1. MARCO GIUSTI, AUTORE DELLA PREMIAZIONE DEI DAVID, CONTRATTACCA ALLA CRITICA DI ALDO GRASSO: “DOPO SIMILI SCENE, NON LAMENTIAMOCI SE LO STATO TAGLIA I FONDI AL CINEMA” 2. SOTTO LA “TOPA MERAVIGLIOSA” DI PAOLO RUFFINI ALLA LOREN, COVA “L’ODIO CHE DIVIDE IL CINEMA COMICO DAL CINEMA “ALTO”. SOLO CHE SENZA I 53 MILIONI DI “SOLE A CATINELLE” E I 12 DI “UN BOSS IN SALOTTO” LA MACCHINA DEL NOSTRO CINEMA SAREBBE IN CRISI TOTALE E IL NOSTRO ANNO DI GLORIA, SAREBBE IL SOLITO MEZZO DISASTRO. O NO?” 3. “ALLA FACCIA DI ALDO GRASSO, CHE SI TROVA NELLA CONTRADDIZIONE DI NON POTER PARLAR MALE DI ZALONE, MA NEANCHE DI APPOGGIARLO IN QUANTO DIFENSORE DEL BUON COSTUME DEL CINEMA ITALIANO CHE CONTA (MA DOVE?), E QUINDI SFOGA DOVE PUÒ” 4. “MA IL VERO IMBARAZZO È QUELLO DI CHI HA AMATO IL VERO FILM DI ROSSELLINI CON LA MAGNANI, “LA VOCE UMANA”, E SI RITROVA QUESTA PARODIA CON LA LOREN. “E POI, DOPO SIMILI SCENE, NON LAMENTIAMOCI SE LO STATO TAGLIA I FONDI AL CINEMA”. O NO?”

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1. DAVID DI CULATELLO

Marco Giusti per Dagospia

 

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Aiuto! Pure Aldo Grasso pontifica sulla ‘topa meravigliosa’ di Paolo Ruffini a Sophia Loren e conclude: “E poi, dopo simili scene, non lamentiamoci se lo Stato taglia i fondi al cinema”. Esagerato. Come se la crisi del cinema fosse colpa di una battuta, un po’ sguaiata, detta come complimento pesantuccio in una diretta un po’ concitata da un presentatore scelto perché veloce e irriverente. 

 

Non voglio entrare nel merito della trasmissione, per carità. E, probabilmente, avrò fatto i miei errori come autore, ma dalla cerimonia della consegna dei David, viene fuori che a quasi nessuno, alla fine, importa davvero che “La grande bellezza” e “Il capitale umano” si siano spartiti i premi lasciando nulla o quasi agli altri film. 

 

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Inoltre, a mio parere, sarebbe stato più giusto dare il premio per la regia a Paolo Virzì per “Il capitale umano” e quello del miglior film a “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino perché, anche se può non piacermi, è ovviamente questo il film italiano dell’anno, il più ambizioso, il più riuscito come evento mediatico, il più “bigger than life” e quello che osa di più non in questa stagione, ma credo negli ultimi vent’anni. Uno spaccato del come siamo diventati in questi anni orrendi, e per questo ci ha fatto litigare e ha spaccato il pubblico. 

 

Ma gli va riconosciuta l’importanza che ha, con tutti i suoi difetti e i suoi pregi. Mentre il film di Paolo Virzì è più riuscito come messa in scena e sceneggiatura (lì il premio a Virzì-Piccolo-Bruni era più che giusto), è più tenuto e meditato. Ha solo un cedimento nel finale un po’ troppo ideologico, cosa che Sorrentino non ha, e per questo può osare di più. Ma “Il capitale umano” è il film che apre il cinema di Paolo Virzì a un mercato artistico internazionale come regista. E questo è moltissimo. 

