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Quirino Conti per Dagospia
Comunque la si voglia mettere, è inutile girarci troppo attorno: di fatto, il Realismo socialista sta minacciando Roma e i suoi vertici con una vera e propria strategia di sabotaggi stilistici convergenti. E chi transiti in questi giorni per la Città dei Cesari e dei Papi non potrà non avvertirne tutta la subdola e strisciante pericolosità . Altro che allagamenti e delittuose scelleratezze! Piuttosto, un golpe estetico con tutti i crismi.
A cominciare dal Palazzo delle Esposizioni, con una singolarissima mostra che non si sarebbe potuta immaginare più nostalgica e destabilizzante neppure in Romagna, o in Toscana, o in Umbria, sotto il patrocinio culturale del più comunista dei sindaci di quelle terre rubizze. Realismi socialisti: grande pittura sovietica 1920-1970. Inattesa e sorprendente esposizione, che anziché sconfortare sulla sostanza artistica di quel defunto regime, forse persino a causa delle più recenti Biennali ha rianimato invece un dibattito che sembrava spento per sempre; e riacceso di autentica nostalgia figurativa quanti ne hanno parlato come di un vero successo e di una mostra imperdibile.
Insomma, alla tremula ombra dell'attuale destra capitolina, un osanna convinto per quella folla di comunisti sovietici che da operai, atleti, artisti, intellettuali o da gente comune si facevano ritrarre come eroici attori di una stagione colma di attese egualitarie, virtù sociali e utopiche speranze.
Come a dire: "Peccato che sia poi tutto finito a quel modo!". E non c'è stata pagina culturale che non abbia trascritto l'emozione - anche velata - circa i contenuti concettuali e persino le qualità tecnico-compositive di quel figurativo denso, ingenuo, moraleggiante, retorico ma anche pieno di virtuosismi e di onestà .
Cosicché, da un giorno all'altro, i vari Kilinskij, Popkov, Salachov, Efanov, Brodskij e Kustodiev sono divenuti - e ai più alti livelli - il principale argomento di conversazione; persino più dell'annunciato, sospetto abbandono - strombazzato proprio alla vigilia della sua mostra al Guggenheim di New York - di Maurizio Cattelan (annuncio, questo, accolto invero dai più con un sospiro di sollievo).
E tutti, dunque, infervorati a chiedersi chi avrà mai avuto un'idea tanto brillante: far esplodere cioè sotto la traballante scrivania del sindaco Alemanno un tale purpureo petardo; e con opere di così indubbio fascino.
Non ci si era ancora del tutto riavuti dall'emozione causata dalla ricomparsa di simili mascelle proletarie e di volti tanto qualunque ma così fieramente percorsi dalla gloriosa fatica dell'Ideale, quando la stessa Opera di Roma (un altro scoppiettante petardo per il sindaco, di quel teatro presidente?) invadeva la Capitale con una campagna abbonamenti che persino nella Berlino prima del fatidico crollo sarebbe parsa eccessivamente ideologica, stilisticamente tendenziosa e stucchevolmente populista. Da Realismo socialista, insomma.
Dunque, in tre diversi racconti, altrettanti volti pieni d'ardore, e d'ardore rivoluzionario. (Su inconfondibile fondo rosso Guttuso, I funerali di Togliatti.)
Quello di un giovane maschio, il primo, anonimo com'è giusto che sia. Nasuto, occhialuto e sorridente. Tale e quale gli ex estremisti frequentatori dei Festival dell'Unità d'una volta. Quelli inneggianti all'Idea e alla terra del Riscatto.
Incantato dal Sogno Ideale, sguardo fisso dinanzi a sé (similmente alle iconografie sovietiche appena citate), e come ritoccato da un pennello commosso che ne lustra l'estrazione proletaria di salda volontà , oltre che di stalinismo convinto. E sportivo, sportivo come si vuole che sia; fino al punto di confondere i professionisti dei cori da stadio con quelli del Teatro dell'Opera.
Ma per ideologismo e fedeltà al Partito, come in quei quadri: dove arte e sport sono congiunti nella costruzione di una società migliore. Senza prevaricazioni filologiche e culturami vari: "Mai sentito un coro così coinvolgente. Neanche allo stadio"... (un Va' pensiero alla Magica, forse).
Quindi, il volto di una ragazza: fremente di piacere, ma di un piacere tutto barricadiero. Anch'essa sorridente, anch'essa sguardo fisso avanti, come improvvisamente le fosse apparso Lenin in persona, lo stesso del Lenin al Secondo Congresso dei Soviet (Aleksandr Samochvalov, 1940). Raggiante anch'essa di luce e di fede politica.
E come il precedente compagno di sezione, iperrealisticamente tirata a lucido da un'opalescenza del tutto affine a quella dei manifesti in cirillico, anni Trenta, inneggianti al lavoro e alla lotta di classe. Di certo nemica del capitale - occhio limpido e puro -, infervorata a declamare versi d'intensa visionarietà : "Ieri sera mi ha regalato delle viole magnifiche. E dei violini celestiali"... (Un Solov'ëv, dunque, un'Achmatova. O forse una Lara: e di certo starà parlando del Maestro Muti...)
Infine, lo straordinario sosia di Eugenio Scalfari: gloriosamente barbuto, savio e reduce da chissà quali battaglie ideologiche. Eroicamente in età , le belle labbra dischiuse pronte a distribuire saggezza: "Aveva un corpo splendido, perfetto. Un corpo di ballo da sogno". "Opera, emozioni inaudite," recita lo slogan. Senza alcun dubbio!
A completare il capolavoro demagogico in corso pensava allora Bulgari: con il suo testimonial per un profumo svettante da autobus e tram. Scegliendo di far recitare a Clive Owen "La celebrazione del carisma maschile". Quella cioè di un ennesimo disoccupato dalla classica fisionomia qualunque, per certi versi tanto imperfetta e ordinaria da apparire a tratti persino sofferente e sventurata.
Un nuovo proletario dunque, altro che D&G con le natiche dei loro eroi esposte ai quattro venti, o Armani e i suoi Antinoo patinati: qui, al contrario, il vero volto ultra-anonimo di un figlio del popolo. Neppure giovanissimo, irregolare come nei racconti di Pasolini, inespressivo per disagio e fatica; insomma, quel che si suppone debba essere un proletario, appunto, o un nullatenente, magari dell'Est. (Anche lui!) Ma, con una goccia di profumo, pronto al riscatto.
Giacché un profumo può fare miracoli. Come quelle fisionomie, dalle quali ci si aspetta che riempiano un teatro. E che portino fatturati vertiginosi, incassi strabilianti. Perché così va il mondo, in tempi di crisi. L'Ovest in un mare di guai e l'Est che avanza. E come ultima spiaggia, forse non sapendo più a quale santo votarsi, Realismi post-socialisti. Roma, sold out.
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