa´ dove ti porta il cuore' e la grande avventura che abbiamo vissuto insieme. Ho sempre detto che se non ci fosse stata la Baldini&Castoldi dietro, non avrei mai raggiunto quelle cifre perché, oltre alla qualità del libro, ci vuole la professionalità e la passione di un editore per arrivare a un tale successo. Detto questo, ci sono delle puntualizzazioni che vorrei fare. Dice Dalai che io "da radicale di sinistra e femminista" sono diventata "una radicale di destra con punte di integralismo cattolico".
Da dove cominciare a districare questa matassa che mi stritola ormai da quattordici anni? Cominciamo proprio dal comunismo. Credo di ricordare la battuta che feci all´amico Mollica, al TG1, il giorno del lancio di âAnima Mundi'. Era già uscita un´intervista di Ferruccio Parazzoli su âFamiglia Cristiana' in cui io mi dichiaravo contro tutte le dittature, anche quella comunista che, da grande sogno collettivo si era trasformata in una epocale tragedia.
La domanda di Mollica era stata dunque su questa mia dichiarazione ed io, con una battuta, avevo paragonato chi ancora credeva nel comunismo ad una specie in via da estinzione da proteggere, come i panda. Questa risposta mi costò un linciaggio mediatico e personale che mi ha respinto ai margini della cultura ufficiale. Fui definita fascista, come i miei libri, e questo, si sa, in un paese manicheo come il nostro, è il modo migliore per eliminare per sempre un autore. Come non sono mai stata una "radicale di sinistra", così non sono mai stata una "radicale di destra" e ancora, men che meno, "un´integralista cattolica".
Se c´è una cosa in cui sono veramente integralista è nella coerenza tra i miei pensieri e il mio agire. Per quanto riguarda il mio inarrestabile declino, sono davvero orgogliosa di viverlo. In ventidue anni ho pubblicato venti libri e, di questi venti, nessuno è stato scritto per onorare un contratto, ma tutti per rispondere a una esigenza interiore. Declino, nel mio modo di vedere, vorrebbe dire scrivere libri per routine e non per passione.
Certo, gli attacchi, gli insulti e le calunnie che per tanti anni hanno accompagnato la mia vita, hanno molto danneggiato la mia energia creativa ma, negli ultimi tempi, ho sentito tornare le forze nella forma più alta e la straordinaria risposta che sto ricevendo dai lettori del mio ultimo libro, Per Sempre, ne è la conferma. 260.000 copie in cinque mesi.
Riguardo al mio rapporto con la Baldini&Castoldi, vorrei ricordare a Dalai che probabilmente sarei ancora con lui, se, un giorno, quando stavano per scadere i diritti di Va´ dove ti porta il cuore lui stesso non mi avesse detto di non aver nessuna intenzione di rinnovarli. Mi sembrò una decisione incomprensibile, che mi sorprese. Non sono dunque io che me ne sono andata, ma è stato Alessandro Dalai a scegliere di non pubblicare più un autore fascista e integralista cattolico come me.
3 - "DALL´EINAUDI ALLA TAMARO LE MIE LITI DI SUCCESSO"
Antonio Gnoli per "la Repubblica"
Anche gli autori nel loro piccolo si incazzano. Nei vent´anni che la Baldini Castoldi e Dalai celebra in questi giorni, tra l´altro con la ristrutturazione dei marchi della casa editrice, sono tanti gli scontri, le minacce, le carte bollate, che hanno segnato la sua storia. Non ha fama di cuore tenero Alessandro Dalai, 64 anni, dotato di gran fiuto, che nel 1991 ha preso un vecchio e glorioso marchio trasformandolo in una macchina di successo.
Vado a trovarlo nella sua sede di lavoro, a Milano. Mi accoglie sereno. Camicia bianca e cravatta scura, pantalone del completo beige si intonano al suo ruolo. Da un polsino spunta un doppio braccialetto vagamente etnico. Ã la sola cosa insolita in uomo dal carattere tosto, come si dice in giro.
Vent´anni di vita, un catalogo importante. Perché cambiare?
«Nessuna trasformazione. Abbiamo solo dato una scossa alla casa editrice creando il nuovo marchio Dalai. Cominciamo ristampando i nostri grandi successi: Faletti, Brizzi, Gino & Michele, Bonatti, Levi-Montalcini, Geda».
Manca la Tamaro.
«Non ha voluto esserci».
Lei come finisce nell´editoria?
