DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
DAGONOTA
Errare humanum est ma perseverare Corrieresco est. Non bastava la lettera di rettifica alla quale ieri è stato costretto l’ex direttore Ferruccio De Bortoli nei confronti di Marco Carrai, ci voleva pure il “Corriere” di oggi che, pur di non ammettere l’abbaglio preso su Elena Ferrante, imbastisce una toppa che è peggio del buco.
Il supplemento “La Lettura”, che fa capo alla vicedirettrici modaiola&femminista insieme Barbara Stefanelli, prima delle quattro pagine dedicate al compleanno del poeta per assenza di poesia Jovanotti (ma per il Nobel Dario Fo quante se ne devono fare, allora?) ne aveva dedicate più o meno altrettante per dire che Elena Ferrante era in realtà Marcella Marmo, una storica napoletana normalista a Pisa. A cimentarsi nell’attribuzione era stato il dantista Marco Santagata e, si sa, per uno nato a Zocca come Vasco Rossi una vita spericolata da scrittore è il minimo in cui ci si possa lanciare.
I pericoli che derivano dallo spararle grosse dovrebbero essere noti alla direzione di Macete Fontana e anche a Santagata, che nel suo romanzo, “Come donna innamorata” scrive: “Dante era in ansia perché temeva che… invece della fama di saggio gli venisse affibbiata la nomea di stravagante” (p.139).
Ecco, dopo l’inchiesta del Sole 24 ore che ha confermato quanto Dago e altri anticiparono più di un anno fa, ovvero che Elena Ferrante è Anita Raja, moglie di Domenico Starnone, la nomea di stravagante va giusto bene a Santagata e al Corriere.
ELENA FERRANTE ANITA RAJA STAMPA ESTERA
E il “vinello bianco frizzante” (p.140) che Vieri de Cerchi versava a Dante nel romanzo di Santagata viene il sospetto che l’abbia bevuto qualcun altro. E al “Corriere” non conveniva tacere anziché imbastire una toppa ipotizzando che “dietro il nome dell’autrice si celi un gruppo di amici, una sorta di collettivo Wu Ming blindatissimo, magari formatosi negli anni”? Molto semplice: mentre Claudio Gatti e altri facevano una indagine giornalistica alla “Lettura” facevano le pagine su Jovanotti.
2. UNA, DUE, QUANTE FERRANTE
Paolo Di Stefano per il “Corriere della Sera”
Dunque, ricapitoliamo con calma. Dopo tanti sospetti sull' identità di Elena Ferrante, raffronti stilistici, analisi quantitative, piste biografiche, un' inchiesta di Claudio Gatti, pubblicata domenica scorsa sul «Sole 24 Ore» - in contemporanea con la «New York Review of Books» , la «Frankfurter Allgemeine» e la francese «Mediapost» - , ha analizzato la contabilità di Anita Raja registrando un picco di incassi in coincidenza con l' uscita dei fortunati romanzi della serie dell' Amica geniale.
Il nome della Raja - che oltre a essere traduttrice di Christa Wolf per e/o ha anche diretto la collana in cui nel 1992 uscì il primo romanzo della Ferrante - era già ampiamente circolato negli anni scorsi (con quelli del marito Domenico Starnone e di altri) e adesso, piaccia o no il metodo utilizzato, l' attribuzione diventa molto attendibile. Nella notte di martedì, un tweet firmato da Anita Raja sembrava chiudere la vicenda con un' ammissione («Lo confermo. Sono Elena Ferrante»), ma si trattava di un falso.
Idiozie social.
ELENA FERRANTE ANITA RAJA STAMPA ESTERA
Resta il fatto però che le analisi stilistiche, tematiche e quelle matematiche hanno sempre portato ad avvicinare Ferrante a Starnone. La scorsa settimana, peraltro, il linguista Michele Cortelazzo, sul «Piccolo », dava notizia di una ricerca accademica condotta a Padova da un gruppo di studiosi e presentata in agosto al congresso dell' Associazione Internazionale di Linguistica Quantitativa (Iqla), da cui ancora una volta appariva chiara, su un corpus di cento romanzi apparsi negli ultimi trent' anni, l' affinità Ferrante-Starnone.
Dunque? L' ipotesi più logica è la collaborazione tra i due coniugi. Ma senza buttar via altri indizi. Per esempio quelli individuati nel marzo scorso, sulla «Lettura», dall' italianista Marco Santagata a proposito della storica napoletana Marcella Marmo, sulla base di spie interne della tetralogia (incongruenze, lapsus, indizi topografici), riconducibili alla presenza della protagonista Elena Greco alla Normale di Pisa. Non mancano poi coincidenze stilistiche tra la scrittura della Marmo e quella ferrantiana.
Il che conduce a un' ipotesi più complessa e interessante, e cioè che dietro il nome dell' autrice si celi un gruppo di «amici», una sorta di collettivo Wu Ming blindatissimo, magari formatosi negli anni.
Ora, ovviamente, dopo l' indagine di Gatti, è riemersa la polemica ricorrente, con l' aggiunta di invettive contro un tipo di indagine che si spingeva oltre i testi (il conto in banca, l' acquisto di case...) con metodi auspicabili se applicati non a uno scrittore ma a un boss della mafia o a un politico corrotto.
