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FLASH! - OGNI GIORNO, UNA TRUMPATA: NON SI SONO ANCORA SPENTE LE POLEMICHE SULL'IDEA DI COMPRARSI…
1. "DORMI DANNY, NON AVERE PAURA..." STEPHEN KING E IL SEQUEL DI SHINING
Avevamo lasciato il piccolo Danny tra i fantasmi dell'Overlook Hotel Oggi è un signore che aiuta i malati a morire e che deve combattere con i suoi incubi Tutti lo chiamano Doctor Sleep "Dobbiamo scappare, papà sta impazzendo, ma io non riesco a muovermi, sono bloccato" Esce anche in Italia il più atteso tra i sequel Eccone un assaggio in anteprima
Anteprima di "Doctor Sleep", il sequel di "Shining" firmato da Stephen King, pubblicato da "la Repubblica"
Gennaio del 2007. Nella torretta di Rivington House, la stufa di Dan era al massimo, ma la stanza era ancora gelida. Una bufera accompagnata da raffiche di vento che soffiavano a cinquanta nodi era scesa dalle montagne, facendo cadere una media di quindici centimetri di neve all'ora sulla città di Frazier ancora avvolta nel sonno. Il pomeriggio successivo, alla fine della tempesta, alcuni cumuli sui lati dei palazzi di Cranmore Avenue esposti a nord e a est avrebbero superato i tre metri.
A Dan non dispiaceva il freddo; raggomitolato sotto due piumoni, era al calduccio come un topo nel formaggio. Però il vento gli era penetrato nel cervello, proprio come si era insinuato attraverso le fessure delle finestre e delle porte della vecchia dimora vittoriana che era diventata la sua casa. Nel sogno, lo sentiva ululare nell'albergo dove da bambino aveva trascorso un inverno. Anzi, nel à al secondo piano dell'Overlook. Mamma sta dormendo e papà è in cantina a controllare vecchi giornali.
Si sta DO-CUMENTANDO. Ne ha bisogno per il libro che sta scrivendo. Danny non dovrebbe trovarsi lì, né avere il passe-partout che stringe in mano, ma non è riuscito a resistere. In quel preciso istante sta fissando la manichetta di un estintore inchiodato al muro. à ripiegata su se stessa decine di volte e sembra un serpente con la testa di ottone. Un serpente in letargo. Naturalmente non lo è, lui sta guardando una manichetta di tela e non una pelle di squame, però ci somiglia parecchio. A volte è un serpente. Forza, gli sussurra Danny nel sogno. Trema di paura, ma qualcosa lo spinge a continuare. Perché?
Perché si sta DOCUMENTANDO, ecco perché. Forza, mordimi! Non puoi, vero? Sei solo uno stupido TUBO! Il beccuccio dello stupido tubo si muove e all'improvviso, invece che osservarlo di lato, lui può guardare direttamente dentro la sua apertura. O forse nella sua bocca. Una sola goccia trasparente compare sotto il buco nero, allungandosi. Dentro ci può vedere riflessi i suoi occhi sgranati. Una goccia d'acqua o di veleno? Un serpente o un estintore? E chi può dirlo, mio caro Redrum, Redrum mio caro? Chi può dirlo? Il tubo vibra rumoroso, e per lo spavento il cuore gli balza impazzito in gola. Solo i serpenti a sonagli fanno quel suono.
Il beccuccio del serpente-estintore rotola via dalla manichetta alla quale era appoggiato, cadendo sul tappeto con un tonfo sordo. Vibra di nuovo e lui sa che dovrebbe indietreggiare prima di essere attaccato e morso, ma è paralizzato dalla paura, non riesce a muoversi e il beccuccio vibra... «Svegliati, Danny!» gli urla Tony da chissà dove. «Svegliati, svegliati». Ma lui non ce la fa, proprio come non può spostarsi, quello è l'Overlook, sono bloccati dalla neve, e tutto è cambiato. Gli estintori si trasformano in serpenti, le donne morte spalancano gli occhi, e suo padre... oddio DOBBIAMO SCAPPARE VIA PER-CHà PAPà STA IMPAZZENDO!
Il serpente a sonagli vibra. Vibra. Vi... Dan sentì l'ululato del vento, ma non fuori dall'Overlook. No, fuori dalla torretta di Rivington House. I fiocchi di neve colpivano la finestra rivolta a nord. Sembravano granelli di sabbia. L'interfono vibrò. Scostò i piumoni e scese dal letto, facendo una smorfia quando appoggiò i piedi caldi sul pavimento gelato. Accese la lampada da tavolo, soffiando fuori il fiato. Non si condensava in vapore, ma anche se le resistenze della stufetta luccicavano roventi, la temperatura della stanza non doveva superare i sette gradi. Una nuova vibrazione. Premette il tasto dell'interfono. «Sono qui, sono qui. Chi mi cerca?».