«Ho studiato alla Bocconi, lavorato nel marketing di grandi aziende, approdato alla Mondadori vi sono rimasto per tre anni. Fino a diventare direttore generale di buona parte dell´area libri. Poi sono passato all´Einaudi, da amministratore delegato. Assunsi Oreste Del Buono e Piero Gelli».
Del Buono era suo zio.
«Fu un caso di nepotismo al contrario. Sia lui che Piero erano due fuoriclasse» .
C´era ancora Giulio Einaudi?
«Sì, e nonostante avesse fatto diversi e gravi errori, in molti ancora cercavano di compiacerlo».
In che modo?
«Roberto Cerati, per fare un esempio, arrivava con dei tabulati nei quali venivano riportate cifre di venduto che non corrispondevano al vero. Numeri gonfiati, solo per far piacere a Giulio».
Com´erano i rapporti con lui?
«Era un uomo contraddittorio: aveva un fascino straordinario, ma poteva essere insopportabile, per maleducazione mista a una fortissima considerazione di sé. Una volta andammo dal presidente della Repubblica, allora era Scalfaro, per presentargli un volume della Storia d´Italia. E Giulio, a un certo punto, si rivolge al presidente e con la sua vocetta un po´ nasale gli dice: "guardi che dovrebbe sedersi non dove sta, ma sull´altra poltrona, dove sedeva mio padre". Il padre era Luigi Einaudi e la scena fu imbarazzante».
Com´era il clima in casa editrice?
«L´Einaudi di Calvino, di Cases, di Cantimori stava sparendo. I nuovi non avevano la stessa forza. Ed erano saltati i rapporti con gli autori. Ricordo che quando andai a Roma a trovare Renzo De Felice, perché avevo intenzione di accelerare l´uscita del penultimo volume della sua storia sul fascismo, mi guardò stupito e disse: mi fa piacere incontrarla, lei è la prima persona dell´Einaudi che vedo in quattro anni».
A un certo punto lei va via dall´Einaudi. Perché?
«Perché si lavorava in condizioni difficilissime. E a me non dispiaceva provare a mettermi in proprio. Del Buono aveva portato quel libretto strano e provocatorio che è Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano, uscì in una collana seria, inserito tra Proust e Balzac. Successe il finimondo, ma nessuno si aspettava che il libro di Gino & Michele vendesse tre milioni di copie. Uscito dall´Einaudi, grazie a Fantoni e Vitta Zelman rilevai un vecchio marchio: Baldini e Castoldi. Portai come dote Gino & Michele che fecero con me i successivi libri sulle "formiche"».
Che anno era?
«Il 1991. Cominciò una stagione esaltante. Avevamo un budget di tre miliardi per cinque anni. Ma già al terzo anno fatturavamo 30 miliardi, perché nel frattempo avevamo preso la Tamaro».
Un rapporto, quello con la Tamaro, che si è concluso con un divorzio. Come è andata?
«Le relazioni, a volte, finiscono. Mi consola pensare, nonostante lei sostenga il contrario, che a scoprire il valore della Tamaro sono stato io. Comprammo a un´asta Va´ dove ti porta il cuore. Pagando la cifra di cento milioni, per noi un´enormità , che risultò di poco inferiore all´offerta di Bompiani. Ma lei ci preferì perché, tra l´altro, avevo fatto un contratto di consulenza al suo editor Laura Lepri. Lanciammo il libro e per tre mesi vendette quasi nulla. Disperazione. Aggravata dal fatto che nello stesso periodo era uscito Sostiene Pereira di Tabucchi, che andò subito nella top ten dei libri più venduti».
Come arrivò il successo?
«Attraverso un pazzesco passaparola che partì in ritardo. Il romanzo sembrava morto. Poi, improvvisamente cominciammo a fare una ristampa al mese. Non so spiegarmelo. Ma so che era un libro perfetto, emotivamente coinvolgente. Quando, in una notte, l´ho letto mi ha commosso e ho pianto».
à difficile immaginarla col fazzoletto in mano.
«Eppure è accaduto. Ammetto che ero in una situazione particolare, con mia figlia che non stava tanto bene. Ma se un libro ha la forza di commuoverti, ci sono buone possibilità che venda. E Va´ dove ti porta il cuore ha venduto 8 milioni di copie».
Un successo così non si è più ripetuto. Perché?