Ma la questione di fondo resta: è legittimo violare la privacy di un autore che vuole rigorosamente rimanere dietro le quinte e affidare se stesso solo alle proprie opere letterarie? No, non è legittimo per i più, i tanti che (sorprendentemente) restano fedeli a un' idea «sacrale» di letteratura risalente ai formalismi esasperati anni Sessanta, secondo cui la personalità anagrafica o biografica dell' autore non deve interferire nella lettura del testo: il testo vale per sé e parla da sé, conta poco chi l' abbia scritto.
Tra questi, anche Salman Rushdie, che solidarizza enfaticamente con Ferrante-Raja: «Io sono Elena Ferrante nello spirito di Io sono Spartaco ». Altri invece, ritenendo la Ferrante una figura pubblica che si mette in gioco nello spazio letterario, e per di più ormai con bestseller internazionali, considerano lecito cercare di stanarne l' identità: in ogni attività pubblica (e la letteratura lo è) il diritto di nascondersi deve fare i conti con il diritto opposto dello smascheramento.
Marco Santagata è un dantista che ha lavorato anche sulla biografia dell' Alighieri con l' intento di gettare una nuova luce sulla lettura della Commedia , dunque non può che sostenere la necessità di mettere in relazione le opere con la vita: «L' idea che il testo parli da sé, nella critica, è superata da quarant' anni: le due componenti del testo e della vita vanno intrecciate e dunque mi pare molto vecchia l' opinione di chi si appella all' autonomia dell' opera».
A dirla tutta, pare che ci sia anche una buona dose di ipocrisia in un' epoca in cui il presenzialismo narcisistico si impone nettamente sulla scrittura coinvolgendo anche quegli intellettuali che adesso gridano allo scandalo dell' intrusione. Senza dimenticare che la Ferrante non è mai stata né Salinger né Pynchon, che hanno fatto della riservatezza una condizione rigorosissima.
L' autrice dell' Amore molesto, al contrario, non ha evitato di solleticare la curiosità (anche pettegola) dei suoi lettori, disseminando interviste con piccole rivelazioni autobiografiche, persino decidendo di partecipare, in absentia, al premio Strega l' anno scorso. Un' ambiguità di fondo. Ed è anche accaduto che la casa editrice, con il suo inevitabile consenso, sollecitasse ai giornali interviste promozionali (ovviamente schermate dalla mediazione editoriale) in coincidenza con l' uscita dei suoi romanzi: che tipo di riservatezza o di ritrosia è questa?
Non è piuttosto un gioco del gatto con il topo? E perché questo gioco dovrebbe finire di essere un gioco ogni volta che qualcuno osi oltrepassare i confini definiti dall' editore e dall' autrice?
Ricorda Santagata: «L' anonimato a scopo di marketing è un fenomeno vecchio: anch' io l' ho praticato anni fa con un romanzo politico. Il mistero ebbe i suoi effetti di vendita. Nel caso della Ferrante, all' inizio non poteva esserci questa intenzione, perché il nome non cambiava di una virgola le sorti del libro: probabilmente si trattò di una scelta suggerita da ragioni private.
Con il successo e poi con il boom internazionale quella scelta è diventata obbligata, al punto da fare prigionieri del loro stesso gioco l' editore e l' autrice o gli autori: attraverso una serie di elementi biografici, per lo più falsi, hanno dovuto dare una presunta consistenza reale a quello che in origine era un modo per nascondere il vero autore». Insomma, il gioco è sfuggito di mano?
«Sì, hanno dovuto creare un autore con una realtà fittizia per il bisogno di avvalorare l' esistenza di Elena Ferrante, con tanto di presunti figli, sorelle eccetera». La frantumaglia è l' opera che, uscita poche settimane fa in una nuova edizione, contiene le riflessioni della Ferrante sulla sua letteratura e le parche notizie su di sé che ha voluto elargire negli anni. «Diciamo che le tracce autobiografiche, evidentemente false, sono un romanzo nel romanzo - afferma Santagata - e tutti i discorsi sulla riservatezza finiscono per difendere la privacy di una persona inesistente».
E veniamo alla mano, o alle mani, che hanno vergato i vari romanzi firmati Elena Ferrante: già nel passaggio dal romanzo d' esordio a I giorni dell' abbandono qualcuno notò un notevole scarto stilistico che mise in sospetto sull' identità univoca dell' autore.
A proposito delle nuove rivelazioni, Santagata insiste sulla sua ricognizione di marzo: «L' identikit di un pezzo di vita della protagonista de L' amica geniale, Elena Greco, corrisponde a Marcella Marmo, la storica napoletana e moglie di Guido Sacerdoti, il nipote di Carlo Levi: ci sono elementi di straordinaria evidenza. Altrove potrebbero esserci altre corrispondenze, magari con persone diverse e magari tutte riconducibili a un comune ambiente lucano sempre legato, in qualche modo, alla figura di Levi». Va detto che la stessa Raja non è estranea a questi circoli.
Ma nessuno può escludere che Elena Ferrante abbia captato o addirittura raccolto la storia pisana della Marmo per riportarla nel suo romanzo. Che ne dice Santagata? «Ci sono spie, omissioni e tic linguistici inequivocabili che non possono dipendere da una fonte, semmai si tratterebbe di una fonte talmente vicina da sovrapporsi quasi all' autore. Dunque, l' indagine di Gatti secondo me non è risolutiva.
A parte il fatto che le tracce finanziarie non sono tali da dare una certezza unilaterale, bisognerebbe studiare bene i vari libri e capire se sono frutto della stessa mano: non solo i primi rispetto agli ultimi, ma anche all' interno della tetralogia. Io ho il dubbio che, oltre a Raja e Starnone, ci siano forme di collaborazione, difficili da definire, tra più persone».
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