«Sono Claudette, Doc. Credo ci sia un paziente pronto per te». «La signora Winnick?». Era quasi certo si trattasse di lei. Da una settimana la vita di Vera era appesa a un filo: era in stato comatoso, con il respiro di Cheyne-Stokes che andava e veniva, e per di più quello era esattamente il genere di notte che i pazienti agli sgoccioli sceglievano per andarsene. Di solito alle quattro del mattino. Controllò l'orologio da polso. Soltanto le tre e venti, ma nessuno era infallibile. La risposta di Claudette Albertson lo sorprese. «No, il signor Hayes, giù da noi al primo piano». «Sicura?».
Dan aveva giocato a scacchi con Charlie Hayes proprio quel pomeriggio, e per essere un uomo affetto da leucemia mieloide acuta, gli era sembrato vispo come un grillo. «No, ma Azzie è lì con lui. E se è vero quello che dici... ». Dan sosteneva che Azzie non si sbagliava mai, una conclusione a cui era arrivato dopo quasi cinque anni di esperienza. Azrael vagabondava liberamente per i tre edifici che costituivano il complesso dell'ospizio, passando la maggior parte dei pomeriggi acciambellato sul divano della sala comune, anche se di tanto in tanto lo si vedeva allungato su un tavolinetto pieghevole, come uno scialle buttato lì per caso, magari vicino a un puzzle appena completato.
Tutti gli ospiti lo adoravano (se c'erano state delle lamentele sul micio di casa, Dan non ne era al corrente) e Azzie ricambiava l'affetto. Talvolta saltava in grembo a un paziente anziano in fin di vita... ma con delicatezza, senza fargli male. Un'impresa notevole, considerata la sua mole. Quell'animale pesava almeno sei chili. Non entrava mai in una camera privata, a meno che il suo occupante non fosse in punto di morte. In tal caso, si infilava dentro (se la porta era socchiusa) o restava seduto fuori con la coda avvoltolata intorno alle zampe posteriori, chiedendo di entrare con un miagolio basso e discreto.
Quando gli aprivano, balzava sul letto dell'ospite (i vecchi di Rivington House erano più ospiti che pazienti) e se ne restava fermo a fare le fusa. Se per caso la persona che aveva scelto era sveglia, in genere lo accarezzava. Dan non aveva mai sentito che qualcuno avesse ordinato di cacciare via Azzie. Sembravano capire che era là in veste di amico. «Chi è il medico di guardia?» chiese Dan. «Tu», rispose immediatamente Claudette. «Dai, quello vero». «Emerson, ma quando l'ho chiamato in ospedale, la sua assistente mi ha detto di non essere ridicola. Le strade sono interrotte da qui a Timbuctù. Ha aggiunto che persino gli spalaneve aspetteranno l'alba, tranne che per gli sfortunati bloccati in autostrada ». «E va bene. Sto arrivando».
Dopo avere lavorato per un po' nell'ospizio, Dan aveva compreso che esisteva una divisione in classi anche per chi era in punto di morte. Le stanze del corpo centrale erano più grandi e costose di quelle delle strutture laterali. Nella dimora vittoriana dove un tempo Helen Rivington aveva vissuto e scritto i suoi romanzi rosa, le camere venivano chiamate «suite» e prendevano il nome da figli famosi del New Hampshire. Charlie Hayes era nell'Alan Shepard. Per raggiungerla, Dan dovette oltrepassare la zona ristoro ai piedi delle scale, dove si trovavano i distributori automatici e qualche sedia in plastica rigida.
Su una c'era stravaccato Fred Carling, occupato a sgranocchiare cracker al burro d'arachidi e a leggere un vecchio numero di Popular Mechanics. L'uomo era uno dei tre inservienti del turno di notte. Gli altri due lavoravano di giorno a rotazione un paio di volte al mese; Carling mai. Amava definirsi un animale notturno ed era un corpulento scansafatiche le cui braccia, coperte da un intrico di tatuaggi, suggerivano un passato da biker. «Ma guarda chi c'è», esordì Fred. «Il piccolo Danny. O hai già assunto la tua identità segreta?». Dan non era in vena di scherzi, ancora mezzo addormentato. «Che cosa puoi dirmi del signor Hayes?».
