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1. DAVID LACHAPELLE SBARCA A MIALNO CON LA SUA “LANDSCAPE”
Alain Elkann per “la Stampa”
«Landscape», una nuova mostra di David LaChapelle è allestita alla Galleria Robilant + Voena, a Milano. Marco Voena è con Jacqueline e me all’Hotel Armani. Abbiamo appena incontrato per caso Sophia Loren, a pranzo con un amico. È un bel momento, un momento italiano, e David LaChapelle dice che fotografare Sophia sarebbe un sogno; forse lo farà entro la fine dell’anno a Los Angeles.
Perché vuole fotografare Sophia?
«“La ciociara” sarebbe già una ragione sufficiente. È una delle più grandi bellezze di tutti i tempi. Ha un viso incredibile».
Crede ancora che la macchina fotografica sia l’arma più potente del mondo?
lachapelle a milano da robilant voena
«Ho sempre pensato che l’arte possa cambiare il mondo e credo che molte delle informazioni che riceviamo oggi - notizie 24 ore su 24, tante immagini, tutti che fotografano tutti con il cellulare - possono provocare quasi un senso di apatia. Tutte le guerre in tv, Ucraina, Siria, ebola, Hong Kong, alla fine la gente guarda i notiziari come se fossero intrattenimento. In America lo chiamano “infotainment”, informazione-spettacolo».
In che cosa consiste il suo lavoro?
lachapelle a milano da robilant voena
«È un tentativo di trascendere queste cose, per dare una pausa, non solo informazione. Io rispetto il giornalismo e la fotografia, non mi metto in concorrenza con loro né li svaluto. Di recente sono tornato in aereo dalle Hawaii e quando sono sceso ho visto immagini della Corea del Nord senza il sonoro: ho pensato che fossimo in guerra».
Per che cosa si sta battendo?
«Nella mia prima intervista avevo detto: “L’arte può cambiare il mondo”. Ho ancora questo ideale. Faccio mostre nelle gallerie. Fotografo, ma quello che faccio è dedicare il mio impegno a creare immagini che ispirino le persone, che trascendano la realtà, che diano un momento di bellezza. Per me, in questo momento la chiave è l’illuminazione personale. L’avidità sta rovinando il pianeta».
Qual è il suo lavoro oggi?
lachapelle a milano da robilant voena
«Sono stanco di arte contemporanea che non ha nulla da dire, che è impossibile da decifrare, che provoca solo intelligente stupore. Sono stato un outsider nel mondo della moda e ora sono un outsider nel mondo dell’arte».
Ha davvero cambiato qualcosa con le foto di moda che ha scattato?
«Nessuno al mondo sta facendo quello che sto facendo io nel mondo dell’arte. Non possono farlo, abbiamo inventato un modo per rendere le immagini tanto grandi quanto nitide. Stiamo lavorando in un modo impossibile da copiare. Queste cose sono reali, queste immagini, questi set che costruiamo. Posso dedicare un sacco di tempo al mio lavoro e lo faccio. Nessuno penserebbe che dedico così tanto tempo a un soggetto o a una serie».
Lei soffre?
«Le persone sensibili soffrono più degli altri. Naturalmente soffro, sono un essere umano. Quando lavoro, quando sto creando, questo allevia la mente, la distoglie dal giocare con se stessa, dall’autosvalutazione, dallo restare impigliata. Quando si è nel flusso della vita è più facile combattere i demoni, il lato oscuro che tutti abbiamo. Ma la sofferenza è inevitabile».
Chi sono gli artisti che apprezza oggi?
«In questo momento Pharrell Williams, Luca Pizzaroni e Christian Rosa sono i miei artisti contemporanei preferiti. La loro arte colpisce la gente, la coinvolge e questo mi piace».
A che cosa sta lavorando adesso?
«Ho appena finito un nuovo video per Michael Jackson e Freddie Mercury dei Queen. È un brano del 1982: ho girato alle Hawaii, penso che contenga un messaggio molto forte».
Considera importanti i ritratti?
«Prima fotografavo tutti, ora sono più selettivo, non ho il tempo di fotografare tutti nel mondo del pop. Lavoro di più per le gallerie, per fare un ritratto devo sentirmi ispirato e dev’essere una persona con un po’ di storia».
Chi hai amato fotografare?
«Mi è piaciuto fotografare Mohammad Ali e Tupac Shakur. Mi è sempre piaciuto fotografare Pamela Anderson, pensavo che fosse un’idea pop art dell’America. È stato fantastico lavorare con Amanda Lepore e Angelina Jolie. Ho lavorato con Leonardo DiCaprio quando era giovane e ho bei ricordi di quei tempi».
lachapelle breakfast of champions
Le piacerebbe fare un film?
«Forse un documentario, un film dove si danza. Amo Sergei Polonuv, era nel Royal Ballet. Dicono che è il miglior ballerino da quarant’anni a questa parte, dicono che è il nuovo Nureyev. Vogliono che faccia un documentario, ne stiamo parlando, vorrei renderlo più simile a un musical, come ho fatto con “Rize - Alzati e balla” - un film di danza che è divertente, con una critica sociale, con dei sentimenti, commovente».
Lei è un artista contro?
