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Nella City sono allibiti. Nemmeno il piu' scalcinato dei trader con le bretelle che passa le ore davanti ai monitor della borsa, riesce a capire la guerra italiana per la Banca d'Italia,un altro capitolo che serve soltanto ad abbassare il rating di credibilita' sui mercati.
Agli occhi degli analisti piu' seri sembra incredibile che ci sia qualche bookmaker pronto a scommettere un penny sul nome di Bini Smaghi, il banchiere fiorentino che ha fatto incazzare i governi di mezza Europa e il Presidente Patonza per la difesa ostinata della sua poltrona alla BCE - "resistenza" che ha fatto e fa imbufalire Napolitano.
Alcuni ricordano il giudizio lapidario di Paul Krugman, il barbuto economista americano che sul suo blog del New York Times ("The Opinion Pages") il 2 giugno ha scritto: "non capisco perche' alla BCE lo considerino un pensatore", ma a parte questa lapide sono in molti a ritenere improbabile che dal gioco dei veti incrociati salti fuori la carta Bini Smaghi.
Le scommesse si restringono su tre nomi: Saccomanni, Grilli, Siniscalco. Per quest'ultimo giocano le esperienze da ministro, i rapporti con la finanza angloamericana, e il fatto che nell'entourage di Giulietto Tremonti (proveniente anche lui dalla covata dei Reviglio-boys rampanti nordisti e socialisti) è caduta l'accusa di "traditore" che fu scagliata contro Mimmo quando sostituì proditoriamente lo stesso Tremonti al Tesoro.
Ci sono pero' almeno due ragioni forti che portano acqua al mulino di Saccomanni, l'uomo che a dispetto del suo grigiore e della fama di superburocrate e' considerato dalla struttura di Bankitalia il garante della continuita' e dell'autonomia dell'Istituto. La prima ragione e' nota e va cercata nella blindatura del Quirinale che dopo aver vagheggiato l'ascesa di Ignazio Visco non vuol saperne di lasciare nelle mani dei barbari della Lega la seconda istituzione della Repubblica. Ma accanto a questa moral suasion cosi' scoperta, c'e' la grande preoccupazione di Draghi, ormai in volo per Francoforte, di coprirsi le spalle.
E qui bisogna ascoltare la voce dei giovanotti della City e degli analisti piu' seri che guardano in avanti verso quel 2012 che per l'Italia sara' l'anno della verita' e del Giudizio Universale. Perche' se e' vero che adesso stiamo attraversando una valle di lacrime, il prossimo anno si prefigura ancora piu' doloroso. Sono i numeri a dire che verra' a scadenza una valanga di titoli buttati sul mercato alla vigilia del crac 2007, e sono ancora i numeri a indicare che da qui al 2012 le maggiori banche europee dovranno rimborsare 916 miliardi e 221 milioni di obbligazioni.
Se poi si aggiungono a queste scadenze le regole stringenti dell'Europa per ridurre il debito sovrano e le conseguenti manovre depressive che in Italia si dovranno assolutamente fare, allora si capisce perche' Draghi abbia il bisogno assoluto di avere le spalle coperte a Via Nazionale.
Da qui il fervore accanito con cui si sta battendo per Saccomanni, un uomo estraneo alla politica, meno indulgente con le banche, e sopratutto fedele alla Superlobby ciampista dei poteri forti italici (da Scalfari a De Benedetti). Anche il pallido Grilli gli fu fedele quando durante il Governo Ciampi il giovane bocconiano (conosciuto a Yale con Spaventa e Giavazzi) fu chiamato a collaborare al Tesoro.
Ma adesso oltre alla competenza Draghi vuole qualcosa di piu' e non puo' permettersi il lusso di una divaricazione tra il rigore della BCE e le sirene della politica che hanno consentito a un Milanese qualunque di scorazzare da padrone nella stanza accanto a quella di Tremonti e dello stesso Grilli.
Ecco perche' i bookmakers della City continuano a scommettere su Saccomanni. In nome della sua fedelta' piu' che della continuita'.
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