«Solo che è in compagnia del gatto e che quindi finirà presto sottoterra». «Non sta perdendo sangue?». L'omaccione alzò le spalle. «Sì, niente di che, dal naso. Ho infilato gli asciugamani sporchi in un "saccone tossico", come da ordini. Sono nella lavanderia A, se ti va di controllare». A Dan venne in mente di chiedergli come facesse a considerare una robetta di poco conto una perdita di sangue tamponata con più di un asciugamano, ma decise di lasciare correre. Carling era un idiota insensibile; restava un mistero come fosse riuscito a procurarsi un lavoro a Rivington House, anche se nel turno di notte, quando quasi tutti gli ospiti dormivano o rimanevano in silenzio per non disturbare gli altri. Dan sospettava che qualcuno avesse mosso le leve giuste.
Così girava il mondo. Suo padre non aveva fatto lo stesso per ottenere il suo ultimo posto, come custode dell'Overlook? Magari non era la prova lampante che fosse una porcata trovare un'occupazione grazie alle proprie conoscenze, ma di sicuro ci andava vicino. «Goditi la serata, Dottor Sonnoooooo », gli urlò dietro Carling, senza preoccuparsi di abbassare il tono di voce. In infermeria, Claudette stava spuntando la lista delle medicine mentre Janice Barker fissava un piccolo televisore con il sonoro abbassato. «Potete dirmi qualcosa di sostanziale su Charlie? Carling non mi è stato di alcun aiuto».
Claudette lanciò un'occhiata lungo il corridoio per assicurarsi che Fred non fosse nei paraggi e poi abbassò comunque la voce. «Quel tipo è più inutile di un venditore di frigoriferi al Polo Nord. Spero sempre che venga licenziato». Dan la pensava allo stesso modo, ma rimase in silenzio. Aveva scoperto che la sobrietà costante faceva miracoli per la capacità di discrezione. «L'ho controllato un quarto d'ora fa», rispose Jan. «Non li perdiamo d'occhio quando un certo Signor Micio viene a trovarli».
«Da quanto Azzie è con lui?». «Stava miagolando fuori dalla porta quando abbiamo iniziato il turno a mezzanotte», intervenne Claudette. «E così l'ho fatto entrare. à saltato immediatamente sul letto. Sai come fa. Mi è venuto in mente di chiamarti già allora, ma Charlie era sveglio e cosciente. Ha ricambiato il mio saluto e ha cominciato a coccolare Az. Ho deciso di aspettare. Circa un'ora dopo, ha preso a sanguinargli il naso. Fred l'ha pulito». «In bocca al lupo», gli augurò Jan. «Chiamaci se hai bisogno di qualcosa». «D'accordo. Tra parentesi, perché stai guardando la pubblicità di un prodotto per la pulizia del colon? O è una domanda troppo personale?».
La donna sbadigliò. «A quest'ora, l'unica alternativa è la televendita di reggiseni in microfibra. E io ne ho già uno». La porta dell'Alan Shepard Suite era socchiusa, ma Dan bussò lo stesso. Non ricevendo alcuna risposta, la spalancò. Charlie Hayes era coperto dal lenzuolo fino al torace. Aveva novantun anni, era scheletrico, e talmente pallido da sembrare trasparente. Dan fu costretto a restare immobile per una trentina di secondi prima di essere certo che la casacca del pigiama dell'uomo si alzasse e abbassasse. Azzie era accoccolato vicino alla sporgenza appena accennata di un'anca. Quando Dan entrò, il gatto lo squadrò con i suoi misteriosi occhi. «Signor Hayes? Charlie?» Il vecchio non mosse ciglio.
Le palpebre erano bluastre. La pelle appena sotto era ancora più scura, livida e violacea. Quando Dan si avvicinò alla sponda del letto, notò due crosticine rosse intorno alle narici e una terza all'angolo della bocca serrata. Con delicatezza, Dan pulì il naso di Charlie dal sangue rappreso. Quando passò alla bocca, il vecchio sollevò le palpebre. «Dan. Sei tu, vero? Ho gli occhi un po' appannati». Più che altro erano un intrico di ragnatele rossastre. «Come stai, Charlie? Senti dolore? Se vuoi, posso chiedere a Claudette di portarti una pastiglia». «No, non ho male», affermò il vecchio. Spostò lo sguardo su Azzie, per poi riportarlo su Dan. «So perché è qui. E anche perché sei arrivato tu ».