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Ancora. Lo scontro Ruffini-Mastandrea rivela invece lo scontro ormai inevitabile tra cinema comico popolare (non ne abbiamo altri, purtroppo) e cinema diciamo d’autore, ma sarebbe più giusto dire fighetto romanocentrico. Il cinema popolare, quello comico che incassa, da Checco Zalone in giù, cioè dai 53 milioni di “Sole a catinelle” ai 12 di “Un boss in salotto” di Luca Miniero ai 5 di “Fuga di cervelli” dello stesso Paolo Ruffini, non ha voce in capitolo in una cerimonia come i David, ma nemmeno nel dibattito “culturale alto” dei nostri giornali. 

 

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E’ una vergogna. Come è una vergogna che Checco non venga neppure nominato tra i cinque possibili migliori attori dell’anno. Ma l’odio che divide il cinema comico dal cinema “alto” dimostra che lo scontro è ormai una guerra in corso piuttosto feroce. Solo che senza i 53 milioni di “Sole a catinelle” e i 12 di “Un boss in salotto” la macchina del nostro cinema sarebbe in crisi totale e il nostro anno di gloria e di grandi successi, sarebbe il solito mezzo disastro. O no? 

 

Ma perché il “mondo del cinema italiano” classifica il Pif di “La mafia uccide solo d’estate”, il Sydney Sibilia di “Smetto quando voglio” o il Matteo Oleotto di “Zoran, mio nipote scemo” come opere autoriali da mettere in cinquina tra i premi di miglior film o miglior regia e snobba i film più comicaroli, diciamo, anche se, almeno per me, non meno autoriali? 

 

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Probabile che sia il vecchio secolare odio alla TullioKezichLiettaTornabuoni per il cinema di genere, cosa che tocca ovviamente il comico, ma anche un po’ il mélo matarazziano “Allacciate le cinture” di Ferzan Ozpetek, che è stato visto come una mostruosità dal “mondo del cinema”, perché si piange. E che tocca perfino “Il sacro Gra” di Gianfranco Rosi, vincitore a Venezia, ma reo di essere di “genere” documentario, e quindi estromesso dalla festa del miglior film e miglior regista (perché?). 

 

Pif, Sibilia e Oleotto, invece, farebbero parte di una zona franca, di una “bella e fresca novità” di cinema autoriale leggero, forse una nuova versione della commedia all’italiana, che viene sopportato, credo, esclusivamente come antidoto al trionfo zaloniano. O perché non c’è davvero altro, nel nostro panorama, da proporre come “migliori film dell’anno” senza andare ai comici puri. 

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Alla faccia di Aldo Grasso, che si trova nella contraddizione di non poter parlar male di Zalone, ma neanche di appoggiarlo in quanto difensore del buon costume del cinema italiano che conta (ma dove?), e quindi sfoga dove può, tipo sulla battuta di Ruffini. 

 

A questo quadretto aggiungiamo che la recente vittoria di Alice Rohrwacher con “Le meraviglie” a Cannes, la presenza di “Incompresa” di Asia Argento, riaprono i giochi e modificano il panorama del nostro cinema. I trentenni, dalle ragazze di Cannes al trio Pif-Sibilia-Oleotto diventano il nuovo cinema, i quaranta-cinquantenni, da Sorrentino a Virzì a Garrone, i vecchi maestri. 

 

I vecchissimi, come Francesco Rosi, accompagnato ovviamente da Fabrizio Corallo, sono il vecchio 900 che fu. Pronti a essere omaggiati da Sorrentino o dai premi estivi. Dei vecchi grandi maestri amati da Quentin Tarantino, da Castellari a Lenzi agli scomparsi Bava e Di Leo, non può esserci traccia nel “nostro” cinema. Come sempre, del resto. 

 

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E è un peccato che non sia venuto ai David Quentin perché si sarebbe ben capito che il suo cinema, che tutti, ma proprio tutti amano o sono costretti a finger di amare, nasce da quel cinema lì, dal genere, e non da quello parruccone di Grasso&Mereghetti. E allora perché premiarlo lì? 