«No, le cose brutte mi ispirano a fare meglio. Siamo in un nuovo medioevo. La violenza è pornografica, i videogiochi, i film come “Hunger Games”, quelli di serial killer, torture e brutalità che diventano intrattenimento. Guardiamo la gente soffrire, vediamo spettacoli dedicati a veri crimini, non siamo diversi dai romani nel Colosseo. Per me è medioevo quando regnano brutalità e avidità».
2. LACHAPELLE A ROCCA DI FRASSINELLO
Tommaso Labranca per "Libero Quotidiano"
LaChapelle non è certo il primo nome che verrebbe da accostare a Giuncarico Gavorrano. Nulla pare legare il quieto borgo medievale della Maremma Grossetana al mondo americano pieno di energia, colori vivaci, esagerazioni delle grandi fotografie di David.
lachapelle con panerai vendemmia
L’arte però ha il potere di conciliare gli estremi. LaChapelle, statunitense di nascita e canadese di origine, uno dei più famosi fotografi del mondo. Inquieta è la sua carriera artistica che inizia da quello che per molti avrebbe rappresentato un punto di arrivo, l'invito di Andy Warhol a collaborare con la sua rivista Interview, nel periodo più glamour e globale della testata nata come foglio dedicato al cinema underground e diffusa solo nel Village newyorchese.
Da allora LaChapelle ha costruito un suo inconfondibile stile fotografico in cui ha mescolato le esasperazioni della moda con la mitologia greca rivista e plastificata da Hollywood. Sui suoi set si fondono Alma Tadema e Liberace, la finzione dei rhinestones e del silicone. Il risultato sono immagini immediatamente comprensibili a tutto l'Occidente, curate fino alla pignoleria al momento dello scatto, sono poi sottoposte poi a un altrettanto particolareggiato lavoro di postproduzione digitale, in formati giganteschi.
david lachapelle a rocca di frassinello
L’occasione di questo incontro: la decima vendemmia della cantina Rocca di Frassinello, la creatura di Paolo Panerai i cui vigneti si trovano di Gavorrano in una struttura di Renzo Piano. LaChapelle ha realizzato un’opera Rapture of the grape, il Ratto dell'Uva, donato a Rocca di Frassinello che a sua volta l'ha utilizzata come etichetta per un vino presentato insieme al lavoro di LaChapelle.
beatrice panerai david lachapelle paolo panerai and moreno zani
LaChapelle, il ritorno all'analogico è una meditazione sul suo passato o nasce dalla voglia di distinguersi nell'oceano di foto digitali che ormai scattano tutti sempre e ovunque?
«Mi era venuta voglia di tornare artisticamente a “usare le mani”. Per anni ho impiegato la tecnica digitale per ritoccare le foto. Cinque anni fa ho deciso di spostarmi e sono andato a vivere alle Hawaii. Lì ho riscoperto la bellezza dei ritmi rallentati. E la fotografia analogica è molto più lenta di quella digitale. Quando ho cominciato a fotografare tutto veniva realizzato a mano.
Avevo 17 anni e la mia scuola è stata la rivista Interview di Warhol. Ogni fotomontaggio allora era fatto a mano. Questa nuova opera, Rapture of the Grape, è nata dopo alcuni soggiorni a Rocca di Frassinello, luogo magico; mi ha colpito l’architettura di Renzo Piano, e i vigneti lavorati in modo artigianale. Tutto è organico, come nella mia fattoria alle Hawaii, tutto si fa a mano. Così, in quest'opera che ricorda una vetrata di chiesa, ho lavorato colorando a mano direttamente i negativi. Li ho tagliati e assemblati col nastro adesivo. Volevo che si vedessero le mie impronte digitali, persino il segno dei denti usati per tagliare il nastro adesivo».
I suoi lavori sono sempre affollati, ipercolorati. La presenza del vino in questa sua ultima opera la porterà oltre, verso la sfrenatezza dei baccanali?
«Rapture of the Grape rappresenta un uomo e una donna nudi in una vigna. Rapture in inglese significa "ratto, rapimento", ma anche "estasi". C'è una grande serenità. Volevo trasmettere un senso di pace. Il mio lavoro è molto cambiato. Ci sono fasi diverse della vita. Oggi mi dedico molto meno ai ritratti e molto più ai paesaggi. Amo luoghi che mi trasmettono un senso di pace. Come questo, in Toscana, dove in un paesaggio rinascimentale mai gridato. Oggi sono alla ricerca di isole di pace».
Lei è americano e il vino era estraneo alla cultura. Il suo rapporto con il vino è recente? Una sorta i vendemmia dell’anima?
«Il vino fa parte della mia vita. È un piacere al quale non rinuncio mai. Ho un espressione: wine o'clock (che si può tradurre come l'ora del vino) perché a un certo punto della giornata sento il bisogno di dedicare del tempo a me stesso. A Rocca di Frassinello ho visto fare il vino in modo super tecnologico. Mi sentivo come in un film di James Bond. Ma il bello è che la tecnologia è messa al servizio della natura. È un elemento importante, per sapere cosa arriva nei nostri bicchieri»
valeria marini - foto lachapelle
o CARMEN CARRERA DAVID LACHAPELLE
AMANDA LEPORE David LaChapelle David LaChapelle Darkness gVhkfUbF qJx
AMANDA LEPORE Con il fotografo LaChapelle e Pamela Anderson
David LaChapelle
o CARMEN CARRERA DAVID LACHAPELLE
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