«Sono sceso perché mi ha svegliato il vento. In quanto al gatto, probabilmente cercava compagnia. à un animale notturno, in fondo». Dan gli rimboccò la manica del pigiama per sentirgli il polso e si accorse di quattro segni bluastri allineati sul braccio scheletrico. I pazienti leucemici in fase terminale si riempivano di lividi per un nonnulla, ma quelle erano impronte di dita, e Dan sapeva perfettamente chi era stato a lasciarle. Carling, brutto figlio di puttana. Che cos'è successo? Era troppo lento per te? Oppure eri incazzato di doverlo pulire quando invece avresti voluto leggere le tue riviste e ingozzarti di quei fottuti cracker gialli? In altre circostanze,
Dan avrebbe affrontato la questione di petto, però aveva problemi più urgenti di cui occuparsi. Az ci aveva azzeccato di nuovo. Gli bastava sfiorare l'uomo per capirlo. «Sono spaventato», ammise Charlie, la voce poco più che un sussurro. Il cupo, costante lamento del vento quasi la soverchiava. «Non avrei mai pensato, ma eccomi qui». «Non c'è nulla di cui avere paura». Invece di controllare inutilmente le pulsazioni, Dan gli prese la mano. Vide i figli gemelli di Charlie a quattro anni sull'altalena.
La moglie abbassare la serranda della stanza da letto, indossando solo le mutandine di pizzo francese che lui le aveva regalato per il loro primo anniversario; la coda di cavallo ricaderle su una spalla, mentre si girava a guardarlo, il volto illuminato da un sorriso che era un grande, enorme sì. Vide un trattore Farmall con un ombrello a strisce aperto sopra il posto di guida. Annusò il profumo di pancetta e sentì Frank Sinatra cantare Come Fly With Me, riecheggiando da una malconcia Motorola appoggiata a un tavolo da lavoro ingombro di attrezzi. Vide un coprimozzo colmo d'acqua piovana riflettere un fienile rosso. Sentì il sapore dei mirtilli e sventrò un cervo e pescò in qualche lago lontano punteggiato dalle gocce di un acquazzone autunnale.
Ballò a sessant'anni con la moglie alla festa dei veterani. Spaccò la legna a trenta. Tirò un carrettino rosso a cinque, con indosso un paio di pantaloncini corti. Poi tutte le immagini si fusero insieme, come un mazzo di carte mescolato da una mano esperta, e il vento soffiava cumuli di neve giù dalle montagne, e dentro c'erano solo il silenzio e lo sguardo solenne di Azzie.
In momenti come quello, Dan sapeva perché era venuto al mondo. In momenti come quello, non rimpiangeva il dolore e la pena e la rabbia e l'orrore che aveva dovuto patire, perché l'avevano portato lì, in quella stanza, mentre fuori ululava la bufera. Charlie Hayes aveva raggiunto l'estremo confine. «Non sono spaventato dall'inferno. Non sono stato un grande peccatore e comunque non credo esista un posto del genere. Ho paura che non ci sia niente ». Gli mancava il respiro. Nell'angolo dell'occhio destro si stava allargando una goccia di sangue. «Non c'era niente prima, lo sappiamo tutti, e dunque non è logico che non ci sia niente dopo?».
«Invece c'è». Dan gli passò il panno umido sul viso. «Noi non finiamomai veramente, Charlie. Non ho idea di come sia possibile o di che cosa significhi, so solo che è così». «Mi puoi aiutare nel momento del trapasso? Gli altri mi hanno detto che ne sei capace». «Sì. Posso farlo». Afferrò anche l'altra mano del vecchio. «Ti addormenterai. E quando ti risveglierai... perché succederà , ne sono certo... tutto sarà infinitamente meglio». «Il paradiso? Stai parlando del paradiso?». «Non lo so, Charlie». Quella sera il potere era molto forte.
Riusciva a sentirlo scorrere come una corrente elettrica attraverso le loro mani unite e si ripromise di essere delicato. Una parte di lui abitava il fragile corpo che stava cedendo e i deboli sensi (sbrigati per favore) che erano sul punto di spegnersi. Abitava una mente (sbrigati per favore è venuto il momento) ancora lucida e consapevole che stava formulando i suoi ultimi pensieri... almeno nei panni di Charlie Hayes. Gli occhi iniettati di sangue si chiusero per poi riaprirsi.
Molto lentamente. «Va tutto bene», affermò Dan. «Hai solo bisogno di dormire. Il sonno ti farà sentire meglio». «à così che lo chiami?». «Sì. Sonno. E dormire non è pericoloso». «Non andartene». «No. Sono qui con te». Non scherzava. Era il suo terribile privilegio. Gli occhi del vecchio si richiusero. Dan fece lo stesso e vide una luce blu pulsare lenta nelle tenebre. Uno... due... stop. Uno... due... stop. Fuori il vento continuava a soffiare. «Dormi, Charlie. Te la stai cavando bene, ma sei stanco e devi riposare». «Vedo mia moglie». In un sussurro appena percettibile.