 

Il panorama del cinema italiano, insomma, sta totalmente cambiando fisionomia e sta prendendo una forma diversa grazie anche alle sue contraddizioni interne e alle battaglie ancora in corso, comico vs autore, genere vs impegno, trentenni vs quarantenni. 

 

Contraddizioni e battaglie che dovrebbero/potrebbero dar vita a una specie di rinascita o di riformulazione della nostra “macchina” cinema. Che sia più o meno sovvenzionato dallo Stato o da Mediaset e Rai. E allora la domanda a Marco Bellocchio sul fatto che sia stato “riscoperto” (non scoperto) ora in America era giusta, perché Bellocchio in questo nuovo panorama, è nuovamente vivo per il mercato internazionale e ha un ruolo diverso, più moderno, da quello che aveva venti o trenta anni fa. 

 

Quanto a Sophia Loren che dopo aver imposto a Cannes il suo cortometraggio diretto dal figlio da “La voce umana” di Jean Cocteau, dopo averlo fatto uscire grazie al Corriere della Sera (lo ricordo a Grasso che scrive lì), e aver fatto l’uscita ai David si offende per la “topa meravigliosa” di Ruffini, beh, sì, ci può stare. Giusto. 

 

Come sono giuste, magari le scuse, se si è offesa. Ma il vero imbarazzo è quello di chi ha amato il vero film di Rossellini con la Magnani, “La voce umana”, e si ritrova questa parodia con la Loren. “E poi, dopo simili scene, non lamentiamoci se lo Stato taglia i fondi al cinema”. O no?  

 

2.RUFFINI IN CASA RAI MODELLO DI STILE DA CINEPANETTONE

Aldo Grasso per il “Corriere della Sera”

 

Cose che succedono solo in Rai e per le quali nessuno sciopera. Durante la premiazione dei David di Donatello, trasmessa martedì in diretta su Rai Movie e in differita su Rai1, il presentatore Paolo Ruffini, credendo di essere a «Colorado» o in qualche cinepanettone ha accolto Sophia Loren con questa «ruffinata» battuta: «Lei è sempre una topa meravigliosa lei, se lo lasci dire, una cosa fantastica...». 

 

CHECCO ZALONE UNIVERSITA ALDO GRASSO CHECCO ZALONE UNIVERSITA ALDO GRASSO

La signora non l’ha presa bene e, alla prima occasione, lo ha rimbeccato: «Proprio una bischerata!». Non contento di credersi Benigni, Ruffini ha infilato altre gaffe. Marco Bellocchio lo ha ripreso per essere stato introdotto come recente scoperta degli americani («Ma che domande mi fai? Non sono stato scoperto ora»); Paolo Virzì ha cercato di sdrammatizzare («Io capisco tutto, però modera un po’ il linguaggio, il lessico, sennò poi devono sottotitolare. Fai a modino, Paolino»); 

 

Valerio Mastandrea lo ha impallinato chiedendo al pubblico, visibilmente a disagio, un applauso «per un altro attore che ci ha provato e non c’è riuscito». Per non addossare tutte le colpe a Ruffini, la copresentatrice Anna Foglietta ha chiamato in causa l’autore Marco Giusti (felice per aver messo a segno un altro stracult). Sarebbe tuttavia ingeneroso prendersela solo con Ruffini, che è quello che è. 

 

La Rai non è capace di allestire una qualunque cerimonia di premiazione, sia essa il David o il Festival di Venezia. Non dico gli Oscar, ma almeno un po’ di professionalità, quella sì. E poi, dopo simili scene, non lamentiamoci se lo Stato taglia i fondi al cinema .