«Anche qui non è facile dare una risposta. Quando esce Anima mundi, un romanzo autobiografico bello e intenso, la Tamaro da radicale di sinistra e femminista diventa una radicale di destra, con punte di integralismo cattolico. Una mutazione ai miei occhi inspiegabile. Fatto sta che prepariamo il lancio, riusciamo ad ottenere la sua presenza nel Tg1 di prima serata. E in due minuti lei fa una sparata contro i comunisti e la sinistra tutta. Non c´entrava niente con il libro, per cui il giorno dopo i nostri centralini si intasarono da telefonate di protesta. Il romanzo alla fine ha venduto 300 mila copie. Lei mi ha addebitato l´insuccesso. Rompe con noi, passa alla Rizzoli e ha continuato la sua parabola discendente».
Via la Tamaro, arriva Faletti con il successo di Io uccido.
«Faletti aveva già pubblicato per noi un libro straordinario: Porco il mondo che ciò sotto i piedi. Con un incipit folgorante: "Erano le sette e mezza di mattina e Vito Catozzo stava cagando". Insomma, siamo nel genere comico. Poi, un giorno viene in casa editrice con un romanzo che mi appare subito molto bello. Con l´inconveniente che è un giallo scritto da un comico. Che fare? Pensiamo a uno pseudonimo, alla fine rischiamo con il vero nome. Il 5 novembre del 2003 il romanzo esce. Ed è un´esplosione. Ad oggi sono state vendute quasi cinque milioni di copie».
Fatalmente i rapporti si guastano.
«Non con Giorgio. à accaduto con la Tamaro. Ma ci sta nella vita che uno cambi editore. E le dirò di più: alla fine lei ha dato a me quanto io ho dato a lei».
Vi siete più sentiti?
«Mai più, aspetto una telefonata in cui riconosca che sono stato io a scoprirla».
Lei sostiene che sono stati quelli della Marsilio, i primi a pubblicarla.
«I suoi racconti - bellissimi peraltro - avevano venduto pochissimo. Io l´ho lanciata».
Marsilio le ha fatto causa quando avete deciso di prendervi i suoi racconti.
«Secondo De Michelis non ne avevamo il diritto. A quel punto la situazione ci è sfuggita, ci siamo detti di tutto. Siamo giunti anche a una causa per diffamazione reciproca, con i giudici che dicevano: ma questi due hanno tempo da perdere?».
So che Faletti farà un libro per Einaudi.
«à un racconto, il prossimo libro lo farà con noi. Ha sempre riconosciuto che siamo stati noi a scoprirlo. Altri, invece, vogliono riscrivere la storia. Di tutti gli autori che sono andati via, l´unica che mi dispiace di aver perso è Melania Mazzucco».
Ha rischiato di perdere anche Mereghetti.
«Il problema è sempre lo stesso. Alcuni riconoscono e apprezzano quello che hai fatto. Altri decidono di prendere nuove strade. Per fortuna ci sono i contratti e gli avvocati. Mereghetti pubblica con noi fino al 2018, poi si vedrà . In ogni caso è abbastanza normale che un autore decida di cambiare casacca. Anch´io ho preso Pennacchi e credo che alla Mondadori non abbia fatto piacere».
Avevate bisogno di un nuovo marchio Dalai, visto che già c´era il vecchio?
«Come casa editrice eravamo troppo generalisti. Una narrativa alta, di qualità , ma anche popolare, fatta da autori come Annie Proulx, Norman Mailer, Tom Robbins, Paul Theroux, per fare degli esempi di catalogo, richiedeva un nuovo contenitore».
Vi siete lasciati sfuggire il filone della letteratura nordica.
«Errore nostro. Alcune volte accade. Sei talmente ubriacato dai tuoi successi che non ti accorgi di quello che ti accade intorno. La bravura di un editore è essere presente dove succedono le cose. Poi ci può stare che un autore abbia più successo di un altro. Ho preso Murakami e ne sono lieto. Ho pubblicato libri dei più grandi scrittori viventi. Alcuni di loro hanno venduto solo poche migliaia di copie».
Quali numeri fa la vostra casa editrice?
«120 titoli l´anno, più una quindicina che provengono dalla Tartaruga e una quarantina di classici. Fatturiamo circa 30 milioni lordi. Dopo Feltrinelli, tra gli editori indipendenti, veniamo noi».
Assumerebbe di nuovo suo zio?
«Immediatamente. Del Buono aveva un talento straordinario e un carattere di merda. Ma questo è tipico della nostra famiglia».
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