«Davvero?». «Dice che...». E poi basta, solo l'ultimo lampo blu dietro le palpebre e l'ultimo respiro dell'uomo sul letto. Dan aprì gli occhi e restò ad ascoltare il vento, in attesa. Dopo pochi secondi, una nebbia rosso cupo si sprigionò dal naso, dalla bocca e dagli occhi di Charlie. Era quello che una vecchia infermiera di Tampa, graziata da un briciolo di luccicanza proprio come Billy Freeman, aveva definito «il rantolo». Aveva detto di averlo visto parecchie volte. Dan lo vedeva sempre. La nebbia si sollevò, galleggiando sopra il corpo del vecchio. E poi svanì. Dan armeggiò con la manica destra del pigiama per sentirgli il polso. Una pura formalità .
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2. AL PASSATO NON SI SFUGGE
Antonio Monda per "la Repubblica"
Quando Cronenberg disse che il film di Kubrick era a suo avviso diventato un classico del cinema, King rispose invitando gli spettatori ad andarsi a vedersi, invece, la serie televisiva che su Shining lui stesso aveva realizzato: sei puntate fedelissime al romanzo, ma modestissime da un punto di vista cinematografico. Poi diede alcune indicazioni su ciò che aveva in mente per il sequel: Dan Torrance, il protagonista dotato dello " shining", della "luccicanza", è ormai adulto.
Ma quanto vissuto da bambino nell'Overlook Hotel ha provocato nella sua psiche traumi irreparabili. King non era ancora convinto di questa prima intuizione, e ipotizzò di fondere le vicende dei personaggi originali con la storia di un gatto chiamato Oscar in grado di prevedere la morte dei malati terminali.
Nelle settimane successive avviò un sondaggio sul proprio website, nel quale chiese ai lettori se avessero preferito il sequel di Shining o un nuovo romanzo della serie Dark Tower: il risultato non lasciò dubbi e King vinse le residue resistenze. Doctor Sleep nasce da queste premesse narrative (e commerciali), e chi segue King sa bene con quanta attenzione affidi sempre il verdetto ultimo al suo pubblico.
Un approccio mantenuto con tutti i cinquanta romanzi realizzati finora e dei quali ha venduto trecentosessanta milioni di copie. In questo sequel di Shining, che ha avuto numerose versioni e che è stato lanciato sul mercato americano con nove mesi di ritardo rispetto alla data annunciata, King immagina che Dan, il Danny sopravvissuto al papà Jack Torrance- Jack Nicholson, sia oggi un quarantenne perseguitato da quanto vissuto da bambino nell'Overlook Hotel.
Dopo esser riuscito a vincere gravi problemi di alcolismo (proprio come lo stesso King) ha trovato la serenità ritirandosi a vivere in un piccolo centro del New Hampshire dove mette a disposizione dei malati terminali i propri poteri paranormali con l'aiuto di un gatto che ne prevede la fine imminente.
à lui il Doctor Sleep di cui parla il titolo, da intendere anche ironicamente se si pensa che questo passeggero stato di grazia verrà sconvolto da una serie di violentissimi eventi che gli faranno perdere, appunto, il sonno. Come sempre la scrittura di King è veloce, a tratti di servizio, ma la trama è molto avvincente, a dispetto dello sconfinamento quasi immediato nel paranormale più estremo: Danny deve contrastare da un lato i fantasmi della stanza 217 dell'Overlook Hotel, da un altro è costretto ad affrontare un gruppo chiamato True Knot (in italiano "Vero Nodo"), alleandosi con Abra, una ragazzina di dodici anni dotata a sua volta del dono dello shining ma all'ennesima potenza.
La storia si sviluppa attraverso scontri telepatici e scene di tortura, ma King riesce a fondere il paranormale con il realismo di ambientazioni che conosce alla perfezione: il New Hampshire descritto nel libro non è molto diverso dal Maine dove lo scrittore vive e in cui ha ambientato gran parte dei suoi libri. King è ugualmente abile nel descrivere la psicologia dei personaggi, e a suggerire l'idea che è impossibile sfuggire ai propri demoni e, più in generale, alla presenza del Male.
Nonostante segua con attenzione tutti i canoni del genere, e privilegi la costruzione della suspense, riesce sempre a non perdere di vista un approccio sinceramente umanista all'interno della battaglia continua tra il Bene ed il Male. Ed è proprio questo tipo di sguardo ad averlo reso diverso da tutti gli altri scrittori che si cimentano con l'horror. E che ha portato Margaret Atwood a paragonarlo sul New York Times a Nathaniel Hawthorne, Henry James e Edgar Allan Poe.
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