 

 

3. PAOLO RUFFINI:“LE GAFFE AI DAVID? NON MI SCUSO CI SI PRENDE TROPPO SUL SERIO”

Fulvia Caprara per “La Stampa”

CHECCO ZALONE OSPITE ALLUNIVERSITA CATTOLICA DI MILANO CHECCO ZALONE OSPITE ALLUNIVERSITA CATTOLICA DI MILANO

 

Alla fine di una giornata di polemiche e proteste, il direttore di Raiuno Giancarlo Leone compone il tweet del perdono: «Ritengo eccessiva l’accoglienza di Ruffini, se la signora Loren si è offesa, merita le scuse». Il colpevole, sulla graticola dall’altra sera, è Paolo Ruffini, conduttore, con Anna Foglietta, del galà dei David di Donatello, accusato da molti, sul web, di aver usato toni maleducati e formule dialettali poco adatte alla serata: «Forse non condurrò il prossimo Sanremo - scherza lui, impermeabile alla tempesta di critiche -, sono stato sincero, e chiedere scusa per questo mi sembrerebbe un brutto messaggio».

 

La gaffe più clamorosa ha riguardato la diva Loren, definita da Ruffini «topa meravigliosa»: «Se una cosa così l’avesse fatta la Littizzetto non avrebbe detto niente nessuno... Offendersi per essere stata definita “topa” mi sembra inadeguato, ma forse anche sintomatico di un’epoca come questa.

 

CHECCO ZALONE OSPITE ALLUNIVERSITA CATTOLICA DI MILANO CHECCO ZALONE OSPITE ALLUNIVERSITA CATTOLICA DI MILANO

Twitter è una fucina d’odio e di rancore... e comunque la trasmissione è andata bene, ha fatto il 12%». Nessun pentimento? «No, mi sembrerebbe offensivo chiedere scusa a una bellissima donna per averla chiamata bellissima donna». Già in video, l’altra sera, il comico, incurante, aveva manifestato tutta la sua soddisfazione : «Bè, farsi prendere per il bavero dalla Loren è il top, io son felicissimo».

 

L’altro match ha avuto Marco Bellocchio per protagonista ed è subito iniziato male. Ruffini cita la recente retrospettiva del regista al Moma, l’autore ribatte facendo notare che in Usa l’hanno scoperto già molti anni fa: «Ma se con lui sono stato uno zerbino? - è la difesa - Non capisco, se non che in certi ambienti ci si prende tanto, troppo, sul serio... Bellocchio è un grande, certo, ma che significa? Che per intervistarlo ci voleva Einstein?».

 

Non è andata meglio con Paolo Sorrentino che l’ha freddato con un discorsetto sarcastico su film e distribuzione nelle sale: «Io parto da un altro presupposto - ribatte l’accusato -, vengo dai cinepanettoni, un mondo per niente serio, faccio film per la gente, loro li fanno per voi e per i festival, è diverso». 

 

Marco Giusti Marco Giusti

Anche Valerio Mastandrea è andato giù pesante: «Facciamo un applauso per un altro che ci ha provato e non ci è riuscito... succede a tutti - ironizzava fingendo di consolare il presentatore -, non ti preoccupare, dopo ci vogliono 6 mesi per riprendersi. Presentare i David può cambiare la carriera di chiunque...». Ruffini incassa senza fare una piega e,almeno in questo, è bravissimo: «Non credo di aver fatto gaffe, sulle tematiche importanti, quando si è parlato delle persone scomparse, non c’è stato alcun problema. E poi, insomma, a Livorno le dive si trattano così».

 

Eppure proprio dal livornese più applaudito della serata, il vincitore per il miglior film Paolo Virzì, Ruffini è stato messo decisamente in riga: «Modera il lessico, io capisco tutto perchè parlo le lingue, ma a te poi ti devono sottotitolare, fai le cose a modino». La frase di Virzì, commenta Ruffini, «rientrava nel gioco delle parti, eravamo il professore illuminato e lo scolaro indisciplinato. Ma va bene così, d’altra parte è stata l’azienda a chiamarmi, la proposta di conduzione, che può essere discutibile, me l’hanno fatta loro».

Aldo Grasso Aldo Grasso